Rinaldo di Torquato Tasso pagina 36

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dal tempestoso mar salvato s'era. 86 Cominciò quelli: — Io mi credei sovente d'esser da l'onde rapide inghiottito, poi ch'al furor del flutto violente e dal legno e da voi fui dipartito; pur, come volse il Fato ultimamente, a gran pena arrivai notando al lito; ma tanto avea bevuto, e così lasso mi ritrovai, che non potei far passo. 87 Io giacea fuor de' sensi, e la mia vita già correva al suo fin senza ritegno, s'in sorte così ria benigna aita porta non m'era dal celeste regno. Ma quel che, mosso da pietà infinita, discese in terra a trionfar sul Legno, fece ch'un cavalier quindi passasse ch'a la morte vicina mi sottrasse. 88 Era costui del chiaro sangue altero degli antichi Corneli in Roma nato, famoso in arme errante cavaliero che Scipion l'ardito era nomato, e di sette città libero impero nel Lazio avea con titol di ducato. Questi m'accolse e mi condusse via in una sua città chiamata Ostia. 89 A medici d'illustre esperienza de la salute mia diede il governo, né lasciò officio alcun di diligenza, come il moveva ascoso affetto interno; ma mentre me, che giaceva egro e senza vigor, conforta con amor paterno, da quella parte ov'ha 'l suo albergo il core, mi vide un segno che rassembra un fiore. 90 Da la pelle il segnal rosso traspare come da vetro un fior d'orto vermiglio, il che forse al signor fe' rimembrare d'un, ch'avea già perduto, unico figlio; onde dal sommo a l'imo a risguardare mi cominciò con fisso immobil ciglio, pensando ch'esser forse io quel potea cui già bambino egli perduto avea. 91 Ed era tal credenza in lui più forte per quel che già gli disse un indovino, che trovarebbe il figlio in dura sorte, ed a l'estremo d'ogni mal vicino, e che tolto da lui fora a la morte, e sottratto al furor di reo destino. Tra sé volgendo ciò, rivolte e fisse in me le luci, al fin così mi disse: 92 “Signor, vorrei saper, se pur scortese mia richiesta od ingrata a voi non fia, il nome e 'l sangue vostro, e qual paese è la vera di voi patria natia.” Io tosto a quel parlar gli fei palese che Numanzia tenea per patria mia, e che, forse dal fior ch'avea nel petto, venni nel mio natal Florindo detto. 93 Gli dissi ancor ch'a pien non era instrutto qual genitor m'avesse al mondo dato, e seguendo oltra poi, gli narrai tutto ciò ch'a me l'idol prima avea narrato. Allor quel non ritenne il volto asciutto, né ritenne il color del volto usato, e non frenò le voci; e con le braccia mi cinse e strinse, e giunse faccia a faccia. 94 Mi disse poi com'era io suo figliuolo, ch'essendo già bambin gli fui rapito da un grosso di corsari armato stuolo, ch'a l'improviso dismontar sul lito: onde mia madre se 'n morì di duolo, ed egli ne rimase egro e smarrito; nel tempo istesso ancora io seppi come Florindo no, ma Lelio era 'l mio nome. 95 Disposi allor, dal dir paterno e saggio, anzi pur dal voler di Dio sospinto, ed illustrato dal divin suo raggio, ch'aprì le nubi ond'era involto e cinto, adorar lui che 'l nostro uman legnaggio salvò morendo, onde Pluton fu vinto; così asperso di sacra e lucid'onda fui, che lava le membra e l'alma monda. — 96 Qui si tacque il Romano; indi seguio ch'egli congiedo avea dal padre tolto, spronato, lasso! dal crudel desio di riveder il vago amato volto, e per tentar se mai potesse il rio sdegno ch'avea contr'esso Olinda accolto, sgombrar dal duro ed aggiacciato core con servitù, con fede e con amore. 97 Gli disse ancor ch'a l'apparir del giorno senza cagione, il che gli parve strano, tutti gli fur que' cavalieri intorno, e l'assaltar con impeto villano, per farli a lor potere oltraggio e scorno; onde Rinaldo ad un, che steso al piano giacea, ne chiese la cagione, e poi chi si fosse egli, chi quell'altri suoi. Canto duodecimo 1 Quegli, il parlar del paladino inteso, non dimostrossi a l'ubbedir ritroso, ma da terra levando il capo offeso, ch'era di sangue caldo e rugiadoso, su la destra appoggiò l'infermo peso, e con l'altra il sanguigno e polveroso volto fe' mondo; indi la voce e 'l guardo debil rivolse al cavalier gagliardo: 2 — Signor, convien che d'alto al mio sermone principio dia, per sodisfarvi in tutto. Il gran Mambrin ch'a l'Asia legge impone, or sospinto d'Amor s'è qui condutto, e seco ha mille legni e di persone stuol grosso e forte ad ogni pugna instrutto, per far poi di Clarice intero acquisto, ch'acceso n'è, né 'l volto ancor n'ha visto. 3 Oltra di ciò, di vendicarsi brama contra un guerriero, il qual Rinaldo è detto, perché gli tolse in mare una sua dama, lo stuol forzando a la sua guarda eletto; e poi tre suoi fratei d'illustre fama gli uccise ancor con inimico affetto. Già son più dì che 'l re da' legni scese, e 'l più vicino porto a forza prese. 4 E con molti de' suoi scorse nascoso sin a Parigi, e tal fu sua ventura, che Clarice trovò ch'in dilettoso prato godeasi l'ombra e la verdura; quivi ardì di rapirla, a chi foss'oso di contradir dando morte aspra e dura; ed or al maggior passo egli camina ver' l'armata ch'è quinci assai vicina. 5 Ma passando di qua questo guerriero vide, che fêa di sé superba mostra, e impose a noi che tosto ei prigioniero fosse condutto infra la gente nostra: ma troppo forte fu, troppo fu fiero, e troppo a tempo l'alta aita vostra. — Così disse il ferito e poi si tacque, e qual prima disteso in terra giacque. 6 Si sente il petto a quel parlar trafitto Rinaldo, e per dolor fremendo geme; s'accoglie il sangue intorno il core afflitto, e fredde lascia l'altre parti estreme. Par quasi omai ch'ei non si regga dritto, e così avien ch'ogni suo membro treme, come suol tremolar l'onda talora cui lieve increspi molle e placid'ora. 7 Poi, rosso il volto e torbido il sembiante, con fero, irato e minaccievol guardo, e spesso nel girar sì fiammeggiante che di Giove parea l'acceso dardo, chiede aita a Florindo; e ne l'istante medesmo verso 'l mar sprona Baiardo, e l'indirizza al più vicino porto per lo sentier ch'è più spedito e corto. 8 Non così in terra, in mar o 'n ciel giamai cervo, delfino o partica saetta corse, notò, volò ratto, ch'assai non sia maggior de' cavalier la fretta: già per gran spazio è dilungata omai dal luogo onde partì la coppia eletta, ma pare al lor desir pur troppo lento ogni destrier, benché rassembri un vento. 9 Tu sospesi per l'aria ir gli diresti, or chini e bassi, or alti e 'n su drizzati; né dimora né requie in lor vedresti, né pur i calli dai lor piè segnati. Fuman le membra sotto i colpi infesti che dagli sproni ognor son raddoppiati; i petti di sudor, di spuma i freni, d'arena i piedi son aspersi e pieni. 10 Non sasso o sterpo o discosceso dorso d'orrido monte, o larga e cupa fossa trovan, che porre a tanta furia il morso ed arrestarli in lor viaggio possa. Lor tronca al fin l'impetuoso corso un gran torrente, che con grave scossa l'antico ponte avea pur dianzi rotto, togliendo ogni sostegno a lui di sotto. 11 Non sa che farsi allor l'amante ardito, ch'esporsi a rischio tal non fora ardire, ma privo di ragion folle appetito, e di morte certissima desire. Pur quando al fin gli manchi ogni partito, vol che lasciar l'impresa, anzi morire: tutto si scuote, e gli occhi intorno volve, né men del dubbio caso ei si risolve. 12 Venire in questa, onde deriva l'onda, un guerrier vede sovr'un gran battello, che sì veloce gia per la seconda acqua, come per l'aria alato augello. Rinaldo che 'l tragitti a l'altra sponda con dolce modo umil supplica quello, ché 'l cavalier gli sembra a l'armatura che già lo trasse da la valle oscura. 13 Colui non udir finge, e tuttavia de l'ondoso sentier gran spazio avanza, tal ch'al baron di quel che più desia quasi manca del tutto ogni speranza. Pur i preghi rinforza or più che pria, e cerca di piegarlo a sua possanza con offerte e promesse: ond'in lui fisse gli occhi al

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Argomenti: sangue caldo,    tempo istesso,    vicino porto,    chiaro sangue,    sangue altero

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