Rinaldo di Torquato Tasso pagina 26

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il suo caro ben faccia partita; ma con benigno e placido sembiante a seco rimaner ambo gli invita. Preghiere aggiunse poi sì calde e tante ch'ella, da loro al fin pur obbedita, s'invia ver' la citate, e per lo freno gli conduce Rinaldo il palafreno. 20 Il palagio real fra tanto adorno con magnifica pompa a pien si rende: chi razzi aurati per le mura intorno a l'eburnee cornici alto sospende; chi bei tapeti, che potriano scorno far a tutt'altri per le soglie stende; chi loca al lume suo dipinti quadri, vivi ritratti degli estinti padri. 21 La mense altri apparecchia, e i bianchi lini stesi per lungo poi vi mette sopra; vi mette vasi preciosi e fini, ma varii di materia e varii d'opra, ove dei re di Media i pellegrini fatti, perché atro oblio lor non ricopra, veggonsi impressi in puro argento ed oro con ordin lungo e con sottil lavoro. 22 Giunta al tetto real, di sella tolta fu la regina dal figliuol d'Amone, e fu per troppa gioia al core avolta sorgiunta ancor da nova passione, quasi allor se n'uscio l'alma disciolta da la terrestre sua bella prigione; ma qual più dolce e più soave morte le potea dar benigno cielo in sorte? 23 Floriana ad ognor cortese stile usava di serbar con gli stranieri, ma più che mai cortese e più gentile or si dimostra ad ambo i cavalieri. Amor il fa che, s'è 'l cor basso e vile, desta in lui nobil brame, alti pensieri; ma s'è regio e sovran, via più l'accende a virtù vera, e più pregiato il rende. 24 L'istesso fanno i suoi baroni ancora, né sembra d'onorargli alcun restio, perciò che il lor voler dipende ognora da quel di lei, come da fonte rio. Ma venut'era omai la solita ora che ne conduce natural desio a ristorar con cibi il corpo stanco, perché al lungo digiun non venga manco. 25 S'assidono a le mense, e Floriana ponsi a l'incontro il suo gradito amante; e come suol nocchier la tramontana, mira i begli occhi e 'l dolce almo sembiante, e d'un'esca d'amor fallace e vana pasce la mente afflitta e l'alma errante: il corpo no, ch'ov'è un maggior desire, l'altro minor non fassi allor sentire. 26 Museo fra tanto al suon de l'aurea cetra scioglie la dotta lingua in dolci accenti, e, col favor ch'egli da Febo impetra dona principio ai musici concenti, soave sì ch'un cor d'orsa e di pietra avria commosso e raffrenato i venti, allor che 'l sasso cavo Eolo disserra, e desta l'ira in lor, gli accende a guerra. 27 Canta egli come da la massa informe trasse Natura il seme de le cose, e come in vaghe e ben composte forme il mondo qual veggiam tutto dispose, dando perpetue leggi e certe norme a fuoco, ad aria, a terra, ad acque ondose, in un giungendo con discorde pace quanto appar fuori, e quanto ascosto giace. 28 Segue ch'essendo ormai l'età de l'oro, de l'argento e del rame ite in disparte, per dar Giove a' mortal giusto martoro fe' sommerger la terra in ogni parte; e che da Pirra e dal consorte foro le fatal pietre dopo 'l tergo sparte, onde il genere uman fu ricovrato, stuol duro, a le fatiche avezzo e nato. 29 Né tacque le tue fiamme, o biondo dio, né le piaghe ch'Amor ti fe' profonde, e qual cangiò lungo il paterno rio Dafne le braccia, e i crin in rami e 'n fronde; come in giuvenca poi fu convers'Io, come giunse del Nilo a l'alte sponde; d'Argo non meno e di Siringa disse l'aspra sorte che loro il ciel prescrisse. 30 Tai cose ancor, ma con più dolce canto, ho già, Veniero, a te spiegar sentito, e visto uscir del salso fondo intanto i marin pesci ed ingombrare il lito; e, quasi astretti da ben forte incanto, i varii augei per appagar l'udito ne l'impeto maggior frenare il volo, e fermartisi intorno a stuolo a stuolo. 31 Trae, già cenato, de la notte l'ore Floriana in parlar vario e giocondo; e non men per l'orecchie il lungo amore bee che per gli occhi, e 'l manda al cor profondo. Molte cose or di Carlo, or del valore chiede d'Orlando, sì famoso al mondo; de' propi fatti suoi chiede non meno, ch'ei l'esser suo l'avea già detto a pieno. 32 Dolce lo prega: — Deh, se non vi pesa, ditemi quel ch'ancor fanciullo essendo fêsti di vostra madre a la difesa, l'onor quasi perduto a lei rendendo; io già sentii parlar di questa impresa, se pur con la memoria al ver m'apprendo, anzi il mio genitor, da un cavaliero ch'allor tornava a noi dal franco impero. — 33 Rinaldo a lei: — Benché non punto sia di sì degni uditor degno il soggetto, per me narrato il tutto ora vi fia, poiché sono a ciò far da voi costretto. A la mia volontade, a l'età mia risguardo aggiate voi, non a l'effetto: ch'assai picciolo fu, ma pur allora scorsi i tre lustri io non aveva ancora. 34 Ginamo di Baiona il Maganzese già fu rival del mio parente Amone, ch'ambo avean l'alme per Beatrice accese allor che l'uno e l'altro era garzone. Costor dopo diverse altre contese vennero insieme a singolar tenzone, dove Ginamo, da vil tema spinto, cesse ad Amon l'amata e diessi vinto. 35 Ma l'odio contro Amon serbò rinchiuso sempre, che al cor gli fu continuo tarlo, e, com'è di sua stirpe invecchiato uso, cercò di vita a tradimento trarlo: pur sempre il suo desir restò deluso. Al fin dopo gran tempo il magno Carlo nel suo natal corte bandita tenne, facendo alcuni dì festa solenne. 36 Il re mirando la fiorita corte, un dì ch'a caso a mensa ritrovosse, a nova voglia aprio del cor le porte; indi così ver' gli altri a parlar mosse: “O de' miei fidi schiera invitta e forte, arme e sostegni miei, mie guarde e posse, vorrei ch'alcun di voi qui si vantasse d'alcuna cosa ch'a mio pro tornasse.” 37 Ciascun di quei baroni allor si diede un vanto, altri superbo, altri modesto. Sorse il mio genitor fra quelli in piede per sé vantare, e 'l vanto suo fu questo, d'aver tre figli in cui di già si vede nobile spirto a fatti eroici desto, che fian sempre con lui fida difesa del franco Impero e de la santa Chiesa. 38 Fu di mio padre il vanto a Carlo grato, e bene a tutti il fe' palese e piano, ch'il vaso ov'era el sol di bere usato porse cortese a lui di propria mano. Da quest'atto sentissi il cor piagato profondamente il reo cugin di Gano, Ginamo, ch'in mal far seco concorse, ch'allor, sendo presente, il tutto scorse. 39 Non può soffrir l'iniquo e fraudolente ch'ad Amon più ch'a lui si faccia onore, tal che più cresce e più diviene ardente per novell'esca il vecchio odio e 'l rancore; e gli è tanto accecata al fin la mente, voler di Dio, da l'ira e dal furore, che con maligno sùbito consiglio così parla ad Amon, turbato il ciglio: 40 “Amon, non vo' ch'altero e glorioso tu ne vada di quel che non è tuo: sappi che sempre al mio voler bramoso ebbe Beatrice ancor conforme il suo, e diemmo spesso effetto di nascoso a quel ch'era il voler d'ambo noi duo, sì ch'inde nacquer poi quei tre garzoni che miei sono; e tua moglie or mi perdoni. 41 Perdoni a me se t'ho la cosa aperta e di quanto è tra noi narrato il tutto, e tu perdona a lei, che ben lo merta, poiché n'è nato così nobil frutto. E s'unque hai la d'amor possanza esperta, sai ch'a tai falli a forza è l'uom condutto. Ti prego ancor ch'a me tu renda i miei figli, ché loro omai nutrir non déi. 42 E se non che sin qui m'ha ritenuto di non turbar altrui giusta cagione, tu da me stesso avresti ciò saputo già molto prima in altra occasione. Pur or, più d'ogni cosa, ha in me potuto paterno affetto e degna ambizione.” Così disse egli, e 'l suo dir molto spiacque al saggio re, che non però si tacque. 43 Ma più ch'ad altro penetrar ne l'imo petto queste parole al padre mio; pur gli rispose irato: “Io falso estimo quanto tu dici, e te malvagio e rio. Né questo, o conte, è 'l tradimento primo ch'uscir da Maganzesi ho vedut'io, ed ad oltranza, quando più t'aggrada, ciò ti vo' mantener con questa spada.” 44 “Ah!, rispose colui, l'uom saggio deve ogni cosa tentar

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