Rinaldo di Torquato Tasso pagina 35

Testo di pubblico dominio

lento lucido e cheto rio tra l'erbe e i fiori, ed ogni occhio rendea lieto e contento con le bellezze sue, co' suoi tesori. D'oro l'arene, i pesci avea d'argento, le sponde adorne de' più bei colori, e col soave suon de' suoi cristalli parea ch'altri invitasse a dolci balli. 62 Rinaldo a l'alto, ov'il piacer l'alletta, il passo indrizza, dal desir sospinto, e vede il suol di viva e fresca erbetta colmo, e di fiori poi sparso e distinto; oltra ciò da vaghissima selvetta intorno intorno coronato e cinto: sì verde è l'erba e sì la selva è verde, ch'ogni color vi si smarisce e perde. 63 L'aria d'almo candor quivi si veste, raccesa già da' lieti rai novelli, ed or su quelle frondi ed or su queste forman dolce armonia dipinti augelli: sì che rapito dal cantar celeste oblia Rinaldo i pensieri egri e felli, e la speme e l'ardire ognor ravviva grazia che largamente in lui deriva. 64 Mentre di sì gioconda e sì gradita vista cibava gli occhi il cavaliero, e quindi egli porgeva a l'alma aita, e rischiarava il torbido pensiero, donna vi scorse che se 'n gia vestita di verde, e sovra 'l colle aveva impero: tien quella i lumi e 'l volto al ciel supino, quasi attenda di là favor divino. 65 È serena, ridente e lieta in vista, e nel tacere espresse ha le parole; mostrano alta baldanza a speme mista gli occhi ch'apron lucenti un novo sole; ed indi fugge ogni cura egra e trista, come da Febo ancor la nebbia suole. Rinaldo, in lei mirando, al cor profondo manda per larga via piacer giocondo. 66 Ei fa varii pensieri, e già gli sembra d'aver Clarice in suo poter ridutto, e già ne le leggiadre amate membra raccôr di sua fatica il caro frutto; e se pur tra sé volge e si rimembra il colei sdegno, a lui cagion di lutto, contempra in parte la presente noia con la futura imaginata gioia. 67 Poi ch'appagati ha gli occhi, egli non meno la fame appaga, e 'l corpo ciba e pasce di quel che dal fecondo almo terreno sovra i vaghi arboscei produtto nasce; e del dolce ruscel gustando a pieno fa che l'arida sete in tutto il lasce. L'orecchie a lui percosse intanto sono da strepitoso d'arme orribil suono. 68 Affamato leon, che l'unghie e i denti insanguinato già più dì non s'abbia, s'ode il muggito de' cornuti armenti, desta nel fero cuor desire e rabbia; fiamma riversa da' torvi occhi ardenti, fumo dal naso e spuma da le labbia; batte la coda e 'l folto crin rabbuffa, e lieto corre a sanguinosa zuffa: 69 così al fero rimbombo appar focoso Rinaldo in volto, e 'l cor move e raccende, ch'avido di pugnar, l'ozio e 'l riposo già lungo troppo a noia e sdegno prende; senza punto tardar, sul poderoso destrier saltando leggiermente ascende, e là donde quel suono a lui ne viene, volge il cavallo e dritto il corso tiene. 70 Vide, disceso al basso, ad aspra guerra star un sol cavalier con molti armati, ch'otto di lor n'avea già posti a terra, altri del tutto morti, altri piagati. Ahi! come destro ei si rinchiude e serra sotto lo scudo ai color colpi irati; come possente poi, come feroce fulmina orribilmente il ferro atroce! 71 Or tutt'alzato sovra un gran fendente disnoda il braccio con destrezza e possa; di punta or vibra il brando suo tagliente, e col corpo accompagna la percossa. Rinaldo in lui stupisce, e l'alma sente da novo amor verso 'l guerrier commossa, ché la virtù non sol ne' fidi amici, ma s'ama negli ignoti e ne' nemici. 72 Disponsi al fine, e con gran cor s'accinge a dare al franco cavalier soccorso: cogli sproni Baiardo al fianco stringe, ed a l'impeto suo rallenta il morso. Quel, come stral cui curvo acciar sospinge, move il piè ratto a furioso corso, e tra' nemici va con quel furore che tra' minori augei rapace astore. 73 Rinaldo il ferro sin al mento pose tra lo spazio che parte ambe le ciglia; al primo ed al secondo entro, ascose nel ventre, là dov'il nutrir s'appiglia: caggiono ambo color qual piante annose, e fan la terra nel cader vermiglia. Non qui Rinaldo la sua furia affrena, ma passa inanzi e costor guarda a pena. 74 Era quivi fra gli altri un giovanetto che di peli disgombra avea la guancia. Questi, vedendo che dannoso effetto fêa ne' compagni il cavalier di Francia, di generoso sdegno armato il petto sopra gli va con l'arrestata lancia, e con immenso ardir lo preme e 'ncalza, e 'l fiere a punto ov'il cimier s'inalza. 75 Rompe la lancia, e non trapassa il duro ferro ch'asconde l'onorata testa; pur sotto l'elmo il paladin securo sente il furor de la percossa infesta, onde con fero cor, con volto oscuro, con mano a la vendetta ardita e presta, spinge una punta e poi segue la spada col corpo, onde più forte a ferir vada. 76 Giunge a lo scudo e 'l rompe, e pur coperto è sette volte da villoso tergo; rompe non men, bench'egli sia conserto di spesse ferree lame, il forte usbergo. È dal ferro crudele il petto aperto, e quel si mostra sanguinoso a tergo: cade il garzon su la ferita, e afferra co' denti e morde l'inimica terra. 77 Forma fra tanto pur queste parole confuse, in suon di rabbia e di dolore: — Soccorri, o padre, a l'unica tua prole, ch'io moro, oimè! degli anni miei nel fiore. — Così detto finì, qual lume suole cui manchi in tutto il notritivo umore; ma si rivolse al suon di quella voce un cavaliero in vista aspro e feroce. 78 Questi, vedendo il figlio al pian sospinto morir, rabbioso a vendicarlo mosse, ch'ancorché gli anni abbian domato e vinto sua robbustezza e le corporee posse, l'ardir però del cor feroce estinto non era in lui, ch'altier più che mai fosse. Adopra l'armi, e fera ardente voglia di sanguinoso Marte ognor l'invoglia. 79 Ma qual gran foco e senza forze acceso in secca paglia in van s'infuria al vento, perché nel colmo al suo furor conteso è 'l gir più inanzi, e manca il nutrimento, tale ei s'infuria in van, di rabbia acceso, non send'egual la forza a l'ardimento; e nel collo aspramente al fin trafitto, al termin giunse a lui dal ciel prescritto. 80 Il paladin fra gli altri il destrier caccia, e rota in giro il suo fulmineo brando: a chi parte la spalla, a chi la faccia, altri manda disteso a terra urtando. Man, teste, busti e sanguinose braccia veggionsi andar per l'aria intorno errando; né men si mostra il suo compagno forte, ch'altrui piaga, stordisce e pone a morte. 81 Già l'inimico stuol tutto si dona in preda, e n'ha cagione, al vil timore; e con l'ardir la speme anco abbandona, e cede a forza al fero ostil furore. Ciascun di quei guerrier veloce sprona con timorosa fuga il corridore; ma i franchi vincitor, fermati insieme, non degnan di seguir chi fugge e teme. 82 Allor nel paladin le luci intende l'estran, colmo di nobil meraviglia, e fissamente a ricercar lo prende dal capo al piè con inarcate ciglia, tal ch'al fine il conosce, e lieto stende l'amiche braccia, e lui nel collo piglia, dicendo: — Or chi potea salvarmi in vita, se non chi sempre il giusto e 'l dritto aita? 83 O fratello, o signore, o fido, o caro amico, o prim'onor del secol nostro, vedete qui chi di se stesso a paro v'ama: vedete qui Florindo vostro! Or nulla più mi fia grave ed amaro, poiché benigno cielo a me v'ha mostro, ché per voi giusta cura, alto sospetto continuamente mi premeva il petto. — 84 Rimane a quel parlar l'altro guerriero qual chi per tema e per stupor s'adombra, né certo è ben se quel sia vivo e vero corpo, o pur de le membra ignuda l'ombra. Ma pur a mille segni il van pensiero e 'l folle dubbio al fin dal petto sgombra, e 'n lui manca il sospetto e 'l gaudio poggia, e cresce ognor qual rio per larga pioggia. 85 Rinaldo con quel volto e con que' detti, con cui s'accoglion le più care cose, lieto l'accolse, e de' suo' interni affetti e nel volto e nel dir nulla gli ascose. Poi che con mille esteriori effetti ciascun di loro il suo piacer espose, chiede a l'altro Rinaldo in qual maniera

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