Rinaldo di Torquato Tasso pagina 20

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l'arco e i dardi audace adopra ognora; e quando il cor di seguir Cinzia ha vago, tanto fugge la dea che Cipro onora. Ella è di belle membra e di bel viso: viso crudel, sì sua beltà m'ha ucciso. 31 Ma come spesso avien che 'l falso uom crede, e quel che crede osa affermar per vero, è chi m'accusa di corrotta fede a Clizia, e di cor perfido e leggiero, dicendo ch'io le rendo aspra mercede in cambio del suo amor puro e sincero, perciò che Ermilla a' maggior caldi estivi meco si gode nei piacer lascivi. 32 Clizia brama veder di ciò l'effetto, pria che meco ne muova altre parole; e perché sa che sempre il mio ricetto questo luogh'era al più cocente sole, molto prima vi viene, e nel più stretto bosco s'asconde, ov'aspettar mi vuole. Vi vengo io poscia e, già sudato e stanco, ne l'erboso terren distendo il fianco. 33 Quinci non molto poi moversi io sento un non so che dove s'allaga l'onda: allor meschino acuto dardo avento, perché penso che fera ivi s'asconda. Il dardo se 'n va ratto e violento, e tiene il suo camin tra fronda e fronda, sì ch'a Clizia nel petto al fin si mise, e lui piagando ogni mio bene uccise. 34 Cadde ella, ahi lassa! a la percossa atroce, solo un languido “ohimè!” mandando fuora. Mi penetra nel cor l'amata voce, non già però ch'io la cognosca allora. Là donde uscito è il suon corro veloce, e veggio, ahi! vista grave a l'alma ancora, la bella donna mia che debil langue, versando insieme con la vita il sangue. 35 Ratto m'inchino a lei, la prendo in seno, e con le mie le care labra accosto; cerco di porre al sangue uscente freno, acciò ch'ella non mora almen sì tosto: pria che l'alma gli venga in tutto meno, di voler favellarle io son disposto, e fo sì ch'essa scopre i lumi alquanto, ed ode il mio parlar, vede il mio pianto. 36 Vede il mio pianto che con larga vena più sempre par che 'l duol dagli occhi verse, del qual non men ch'io m'aggia, ella ripiena n'have la faccia e le palpebre asperse; ode questo parlar, al qual a pena ne l'uscir fuori stretta via s'aperse: “O cara, o dolce, o mia fedel compagna, qual da te rio destino or mi scompagna? 37 Deh! vita mia, deh! non fuggire, aspetta, ché teco correr voglio ogn'aspra sorte; deh! non mi lasciar solo in sì gran fretta, empio ed odioso a me per la tua morte! Mirami almen, mira la tua vendetta, ch'io far voglio in me stesso e giusto e forte: non mi negar il sol degli occhi tuoi, se punirmi così forse non vuoi!” 38 Ella tenendo il guardo in me converso, che passando per gli occhi al cor m'aggiunge, dice: “Ben mio, poiché destin perverso così rapidamente or ne disgiunge, non esser, prego, ai miei desiri averso: se pur di me qualche pietà ti punge, se l'amor mio premio sì degno or merta, fa' che di questo almen ne vada certa. 39 Fa' ch'a l'inferno almen vada sicura, che dopo ch'io sarò fredda e di ghiaccio, Ermilla empia, cagion di mia sventura, non fia teco congiunta al sacro laccio. Fallo, ti prego, o dolce unica cura di questo core.” E qui stendendo il braccio, mi cinse il collo e chiuse i vaghi rai, per non gli aprir da poi, lasso! giamai. 40 Grido io misero allor: “Vana temenza ti prese il core, o mia diletta moglie! Deh! ch'un vano sospetto, un timor senza dritta cagione alcuna or mi ti toglie, deh! ch'una sol falsissima credenza or mi porge cagion d'eterne doglie! Misera de' mortal vita fallace, s'ad ogni caso repentin soggiace!” 41 Parve che l'aere fosco asserenasse pel volto suo, Clizia tai cose udendo, e che gioia e letizia alta mostrasse l'alma, da la prigion terrestre uscendo, quanto fallace error pria l'ingombrasse nel mio vero parlar or cognoscendo; ma de la morte sua tanto i' mi dolsi, che quasi a me l'odiata vita io tolsi. 42 Pur ripensando poi che troppo leve fora pena cotale a tanto eccesso, e n'andrebbe impunito il fallo greve, ch'uccidendo il mio bene avea commesso, volsi che 'l duol, ch'in vita si riceve da chi vive inimico di se stesso, e la luce del sole aborre e sdegna fusse del mio fallir pena condegna. 43 E perché il mio dolor sempre crescesse, vedendo la cagion di lui presente, oprai ch'un mago questa tomba fêsse di questo sasso vivo e trasparente; e l'estinta donzella entro ponesse, così trafitta da lo stral pungente, sì che non mai per raggirar di cielo si corrompesse in lei la carne o 'l pelo. 44 Ma parendomi poi luogo difforme questo al mio duro stato ed angoscioso, fei che quel mago lo rendeo conforme, ed oscuro lo fece e tenebroso, togliendo a lui ciò che potea distôrme pur breve spazio dal pensier noioso, con gran poter ch'al suon de le parole muove la terra e 'l corso arresta al sole. 45 Volsi poi, per aver ne l'aspra sorte compagno alcuno e ne le acerbe pene, e perché di costei la dura morte pianta ancor fusse quanto a lei conviene, ch'incantasse quest'acqua di tal sorte ch'a qualunque uomo a gustar mai ne viene, per la pietà di chi qui morta giace nel cor destasse duolo aspro e tenace; 46 onde spinto da quel, fêsse soggiorno, meco piangendo la costei sventura, come or gli vedi a questo sasso intorno, che miran sempre entro la sepoltura. Io poi di stare ognor la notte e 'l giorno disposi in tutto in questa valle oscura, sforzando ogni guerrier che vi passasse che mai suo grado il rio liquor gustasse. 47 Ma il nuovo incanto di quest'acqua insieme col duro viver mio fia terminato; ed ognun di costor che piagne e geme ritornarà nel suo primiero stato. — Così diss'egli, e le parole estreme non bene espresse col mancato fiato. Non molto dopo spirò l'alma, e quella s'alzò volando a la sua pari stella. 48 Morto ch'ei fu, color che in mesti accenti disfogavano il duol chiuso nel petto, posero fine ai queruli lamenti, liberi ancor dal grave interno affetto. Alcun di lor non è che si ramenti a pien de la cagione ond'era astretto a lamentarsi, e l'un l'altro rimira dubio e sospeso, e 'l pensier volve e gira. 49 Rinaldo, ch'era assai doglioso e tristo del caso occorso al miser cavaliero, molto si rallegrò com'ebbe visto liberi questi da l'incanto fiero; e del lor dubio e del sospetto avisto, conto e chiaro lor fece il caso intiero. Quei gli resero allor grazie infinite, e per l'obligo lor gli offrir le vite. 50 Veggono, a dir mirabil cosa, intanto levarsi un gran sepolcro alto dal piano, e in un momento a quel primiero a canto esser poi messo da invisibil mano. Si maraviglia ognun del nuovo incanto, e gli par caso inusitato e strano; lo stupor crebbe, ché da lor fu scorto giacervi dentro il cavalier già morto. 51 Scorsero ancor del trasparente vaso lettre intagliate in apparente parte, onde era esposto l'infelice caso de' duo miseri amanti a parte a parte. Ma già nessun nel bosco è più rimaso, già l'un da l'altro si divide e parte, fatte di qua di là molte parole di cortesia, come al partir si suole. 52 Col gran figlio d'Amon sol vi rimane Florindo, a lui già d'amor sommo avinto; e come cerca l'odorante cane le fere ognor per naturale istinto, ne' cespugli, ne' vepri e ne le tane, così, da cura generosa spinto, cerca ognun di costor nova aventura or per monte, or per bosco, or per pianura. 53 Il terzo giorno, allor ch'il sol lontano da l'orto e da l'occaso è parimente, videro il mar Tireno placido e piano il bel lito ferir tacitamente; e si trovaro in un fiorito piano di tanti e più color vago e ridente. Di quante grazie adorno è 'l caro viso che m'have l'alma e 'l cor d¢mo e conquiso. 54 Quivi si vede il bel garzon ch'estinse spietato disco, onde tal forma prese, e quel cui folle errore a morte spinse, miser che di se stesso in van s'accese, e chi di dolce amor t'arse e t'avinse, o bella diva, il cor molle e cortese, per cui tu Marte e 'l tuo Vulcan lasciasti, e con le selve il terzo ciel cangiasti. 55 Quivi il nardo, l'acanto, il giglio e 'l croco veggonsi il vago crin

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