La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 76

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memorie?... No, no, Andrea! bisogna che tu venga; è necessario che venga tu pure. — Necessario? E perchè? — Cosa penserebbero papà e mammà, ed anche Maria Dora, e tutti laggiù, se tu evitassi di compiere questo, che mi sembra un dovere? un triste ma inevitabile dovere? Dopodomani — ricòrdati — è l'anniversario. — Già, — egli fece distrattamente, senza guardarla, con gli occhi sperduti nel fumo della sigaretta, che intorno gli formava una larga nuvola. Era già, sul cader del giorno, l'ora soave quando incominciano a suonar le campane. Aveva piovuto nel pomeriggio ed ora il cielo rischiarato rompeva tra le nuvole in fuga: una fragranza primaverile rinfrescava l'aria luccicante. Ancora ella portava gli abiti da lutto; ma, seduta presso la finestra, teneva su le ginocchia una leggiadra camicetta di colore, tutta pizzi, frange, nastri, merletti, e con le forbici nel grembo, e con l'ago infilato di seta flessibile pianamente l'andava ricucendo. Intorno al collo s'era già rimessa un filo di perle, al dito le brillava il suo meraviglioso rubino, e già dalla veste nera le spuntava sopra le caviglie la frivola balza d'una gonnella colorata. Ugualmente si vedevano, sotto la trasparenza del tulle che le velava la scollatura, correre intorno al petto e sopra le spalle malnascoste i nastrini rosei d'una camicia delicata. Fili di seta le si attaccavano alla sottana; portava sul dito medio della man destra un piccolo ditale d'oro. — Poi, vedi, — ella disse, posando su le ginocchia la camicetta che ricuciva, — non voglio andarvi sola... Credo che ne morrei di tristezza. Or che sono divenuta con felicità una cosa tua, mi spaventa il lasciarti anche per un sol giorno. Andrea, dimmi che verrai! Egli era seduto a poca distanza da lei, sopra un divano basso; e protese una mano per stringere la sua. — Prométtimi! — ella insistette. — Perchè mi vuoi costringere ad una cosa inutile? — rispose Andrea. — Mi opprime l'idea di rivedere quella casa, quella tomba, e sopra tutto mi sembra che il tornare insieme laggiù sarebbe quasi una ironia, quasi un insulto... Non lo comprendi? Ella riflettè un momento, poi disse, chinando il volto: — Sarebbe assai più crudele non andarvi affatto. Andrea non volle rispondere; gettò in un portacenere la sigaretta finita, ne accese un'altra macchinalmente, facendo scintillare la brage nella ingorda boccata che aspirò. — Quanto fumi! — Come sempre, Novella. — Poi contò le sigarette che gli rimanevan nell'astuccio, e convenne: — Forse hai ragione: fumo troppo. Ella si levò dalla finestra e venne a sedergli accanto sul divano. La dorata penombra della sera entrava dalle finestre azzurre, portando nel suo lieve álito un buon odore d'invisibili giardini; si udivano, sopra il mormorìo della città, rispondersi le campane distanti. Una striscia lontanissima del cielo ardeva come un braciere, nel tramonto. Ella si appoggiò contro il suo braccio, facendogli su la spalla un nodo con le mani congiunte; sopra vi posò la guancia, e disse: — Raccòntami... cos'è accaduto ancora? Che hai? Il respiro delle sue parole gli tormentava il collo. — Non mi ami più?... — soggiunse, con una voce piena d'incredulità, mentre tuttavia le sue labbra si orlavano di sorriso. — Non mi ami più? Egli allora non fece che attirarla sopra di sè, chiuderla nelle sue braccia forti e rovesciarsi con lei su la spalliera del divano, quasi volesse godere interamente la fatica del suo morbido peso, la gioia del suo vivo tepore. Invece di risponderle, circondò con un lungo bacio la sua calma fronte, le radici fulve come l'oro de' suoi capelli finissimi, ch'eran pieni d'un'ombra luminosa, d'un foco buio, quasi avessero due luci, come le foglie dei tralci vendemmiati, quando, asperse di rugiada mattutina, brillano, d'autunno al sole. Questa era la sua pace. Solamente così la sua fronte si rasserenava; solamente nel calore della sua bellezza egli dimenticava ogni cosa. Gli avveniva talvolta di guardarla con un senso di novità, come se non l'avesse ancor del tutto conosciuta; nell'accarezzarla provava una specie di religiosa paura. Quando pensieri troppo forti gli martellavano il cervello, prendeva le sue piccole mani per fasciarsene le tempie. Quelle mani avevano il colore luminoso delle perle orientali, erano calme, lente, impure, come se non sapessero far altro che prodigare con insidia carezze troppo voluttuose; quelle mani lo addormentavano: egli era totalmente beato. Così bella non era stata mai: nè quando la vide per la prima volta, nè quando per la prima volta la baciò. In quei giorni per lui così drammatici ella s'era quasi riposata, e rinasceva dopo la maternità, sana, felice, con le vene gonfie d'amore, l'anima d'oblìo. Non aveva più che un sogno: infrangere con quel rito anniversario l'ultimo anello della catena, poi, trascorso alcun tempo, essere finalmente sua, sua per sempre, legata, vincolata con lui fino all'ultimo giorno della vita. Ormai poco le importava ch'egli abbandonasse una strada gloriosa, e volontariamente, per cause non ben definite, si ritraesse a vivere d'inerzia e d'esilio, se per tal modo ella poteva più strettamente ravvolgerlo nel suo geloso amore. Egli le aveva comunicata quella decisione con parole semplici: — «Era stanco, si era fatto troppo rumore intorno al suo nome; già da lungo tempo aveva desiderato di ritirarsi a vivere per lei sola e con lei sola, fors'anche lontano di lì, ricominciando la vita... L'occasione era propizia: l'afferrava.» Ella credette, o finse di credere, a tutte quelle parole; ma nell'intimo della sua bontà femminile pensò che bisognava medicargli a poco a poco il cuore ferito. Essere in tal modo la sua compagna, e doverlo, non solo amare, ma far scendere un velo d'oblìo sopra il suo dolore silenzioso, — questo era per lei, per il suo amore, la più dolce cosa. Gli disse tranquillamente: — Sì, Andrea, fai bene; hai ragione; anch'io pensavo che avresti dovuto fare così. E guardando con occhi di sorella nei profondi occhi dell'amante, spesso gli mormorava con fedeltà: — Diméntica l'ombra dalla quale veniamo; la strada è ora così piena di sole... Andremo, se vuoi, lontano; tanto lontano che nessuno ci conosca più... Ma egli frattanto non guariva, ed anzi ogni giorno la sua fatica interiore diventava più manifesta; le pareva talvolta di sorprendere, nelle sue parole, ne' suoi gesti, un'ambiguità indefinibile. Ed allora, serrandosi contro l'amante, come per affacciarsi con occhi ridenti sopra il suo dolore non espresso, gli mormorava sottovoce, con un tremito: — Raccòntami... cos'è accaduto ancora? che hai? Egli non rispondeva che frasi vaghe, ma invece ubbidiva come un bimbo ad ogni sua volontà, e poich'ella desiderava di condurlo verso quella tomba, fu debole, si arrese, partì. Il treno li portava con rapidità per quella medesima campagna che tanti sogni aveva inutilmente fatti nascere, un anno addietro, nello spirito immaginoso di Tancredo Salvi. Ancora si vedevano a perdita d'occhio infrangersi, con burrasche di fiori, le ondate immense delle praterie, curvarsi la ricchezza dei frumenti, e il biondo color dell'estate nascere nei venti della primavera. Su l'estremo válico dell'orizzonte il disco paonazzo del sole affondava come un rotondo vómero nella terra lampeggiante. L'uomo che aveva ucciso, nel tornare incontro al suo delitto sentiva nascere in sè, proprio nel fatto intrinseco della sua vita, una dissimiglianza, un antagonismo con quanto era principio e continuazione di vita. Anch'ella non era loquace; qualcosa d'imprecisabile, forse la sola musica del treno corrente, li fasciava entrambi d'un vago malessere, d'una sorda e pesante malinconìa. Egli comprendeva quel silenzio, ed ella il suo; vicini l'uno all'altra, con la paura entrambi d'aver fatto male a venire fin lì, guardavan per i finestrini lo spazio fuggire indietro, verso il confine dell'orizzonte, verso le imprecise

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Argomenti: lungo tempo,    bontà femminile,    spirito immaginoso,    disco paonazzo,    fragranza primaverile

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