La vita comincia domani di Guido da Verona pagina 48

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raccogliendo i suoi cartoni, ad uno ad uno e con infinita cura li portava nell'altro bugigattolo, facendo su l'ammattonato con le sue pantofole un rumore di paglia strofinata. Intanto i due si consultavano su la somma che fosse opportuno dargli per il viaggio. Tancredo era liberale, il Metello più avaro assai. Questi credeva che un centinaio di lire fosser più che bastevoli, ma Tancredo, assistito dalla propria esperienza, pensava che avrebbe avute molte spese, quindi non convenisse parer taccagni e bisognasse darne duecento almeno. Così risolsero; e mentre lo Zappetta rientrava gli consegnaron i due biglietti da cento piegati in quattro. — Eccoti i denari necessari, ma ti preghiamo di notare tutte le tue spese. — Va bene, — rispose Dandolo. E senza contare i biglietti, se li mise in un taschino del panciotto. Solo, nel trasportare l'ultimo cartone, domandò: — Quanto mi avete dato? E scomparve nel bugigattolo. — Duecento lire! — gli gridò appresso il Metello con una voce accrescitiva. — Non bastano, — rispose Dandolo, tranquillo. — Oh, diamine! — esclamarono tutt'e due. Dandolo riapparve: — Non bastano, e mi spiego. Sappiate che io mi presento laggiù come ingegnere agronomo, inviato da una Società di sfruttamento agricolo, società che avrebbe in animo di acquistare nella contrada grandi aree di terreno. In capo a due giorni mi riprometto di conoscere tutte le persone più cospicue della località; mi useranno cortesie, bisogna che possa rendere. Ho le mie valige pronte, nelle valige tutto un vestiario che non porto mai quando non sono in funzioni. Verso il prossimo che si vuol sfruttare bisogna anzi tutto e sopra tutto non puzzar di miseria. Mi capite? — Vedi come si fa? — disse Tancredo al Metello, con ammirazione. Ma questi era seccatissimo e non spianava il suo volto arcigno. — Poi, — riprese Dandolo, — avrò a che fare con giornalisti, e costoro, anche in provincia, non lo dico per farvi un complimento, son persone alle quali si deve ogni specie di riguardi. Ora Dandolo s'infilava i calzoni. — Quando poi una notizia ha preso la via delle stampe cammina da sè come un sasso giù dalla montagna. Poichè il giornale ai tempi nostri è diventato l'evangelo di una chiesa universale, che si chiama la Stampa, e che detiene il Primo Potere. Il giornale vi serve a tutto, vi fa tutto: è la balia ed il carabiniere dell'uomo. Annunzia la vostra nascita, la vostra morte, che altrimenti nessuno saprebbe, vi crea la fama o ve la stronca; vi procura da mangiare o vi taglia i viveri. Osservate bene. Le istruttorie, le inchieste, i processi, vorrei dire anche i delitti, è il giornale che li fa succedere; i verdetti, è il giornale che li impone. Non solo. Ma chi fa la guerra? la pace? le alleanze? la politica?... — Il giornale. Forse tra poco i Gordon Bennett cominceranno una dinastia, mentre un Concilio di Redazioni eleggerà il Papa. E non è tutto. Avete inventato un prodotto? un meccanismo? una peregrina idea di qualsiasi genere? Il giornale ve la bandisce tra il pubblico. Scrivete un libro? Ve lo giudica. Vi capita un rovescio? Si affretta a farlo sapere. Vincete un terno? Ve lo pubblica. Volete moglie? Ve la trova... Cosa potreste chiedere di più ad un giornale, che dopo tutto vi costa un miserabile soldo?... V Per una casa d'uomini era dunque passata, ed or già lontana pesava la fredda ombra della morte. Un'altra notte saliva nei millenni, bruciava le sue stelle vertiginose ai perduti confini del mondo. Quanti anni eran trascorsi dal primo giorno che un uomo uccise? dal primo giorno che un essere amò? Nulla; non si sapeva nulla. Tutto continuava senza meta, nell'infinito inutile andar del Tempo. Non si udiva che una sorda campana battere a colpi disperati... Era la campana della Bufera, la campana della Distruzione, la campana dell'Inutilità. E diceva infinitamente nell'infinito: «Io sono il Tempo: — ieri e domani. Io sono il principio di tutte le cose, — la fine di tutte le cose — ieri e domani. Quando vedrete accendersi una stella, direte com'io dico: — ieri e domani. Quando sarete giunti all'ultima di tutte le parole che sembrano vere, — dubiterete che sia vero il Tempo: — ieri e domani. Quando sarete giunti a questo dubbio, comprenderete che sono fermo, — che sono fermo come voi, uomini, e non esisto: — ieri e domani. Allora non sarò più il Tempo; — non sarò nè il millennio nè l'istante: — ieri e domani; sarò la favola eterna del mondo: — ieri e domani.» Lontana dall'amante, sola, nella sua coltre insonne, a lei pareva tuttavia di commettere peccato. E più forte, fra quei brividi che han nome di rimorso e di paura, la gioia del sentirsi libera le irrompeva nell'anima come un'ondata barbara di felicità, le brillava come un fuoco di stelle sui vertici della vita. Egli stesso non aveva osato entrar nella sua camera, ma, chinando gli occhi, le aveva detto sul limitare: — Non ancora, non ancora... È troppo presto, amore mio... Le aveva detto così, ed ella sentiva come lui che «troppo presto» era infatti per cominciare l'oblìo. Bisognava che il morto scendesse più profondo nella terra tenace, bisognava che anche l'ombra di lui si cancellasse da quelle tragiche pareti. Or si rammentava d'essere stata una sorella, una buona e devota sorella, ma già le batteva nel cuore il felice cuore dell'amante. V'è un giorno della vita il quale pare che raccolga in sè la conclusione di tutto quel che si fece, il seme di tutto quello che si farà. Ella pensava: — «Questo giorno è venuto». E mandava l'amore a cercare di lui, nel suo letto lontano, come traverso la notte manda il suo profumo un fiore. «Vivrò — pensava — nella tutela della sua forza, nel calore del suo coraggio; mi parrà, nelle sue braccia, di tornare ogni giorno a vivere la prima ora di vertigine, il primo smarrimento che provai.» E insonne si volgeva nella coltre molesta, evocando l'ombre del suo rimorso per incutersi maggior paura, ma pensando invece all'amore con un cuore involontario. Egli le aveva detto: — «È opportuno ed è necessario che fra pochi giorni ti lasci. Cerca di comprendere, Novella, ch'io debbo fare così...» Diceva questo guardandola, tenendo le due mani posate su le sue spalle con un atto di protezione e d'amore. Ella taceva; ma un grande smarrimento le invadeva l'anima; continue lacrime le brillavano su le ciglia ferme. Perchè lasciarla sola in quella tetra casa, dove non troverebbe alcun rifugio, quand'egli fosse lontano da lei? Perchè non portarla con sè nella loro città febbrile, nella loro città violenta, ov'egli sarebbe un uomo operoso ed ella un'amante nascosta? Perchè dissimulare, ed ormai vanamente, quello che tutti sapevano? Ma egli l'aveva serrata contro di sè per consolarla, ed aveva detto: — «Non ancora. Devo, per un'ultima volta, partir solo. Bisogna che tu cominci ad essere una mamma, Novella, ora che lo puoi. Ricòrdati che il nostro bimbo dovrà, nascendo, chiamarsi con il suo nome. È triste, è orribilmente triste... ma, che vuoi? l'uomo, anche il più forte, non può sottrarsi a tutte le catene, a tutte le commedie che intessono la vita. Più tardi certamente l'adotterò, farò in modo che il tempo me lo renda; ma, se vogliamo che sia felice, deve nascere nel cammino giusto, cioè nella menzogna. Tuo padre, tua madre, chiunque ci conosca deve poter credere così . Perchè, solamente in questo modo, l'opinione della gente saprà tollerare ch'io ti abbia amata. E sei tu che devi proteggere la nostra creatura, Novella... mi capisci? Sei tu. «Più tardi potrai venire in città, con Dora e con tua madre, se non vuoi trovarti sola in quel tuo appartamenento che forse ti spaventerà un poco. E attenderemo insieme che nasca il nostro bimbo, quello che noi dovremo amare molto, molto, Novella, perchè gli abbiamo dato più che la nostra vita... Così parlando la guardava; una specie d'inerte fissità incatenava i suoi

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Argomenti: due mani,    uomo operoso,    felice cuore,    grande smarrimento

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