La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 34

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potrebbe avere un qualsiasi dubbio intorno a quel divieto, e cercò di spiegarle perchè fosse conveniente aspettare. — Più tardi li chiameremo, — disse. — Ma ora sono così stordito, che non potrei parlare con altri se non con te. Anzi tu pure... — Sì, sì, io pure... — ella si affrettò a dire, quasi contenta di esaudirlo e di sentire infatti come lui. Ma egli non trovò la spiegazione sufficiente e soggiunse: — Ho voluto prima dirlo a te, perchè stamane, quando lo vedranno, bisogna che noi siamo preparati; noi due che... — Sì, sì, hai ragione. Allora quel lampo ch'egli voleva subito vedere negli occhi dell'amante, le traversò le pupille, facendole stringere più forte il braccio che gli teneva e soffermando il suo tremito in un'altra sospensione, ma vertiginosa, della vita. Ora soltanto aveva guardato, aveva potuto guardare al di là da quella morte. Si nascose ancor più contro la sua persona e disse all'amante, con una specie d'insidia: — Ho paura... Egli ebbe un atto d'amore, d'amore casto, e le posò su la fronte le labbra che l'amavano. Ma quel bacio era per rassicurarla, per proteggerla, ed egli cercava d'essere immemore, onde il suo bacio non rasentasse la colpa. Alte, nel miracolo della notte, le stelle, così numerose che parevan nel deserto cosmico una bufera di polvere in combustione, infuriavano di splendore come fosforo avvampato, come resina in fiamme, come cristallo frantumatosi nella sabbia, quando vi sfólgora il sole. Ciascuna era un lampo ed era un mondo, ciascuna mesceva la sua fiamma, propagava il suo rogo nella raggiera dei mondi vicini. La notte bruciava ne' suoi vertici, aveva, sopra il suo fosco edificio invaso d'ombre una cupola incendiata; l'eternità era espressa in luce, l'infinito aveva i suoi limiti nella magnificenza del fuoco. Avvinti, si affacciarono verso la notte che roteava; e come se il moto dei mondi li afferrasse in un fantastico volo, tutto quanto avevano in sè di greve, d'umano, di turpe, si sciolse in una specie d'annientamento. Entrambi si sentiron così lievi, da credere che la lor materia purificata salisse come fumo, così lievi, da perdere fin la memoria di sè, ma non la memoria d'essere in quel volo congiunti e non la certezza dell'amore che li portava, come liberi spiriti, nell'apoteosi del cielo roteante. La capacità buia delle lor anime diveniva un cerchio di stelle: nei lor sensi ricolmi d'oblìo una sorda felicità sgorgava come un canto... Allora ella chiuse gli occhi ed incominciò a sognare. Un sogno era il suo, dove la morte già era passata oltre; la morte non era più che una parola remota, un volo d'ali nere lontananti senza rombo, nell'oblìo. Qualcosa d'indefinito, e pur di grande, le fluiva nell'anima, già troppo simile ad una paurosa felicità. Non sapeva d'essere precisamente una donna liberata, padrona di offrirsi con pienezza, con veemenza all'amore, ma le pareva che un'altra sua simile, una sua sorella interiore, avesse già cominciato a vivere in un'atmosfera inebbriante, a spaziare in una libertà senza confini, e di lei sentiva battere il cuore gaudioso nel viluppo del suo cuore atterrito. Una bocca, non la sua propria bocca, nascostamente in lei rideva, ma d'un riso involontario; questa esultanza temuta invadeva l'emisfero notturno, percorreva la materia come un'oscillazione lucida, fiammeggiava nell'ombra, cantava nel silenzio, volava nell'infinito, fra le stelle, come un turbinìo di polvere d'oro... Ella era piena fino alla gola di felicità e di spavento: non sapeva quale fosse più forte, non sapeva in cosa la gioia fosse dissimile dal terrore. E poichè nessuna commozione dello spirito può non avere le sue latenti radici nella carne che portiamo, ella si sentì colmata in ogni vena d'una felicità sensuale che l'affaticava come un godimento soverchio e le stordiva il cervello, quasi avesse da poco soggiaciuto ai più violenti baci. La stessa catena li stringeva; questa catena era fatta dal lor medesimo silenzio, era tanto più serrata quanto più s'impaurivano di doverla subire. Creature ultrasensibili, affratellate dalla diuturna colpa, egli avvertiva ogni tremito nella sua compagna, ella ogni tremito in lui. Sapeva di far male stando così aggrappata contro la sua spalla, sentendo l'aspra muscolatura dell'òmero e del fianco virile premere contro la sua persona, entrarle quasi nella carne discinta: però da lui non si poteva staccare, quasichè il contatto le fosse indispensabile per proteggersi dalla paura. Egli a sua volta, pervaso da quella tepida morbidezza, non sapeva respingerla nè interrompere con un moto qualsiasi quella troppo soave corrispondenza, ed anzi gli pareva necessario di avvincersi a lei, di mescersi con lei totalmente, per investirla del suo delitto, imbeverla della sua colpa ed avvogerla quasi d'una inconsapevole complicità, poichè sentiva che mai, mai più potrebbe farlo, se non tosto, se non nell'ambiguo silenzio di quell'ora notturna, lì, nella camera dov'egli aveva ucciso, a pochi passi dal morto. Questa coscienza divenne così forte in lui, che ad un certo momento premeditò d'assoggettarla ad un amplesso, perchè una comunione anche fisica fosse tra loro in quell'attimo di spasimo e di terrore, quand'egli, tenendola fra le braccia, palpitante, come nella stessa prigione del suo delitto, le direbbe su l'orlo della bocca, nell'umido bacio più ansante, le direbbe nel fuoco del piacere, così da insozzarla per sempre, le direbbe in guisa ch'ella dovesse o morirne o riderne, «ch'egli stesso, proprio da sè, con la sua mano, volontariamente, lo aveva ucciso...» Non era questo un legame di complicità che l'avrebbe con lui serrata, per sempre, nel nodo micidiale? Non era questa una profanazione ch'equivaleva all'aver veduta con i suoi propri occhi l'opera criminosa, ed esservi stata consenziente, anzi all'aver data la morte con una più sottile crudeltà? Non avrebbe in tal modo portato anch'ella il cadavere su le braccia? ora e per sempre, il cadavere su le braccia?... Gli pareva che fosse tra loro una disparità incolmabile: quel morto appunto, che a lui solo doveva la morte, che per sempre giacerebbe nel suo solo cuore. Insieme la incolpava d'essere così bella, per lui così bella, da rimaner femmina ed amante anche in quell'ora nefanda, così bella da far sì che il profumo della sua carne viva soverchiasse l'odore nauseabondo del cadavere, l'odore immaginario, che ad intervalli credeva di sentir effondersi nell'aria contaminata. Anzi egli non sapeva scindere una cosa dall'altra: il nudo corpo di lei si vestiva d'un lenzuolo funebre, come, ne' suoi occhi allucinati, la visione macabra del morto non poteva in alcun modo separarsi dalla profana immagine della sua nudità. — «Se tu mi ami, — le diceva senza dirlo, — e se vuoi che t'ami, devi entrare nel mio delitto, farti orrida come io sono, mescolarti con me nel suo feretro, sapere quel che so. Bisogna che tu veda presenti, com'io li vidi, i suoi occhi quando si spensero, e che tu senta nei timpani, inscindibile fra tutti i rumori delle cose, quel rantolo che gli strozzò la gola quando il veleno gli giunse al cuore. Perchè, se io non t'avvinco al mio delitto, forse tu mi odierai...» E la notte passava immemore, nell'alto cielo, con fulgori che parevano tralucere da un continuo dissolvimento. Era quasi una canicola notturna; l'oceano mondiale pareva una sola onda frantumata in milioni di brillanti. Ma ella era per lui più vasta che l'immenso infinito, e gli affluiva per ogni senso nello spirito, colmandolo di un totale oblìo. Per poter ragionare, chiudeva gli occhi davanti al pericolo della sua bellezza, tentava di sottrarsi a lei, come al potere d'una droga meravigliosa, che lentamente l'ubbriacasse. Non vederla, non udirla, recidere i sensi bisognava, per non cadere in lei come in un vortice senza fondo, per non amare al di là d'ogni cosa la sua dolce bocca umida, i suoi labbri cosparsi di peccato. Allora, per quella

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Argomenti: fosco edificio,    certo momento,    dolce bocca,    spiegazione sufficiente,    cuore gaudioso

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