Rinaldo di Torquato Tasso pagina 19

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faccia, e così stassi, fuor de' sensi uscito, sovra 'l morto giacendo il tramortito. 6 Al fin tornò lo spirto al suo ricetto, e seco il pianto ed i sospir tornaro; spinse tai voci allor da l'egro petto con suono conveniente al duol amaro: — Amato figlio mio, figliuol diletto, gradito figlio, figlio solo e caro, oimè! tu morto giaci, e quel ch'è peggio, per sì lieve cagion cotal ti veggio. 7 O voti a vòto fatti, o pensier miei fallaci, o preghi sparsi a sordi venti, o decreti del cielo ingiusti e rei, se ciò dir lece, o Dio, com'el consenti? Deh! ben felice per tua morte sei, tu, madre sua, ch'or nulla vedi e senti; io d'altra parte, oimè! vinto ho 'l mio fato per esser vivo a sì gran duol serbato. 8 Ma dove, lasso! or è? dove è, diviso dal busto, il capo? Ahi, forse alcun l'ha tolto? Ahi! dunque non vedrò l'amato viso? Dunque non basciarò l'amato volto? — Così dicendo mira intento e fiso, e lo vede tra sangue e polve involto: là corre impaziente e fuori il cava da l'elmo, il bascia e col suo pianto il lava. 9 Il nudo teschio dimostrava allora un non so che del fiero e dell'orrendo; tiene in lui fissi gli occhi il padre ognora, e tra le man pietose il va volgendo; se l'accosta a la bocca ad ora ad ora, nulla l'orror di quello a schivo avendo. Quanto, quanto sei grande, amor paterno! Sfoga intanto ei così l'affetto interno: 10 — Ove la luce de' begli occhi è gita? Ove del vago aspetto il chiaro onore? Come le guancie, oimè! come smarrita le labbia han lor vaghezza e lor colore? Questa squallida fronte e scolorita è quella ond'io porgea tal gioia al core? Deh! quanto ei n'ebbe già diletto e gioia, tanto maggior or n'have affanno e noia! 11 Ecco, o figlio, ti fo gli estremi offici, ch'a me dovei tu far più drittamente! Ecco che gli occhi omai con l'infelici man ti rinchiudo: or vale eternamente! E se queste mie man non fiano ultrici de la tua morte, il ciel non lo consente, che con lungo girar l'ha già private del suo vigore e delle forze usate. — 12 Apre a pietà Rinaldo il nobil petto a quei lamenti, e raddolcir vorebbe alquanto di colui l'amaro affetto, perché de l'altrui mal sempre gl'increbbe; ma poi pensando che contrario effetto in quel meschino il suo parlar farebbe, se lui pur conoscesse, indi si toglie, dolente anch'ei de l'altrui gravi doglie. 13 D'un tetto pastoral schermo la notte fêrsi i guerrier contra l'algente luna. Allora, poi che nell'oscure grotte da l'alba vinta ogn'ombra si raguna, attraversando vie scoscese e rotte giunsero in selva solitaria e bruna, che mai, facendo a se medesma oltraggio, non riceve del sol l'amico raggio. 14 Per questa va con torto piede immondo serpendo un rio che da' vicin luoghi esce, ch'a' riguardanti cela invido il fondo, né nutre in sen ninfa leggiadra o pesce. Forma poscia di sé lago ritondo, e tutte l'acque in un raccoglie e mesce. Di sterpi e pruni ha le sue rive ingombre, e sol tassi e ginebri a lui fanno ombre. 15 Mirano i cavalier sospesi intorno, né cosa lieta lor s'offre a la vista; nulla di vago v'è, nulla d'adorno, ogni parte per sé gli occhi contrista. Qui sempre è fosco e tenebroso il giorno, sempre l'aria ad un modo oscura e trista, sempre orride le piante e torbo il rivo, sempre il terren di fiori e d'erbe privo. 16 Mentre pur se 'n vann'oltra i giovinetti, veggion d'apresso un'alta sepoltura, e star intorno a quella in un ristretti molti guerrier con mesta faccia oscura, che si squarciano i crin, battonsi i petti, quasi grave gli ingombri acerba cura; e fan con novo ed angoscioso pianto tutt'intorno sonar la selva intanto. 17 D'un così vivo sasso e trasparente era il sepolcro, che scopriva altrui, qual sottil vetro o rio puro e lucente, ciò che avea dentro più riposto in lui: sì che d'ambo i guerrier le luci intente penetrar tosto ne' secreti sui; e vi mirar, quasi incredibil cosa, donna leggiadra in vista ed amorosa. 18 Ella era morta, e così morta ancora arder parea d'amor la terra e 'l cielo, e dal bel petto per la spalla fuora gli uscia pungente e sanguinoso telo; sembrava il volto suo neve ch'allora scuota Giunon da l'aghiacciato velo: gli occhi avea chiusi e, benché chiusi, in loro si scopriva d'Amor tutto il tesoro. 19 Mentre i guerrieri a rimirar si stanno la bella donna che sepolta giace, un di color che cerchio a l'arca fanno, e più degli altri in pianto si disface, nel cor rinchiuso il suo gravoso affanno che s'ange più quando la lingua tace, s'armò la testa e in un cavallo ascese, ed in tal modo a ragionar lor prese: 20 — Signor, quest'acqua che qui presso stagna, gustar convienvi, ed ella ha tal valore, ch'a qualunque uom le labbra indi si bagna, nuovo acerbo martir desta nel core; onde convien ch'a pianger qui rimagna questa estinta donzella a tutte l'ore: dunque senza tardar di lei bevete, o morir di mia man pur v'eleggete. — 21 Rise Rinaldo in modo altero e disse: — Or su, vegniamo ormai, guerrier, a l'arme, ché se tu brami inimicizie e risse, ch'abbi trovato uomo a tua voglia parme; e se per le tue mani a me prescrisse il ciel la morte, or lei vien tosto a darme. — In questo dir voltaro ambo i destrieri, e corsero a ferirsi audaci e fieri. 22 Segnano al petto l'un, l'altro a la testa i colpi, ed ambo quei vanno ad effetto; cadde Rinaldo a la percossa infesta che lo venne a ferir sovra l'elmetto: ma la lancia fatal ch'ei poscia arresta, all'altro cavalier traffigge il petto, e lo distende dal corsier lontano, tutto tremante e sanguinoso al piano. 23 Rinaldo, d'ira e di furore acceso, leggierissimo s'alza e si solleva, né riposar mai vuol se chi l'ha offeso prima di vita con sua man non leva. Ma come vide quel meschin disteso, che nel suo sangue involto al pian giaceva, l'ira e 'l furor dal petto a lui fuggio, u' pietade in sua vece a por si gio. 24 Sopra gli va, l'elmo gli cava e slaccia, perché torni ne' sensi ond'era uscito. Come da l'aria gli è t¢cca la faccia, aprendo gli occhi il cavalier ferito, un profondo sospir dal petto caccia, onde a Rinaldo è 'l cor più intenerito; gli chiede nondimen perché mantegna quel rio costume e quella usanza indegna. 25 Ma quegli allor: — Perché servato or sia questo costume, a pien da me saprai, se concesso da morte egli mi fia che mi sovrasta e mi rapisce omai; e se pur ti parrà l'usanza ria, il mio crudel destin n'incolperai, che la prima cagion stata è del tutto, e m'ha fatto amator de l'altrui lutto. 26 Signor, ne' miei primi anni ebbi la sorte, ma per mio mal, sì destra ai miei desiri, che tra mill'altre elesse in mia consorte questa dama ch'estinta or qui rimiri. Er'io per cavalier gagliardo e forte, ella diva parea de' sommi giri, non donna umana; e col leggiadro viso ogni selvaggio spirto avria conquiso. 27 Non era alcun che gli occhi in lei volgesse senza infiammarsi d'amoroso ardore; alcun non era ancor ch'a lei piacesse fuor che sol'io che fisso avea nel core. Io d'altra parte, benché allor potesse goder di mille donne il dolce amore, lei solo amava, e in questo lieto stato ne vissi un tempo al mio parer beato. 28 Ma venne, lasso! dal tartareo fondo, a turbar la mia pace e la mia gioia, quella peste crudel che suole al mondo recar sovente incomparabil noia, che 'l sereno d'amor stato giocondo tutto col suo velen turba ed annoia: gelosia venne, e in forme strane e false di Clizia la mia donna il petto assalse. 29 Per usanza avev'io di gir sovente solo a cacciar per queste selve intorno; ma quando il sol feria con più cocente raggio, qui mi schermia dal caldo giorno. Quest'era un bosco allor diversamente d'alte vagghezze, d'ogni parte adorno, non già com'or che solo a prima vista con nuovo orror le menti altrui contrista. 30 Solea meco ritrarsi in così vago bosco Ermilla, una ninfa anco talora, che non le tele, la conocchia e l'ago, ma

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