La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 5

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anche rimaner solo. — Non avrei altro a fare che finire di vestirmi... — ella disse con civetteria. — Sono ancora tutta in disordine. — Forse di donne e d'abiti m'intendo assai poco, ma mi sembra, Maria Dora, che così vestita stiate deliziosamente bene. — Ora, — disse Marcuccio avanzandosi fra i due, — ora, professore, mandate via Dora, che vi leggerò qualcosa. — Veramente, Marcuccio, — egli rispose con indulgenza, — queste letture si ascoltano meglio la sera. Di giorno c'è troppo svago e troppo rumore. Attendi fin stasera: verrai nella mia camera e leggeremo. Intanto lavora. — Come volete... — rispose lo scemo, con malumore. Ma sùbito si arrese a quel ragionamento: — Certo la sera è meglio; si è più raccolti. Solo non posso trovare il titolo per il mio libro: me lo dovreste suggerire voi. — Ci penserò, Marcuccio, e stasera lo avrai. Allora lo scemo si ritrasse, parlando fra sè, con ampi gesti: — Voglio divenir celebre, celebre, celebre!... — Poi, forte: — Spiegàtemi: come si fa per diventar professori? — Io vi dicevo, Maria Dora... — E rispose a Marcuccio: — Si studia e si lavora. — Aouff!... — esclamò Dora stizzosa. Ma lo scemo, senza badarle: — E quando avrò pubblicato il libro, mi chiameranno professore? — Certo, certo! Marcuccio si allontanò mormorando: — Celebre! celebre... professore! — Dunque vi dicevo, Maria Dora, che nell'abito di questa mattina voi state deliziosamente bene. Poi vi curate ora con somma attenzione; ogni volta che torno dalla città, e vi rivedo, mi serbate una sorpresa. — Ma sapete, signor Andrea, che non riesco bene a comprendere se parliate sul serio o per burla! — esclamò la fanciulla, un po' confusa. — In ogni modo so che vi divertite spesso alle mie spalle... e fate male! — Perchè? — Perchè questo, in fondo, mi potrebbe anche dispiacere... — Ma io dico sul serio, — egli fece con pentimento. Ella sùbito si rasserenò: — Allora continuate! Fàtemi un po' la corte... — Ecco, dicevo che siete ora una signorina, del tutto signorina, e molto graziosa, e molto... desiderabile! — No... — ella si schermì con civetteria. — Ma sì... molto desiderabile! Vedo anche, per esempio, che avete cambiato pettinatura; non è forse vero? — Sì. Vi piace questa? — Molto mi piace; vi sta molto bene: v'invecchia. Ora non sembrate più la piccola educanda ch'eravate all'uscir dal convento. Vi ricordate? Son venuto una volta con Giorgio e con Novella a trovarvi nel parlatorio. Cosa fanno le piccole suore? — Vado a visitarle di tempo in tempo e canto ancora nei cori. — Infatti, voi avete sempre quella freschissima voce... Anche stamane, vestendomi, v'ho intesa cantare. — Ed anche prima... dormendo! — lo punse Maria Dora. — Già, russando, come voi dite... Ma questo non conta. V'ho intesa, in ogni modo, e voi eravate, credo, nel giardino. — E nel giardino, e nella sala, ed in cucina, in granaio, nel corridoio... dappertutto! — Ma io dico nel giardino perchè è più poetico, vi pare?... Dunque la vostra voce veniva su limpida e quasi primaverile, come se la portasser dentro i raggi del sole... È sentimentale questo? Vi piace? — Così, così... — Allora, non so perchè, ho pensato ch'eravate una signorina, una bella signorina, e ho deciso di farvi un poco la corte. Ecco, e vi faccio la corte ora, come desiderate voi... — Per ridere? — ella domandò perplessa. — Ma... già! la corte si fa sempre per ridere. — Allora siete molto maleducato! — ella esclamò con dispetto. — Davvero?! — E non so perchè vi divertiate a farmi del male... — Che male vi faccio? — Ma... naturalmente! Se io, per esempio, prendessi le vostre parole sul serio? Mi avete detto che sono una signorina, ben vestita, ben curata, con le unghie lucide... vedete... — e gliele mostra; — che vi piace la mia pettinatura... — se la tocca; — che canto bene... che la mia voce era come una primavera, mentre vi destavate appena... e tutto questo può turbare una ragazza, può farle un certo male, può darle quasi una profonda voglia di piangere... ecco! — Oh, no!... Allora vi domando scusa e vi prometto di non farvi mai più, mai più la corte... Va bene? — Chissà se va bene?... chissà... Anzi non va bene affatto! — E perchè? — Il perchè non ve lo dico. Ma voi siete un uomo crudele: lo si vede dai vostri occhi! — Ohibò! Ditemi una cosa: quanti anni avete ora, Maria Dora? — Diciannove anni e mezzo, signor Andrea!... — ella rispose con un sospiro. — Oh!... e lo dite come se fosser molti! — Per me sono molti... — Poi fece una pausa, una lunga pausa: — Del resto lo so bene che non posso interessarvi per nulla... io! Quante cose in quell'«io», così breve, così profondo! — Perchè, Maria Dora? — egli fece, un po' confuso. — Voi domandate troppi perchè, mio caro!... I quali sono difficili a dirsi, e non si debbono dire. Credete forse che a diciannove anni e mezzo non si veda nulla? Invece si vede tutto. E si sa tacere anche... certo: si sa tacere. Egli la guardò con un senso timoroso di maraviglia, per quel sùbito mutamento avvenuto in lei, nella frivola bimba, piena d'allegrezza e di civetteria. Ora ella parlava gravemente, come se dal volto le fosse caduta una maschera d'infantilità, e lo sguardo intenso de' suoi occhi, l'attitudine amara della bocca, la facevan singolarmente rassomigliare alla sua triste sorella. — Non vi comprendo più, Maria Dora... Quello che voi dite mi sembra strano. — Strano?... Forse. Ma, vedete, non bisogna burlarsi di me; non bisogna prendermi come un piccolo gioco, perchè io so anche pungere, se voglio. Solo, non voglio pungere voi, ed il perchè... — Fece di nuovo una pausa, nella quale tornò ridente: — ... il perchè lo so io sola! Non ve lo dirò mai. E per non dirvelo me ne vado. A rivederci! S'alzò e corse via come un leggera farfalla, ridendo, e lasciando nell'aria il suo limpido riso. II Egli era nella sua camera, insonne, affacciato al davanzale, quando già nella casa dormente più non udivasi alcun rumore. Aveva spento il lume, per abbandonarsi al torpore delle proprie meditazioni; ma la stanza era piena d'una luce quasi fantastica, per il chiarore che vi tramandavano le infinite stelle. Splendeva il suo letto, splendeva il grande armadio vetrato, carico d'orciuoli, di fiale, di vasi, d'ampolle medicinali. Ondeggiante, sfioccata, lontana, una striscia di nebbia navigava sopra il mare delle foreste, ogni tanto mutando colore, come un naviglio veliero, nell'incantesimo della notte. E quella striscia di nebbia era una immagine dell'anima sua, sospesa fra i più grandi abissi, incerta e pur navigante. A stordirlo salivano dall'inebbriante giardino vampe di profumi e d'aromi, come se la primavera dormente fosse un'ara infinita e vi bruciassero incensi; ma, chiudendo appena gli occhi, vedeva un immenso lenzuolo nero scendere su quel mondo stellato e gli pareva che fantasmi orrendi si aggirassero nella tenebra disperata. Egli pensava ancora una volta all'amore e al delitto: — le eterne fiabe degli uomini: il delitto, e l'amore. Poi gli parve udire quel lievissimo fruscìo noto, dietro l'uscio, quel respiro di lei che sentiva quand'era impercettibile, quel profumo di lei che lo snervava quand'era pur lontana, e si volse. La vide infatti, che socchiudeva la porta con precauzione, appena tanto da potervi passare; la vide che tremava per un lieve scricchiolìo dei cardini, tutta raccolta nelle spalle, quasi volesse annullare anche il proprio respiro... e fu nella camera. Girò la chiave con cautela, perchè la serratura non stridesse, poi gli scivolò accanto, lieve, con un brivido, nel quadrato azzurro della finestra. Egli non si mosse, non la baciò. La guardava. La guardava con una specie di stupefazione, tanto il timore e l'amore facevanla bella. Ma poich'erano vestiti entrambi di nero, ad entrambi sembrò che

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Argomenti: senso timoroso,    troppo svago,    sguardo intenso,    grande armadio,    immenso lenzuolo

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