La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 35

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particolare incoerenza la quale talvolta ci sospinge a fare il contrario di ciò che pensiamo, si volse e la guardò. La guardò con sospetto, come s'ell'avesse potuto sorprendere i suoi pensieri, tanta era l'affinità che li stringeva. Ne' suoi limpidi occhi non vide alcuna lacrima, e solo vide il riflesso della notte stellata che dentro vi splendeva come in un puro cristallo. Ella guardò lui medesimamente, con quel sospetto femminile che traluce dagli occhi della donna turbata; e rattennero entrambi il respiro, quasi temessero che la sensazione del loro fiato li spingesse ad un bacio. Ella fece un atto, come se avesse freddo, e si fasciò la vestaglia intorno alla gola, dove il disegno delle vene, tra la pelle bianchissima, tesseva una illuminata ombra. In quella luce obliqua egli vide brillare come fosse d'oro la vellutatura bionda che le nasceva sul principio del collo, intorno alle radici dei capelli. Il suo profilo si disegnava nella vetrata in una macchia di fulgore. Non mai, non mai come allora comprese la sua bellezza, comprese che la sua bellezza era una cosa malata e lasciva, tutta commisturata di vizio, d'odore, di tepore, e, mentre la guardava, immaginò il pericolo che un altr'uomo la possedesse. Da che l'amava non aveva mai conosciuta gelosia nè creduto ch'ella potesse da lui dividersi; — ma ora che aveva ucciso, per una strana successione d'idee comprendeva che questo fatto poteva strapparla dal suo possesso, far sorgere un'avversità imprevedibile, anche s'ella dovesse non conoscere mai la sua colpa, ma per il solo fatto che ciò era; — e vedendo l'uomo che la toccherebbe, di furore, di spavento rabbrividì. Nell'assedio d'un tal pensiero, subitamente l'attrasse, quasi per custodirla; e furon così vicini ad un bacio ch'egli sentì su le labbra il calore della sua bocca. Il suo dolce seno gli tormentava il petto con insidia; l'ampiezza del suo bacino l'accoglieva in sè, quasi che ritta non fosse, ma supina, e le braccia, le sue lente braccia, facevano quel nodo stanco e forte che contiene l'amore. — Tu... — egli disse, quasi cercando fra le parole una via di salvamento, — hai compreso tu quello ch'è accaduto? Ella solamente rispose: — Taci... — abbassando le palpebre, come quando non si osa, per una specie di superstizione, dare un nome preciso ad una troppo grande felicità. Ma insieme si pentì del suo silenzio. — Ora l'ho compreso, non prima: ora che tu mi baci. — Lo amavi? — egli chiese repentinamente, quasi godesse della propria crudeltà. — Sì, come un povero amico, ed anzi come una schiava rassegnata... — Poi riflettè e soggiunse: — Forse non lo sai? Egli tacque; la sua fronte s'incise di una ruga profonda. — E tu? — ella fece dopo una pausa. — Io? che? — Lo amavi? Egli si raddrizzò, come faceva quando gli era necessario chiudere la sua volontà riottosa in un'armatura di metallo, e disse recisamente, con impeto: — No! l'odiavo! Ella n'ebbe un brivido, un brivido che la curvò, come per un bacio datole su la nuca. — Avrà sofferto, credi? — Nulla o poco; era composto. Allora l'immagine del morto le assediò il pensiero, e lo vide, steso ma calmo: appena appena un po' di saliva agli angoli della bocca, un po' di gonfiore nelle palpebre chiuse... La morte non le parve che una totale stanchezza, e, per la prima volta dopo quell'annunzio, vide nei propri occhi la spenta fisionomia di lui. Questa visione le fece comprendere ch'ella pure non lo amava, poichè, nel guardarlo, più che il dolore poteva in lei un senso di raccapriccio fisico, nel quale involontariamente si rammentava d'essere stata baciata da quella bocca. Onde fece un movimento, uno sforzo, per respingere da sè tutto questo; — ma la visione tornava. Improvvisamente, un'altra volontà che la sua le fece dire: — Andiamo a vederlo... — Sì?... vuoi?... — mormorò egli, come côlto in fallo. Ma intanto pensò ch'era opportuno accertarsi un'ultima volta di quanto aveva compiuto e giudicare da lei, da lei ch'era la più fidata, l'impressione che gli altri ne avrebbero. — Andiamo, — fece risolutamente. E non si mosse, — Sì... — ella rispose, restando immobile a guardarlo con gli occhi sbarrati. Egli si fece violenza, la prese per mano, e mutamente si avviarono. — Fa piano, — egli diceva, — che nessuno si desti... Non certo ella faceva rumore; ma scivolandogli appresso, nell'ombra, quasi nascosta dietro la sua persona, compiva uno sforzo muscolare per vincere la volontà restìa. In lei rombava un grande frastuono; la notte parevale sonora. Curvi entrambi, addossati l'uno all'altra, comunicandosi per la mano serrata la paura ed i sussulti, scivolavan come ladri lungo la parete, sostando, ascoltando, raggruppati in sè stessi, pavidi, con le ginocchia tremanti. Il breve tratto parve loro una lunga distanza, e man mano che andavano, avrebbero voluto ritornare. Vicino a lei, anch'egli si sentiva meno forte che solo. Pure la trascinava, o gli sembrava di trascinarla, sentendo il suo peso riluttante. — Andrea... — Che hai? — Non andiamo... Eran presso l'uscio e sostarono. — Perchè? Ella non rispose; in quel buio non osava stargli presso nè lontana. — Tremi anche tu... — ella disse. — Io?... No! — egli rispose, irrigidendosi, contraendo i muscoli, per non tremare. La luna mandava ora fin lì un albore tenuissimo, che prima era parso tenebra. — Non aprire... — Sì, apro... Girò la maniglia e sospinse l'uscio. Non súbito videro il letto, ma il chiarore azzurro del fascio di luna che imbiancava la camera funeraria d'una chiarezza livida, piena d'irrealità. Poi d'improvviso videro il letto, videro la faccia supina, che a loro sembrò — tanto la temevano — si fosse mossa e li avesse guardati. — Non andargli vicino... — ella balbettava, — non posso... Ma egli, lì, di fronte all'opera che aveva compiuta, riacquistava il suo coraggio; e s'avvicinò al letto trascinandola. Il raggio di luna vestiva il cadavere dal piede alla fronte, poltrendo su l'ampiezza del letto come un fascio di bianca elettricità. Non solo morto pareva, ma deposto sopra un catafalco luminoso, e freddo pareva di quell'algida luce che somigliava stranamente al colore della sua carne, al gelo della sua materia spenta. — Vedi, — egli disse, — com'è tranquillo? Ma ella non rispose, forse non l'udì, assorta com'era nel guardarlo, con gli occhi avvinti, la respirazione ferma, il cuore sospeso. Gli usciva dal lenzuolo una mano, e quella mano pesava nella coltre come fosse piombo. La luce azzurra gli metteva intorno alla fronte, lungo le radici dei capelli, una specie di scintillamento; dal suo viso pareva trasudasse un umor luccicante; un fiotto di saliva faceva due piccoli grumi agli angoli della bocca; il labbro superiore avanzava su l'altro, dando alla fisionomia del morto un non so che di camuso. Qualche macchia d'un tetro color giallastro invadeva la scarnezza delle guance; gli occhi non facevan ombra; le ciglia parevano ingrommarsi. Ogni tanto avevano entrambi la sensazione ch'egli respirasse, poichè la morte non pare immobile, finchè si muove negli occhi nostri l'incredula paura con la quale noi la guardiamo. Egli voleva parlarle, ma indarno cercava nella mente un pensiero da comunicarle; si sentiva sperduto in una specie d'annientamento cerebrale. Ebbe voglia di sedersi a piè del letto e di vegliarlo, in attesa d'un fatto imprevedibile, o forse d'un suggerimento che salirebbe a lui, nello spirito, stando presso quel morto. Allora si accorse dell'estrema fatica fisica ond'era oppresso; gli parve d'aver sonno, ma un infinito sonno ed oblioso, in quella notte così limpida. Ella stava un passo lontano da lui, un passo lontano dal morto; si stringeva le braccia contro il petto, incrociate per i polsi, con le mani sotto la gola, il capo sovr'esse piegato, gli occhi attentissimi. Poi allungò la mano, quasi volesse toccarlo; invece lambì la coltre,

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Argomenti: labbro superiore,    sforzo muscolare,    chiarore azzurro,    particolare incoerenza,    dolce seno

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