Rinaldo di Torquato Tasso pagina 29

Testo di pubblico dominio

la vicina morte: raduna il duolo a l'altrui danno insieme lo stuol de' sensi impetuoso e forte, e la speranza in quell'assalto crudo la ragion chiama, e di lei fassi scudo. 3 Mentre or la speme il duol preme ed atterra, or quasi vinta fugge e si ritira, Amor risguarda la dubbiosa guerra, né qua né là col suo favore aspira. Ma Floriana intanto apre e disserra a' lamenti la via, piange e sospira: talor sì ne' pensier giace sepolta, che non vede, non parla e non ascolta. 4 E se non ch'anco di vergogna il freno, benché sia rotto, non è rotto in tutto, né quel animo altier venuto è meno che la puote ritrar da simil lutto, onta farebbe al vago crine e al seno, né lasciaria di sangue il volto asciutto; pur mentre splende in ciel raggio di giorno, per la real città s'aggira intorno. 5 S'aggira intorno, e non con grave passo, qual si conviene a donna ed a regina, ch'a ciò punto non guarda, e 'l corpo lasso dal furor trasportato oltre camina: onde non manco egli di lena è casso che sia di gioia l'anima meschina; e non trovando questa o tregua o pace, né quello anco in riposo unqua si giace. 6 Così a punto suol far chi alberga e serra in sé rio spirto ad infestarlo intento, dal qual soffre continua interna guerra sì che non ha di posa un sol momento; e, mentre scorre furioso ed erra, porta seco ad ognora il suo tormento. O possanza d'Amor, come ne' sforzi, come in noi del giudizio il lume ammorzi! 7 Pur si risveglia ed eseguisce intanto ciò ch'a la vita sua giovevol sia, ché per mare e per terra in ogni canto molti guerrier dietro l'amante invia, i quai per ricondurlo oprin poi quanto d'eloquenza e di forza in lor più fia; e quel che non potran co' detti umani, almen si faccia con l'armate mani. 8 Con dubbia mente e con tremante petto de' suoi guerrieri aspetta ella il ritorno, qual prigioniero in cieca fossa astretto a la sentenza il destinato giorno; e ben si legge nel pensoso aspetto quai cure entro nel cor faccian soggiorno: gli atti dolenti e 'l parlar rotto danno segno non men del grave interno affanno. 9 In questa di fortuna atra procella, cui tempesta maggior seguì da poi, trasse più giorni la real donzella, aspettando qualcun de' guerrier suoi. Ahi! che 'l lungo aspettar fora per ella il meglio assai, bench'or così l'annoi: vivi, vivi meschina in questo stato, e ti sia l'aspettar soave e grato! 10 Ecco che 'l terzo dì sei di coloro, che dietro 'l paladin furon mandati, ritorno fêr poi che la speme loro in tutto al fin gli aveva abbandonati: ché da Rinaldo al primo assalto foro vinti ed in molte parti ancor piagati, con lor volendo, mal suo grado, trarlo, perch'egli in cortesia negava farlo. 11 Giunti a l'alta donzella i sei baroni, sciolse un d'essi la lingua in queste voci: — Regina, noi trovammo i due campioni che giano al lor camin pronti e veloci; e prima con benigni umil sermoni, e dopoi con parole aspre e feroci, ultimamente con l'armata mano tentamo ricondurli, e sempre in vano. 12 Al cortese parlar cortesemente il figliolo d'Amon diede risposta, e con modo efficace ed eloquente purgò l'error de la partita ascosta. Soggiunse ch'a lasciarvi era dolente, e ch'al ritorno avea l'alma disposta, ma che 'l forzava un caso repentino gir prima in Francia al figlio di Pipino. 13 Né meno ancor si dimostrò cortese alle nostre minaccie il cavaliero, perché placidi detti egli ne rese in cambio del parlar acro e severo. Ma ben di sdegno e di furor s'accese, e conoscer si fe' tremendo e fiero, quando assalito fu; tal ch'indi in breve parve ogni nostro sforzo al sol di neve. 14 Ne disse, poi ch'in suo poter ridutti n'ebbe, e tolto il fuggire e 'l far difesa, ch'egli certo n'avria morti e distrutti in pena sol di sì arrogante impresa; ma perché troppo avea di servir tutti i servi vostri la sua mente accesa, volea, dando perdono al nostro ardire, far pago in qualche parte il suo desire. — 15 Per l'orecchie que' detti a la donzella girno il core a ferir nel petto allora, qual da giust'arco spinte aspre quadrella nel segno il punto a colpir van talora. Slargati i lacci suoi, l'anima bella in quel tempo volò dal corpo fuora; pur, dopo lungo error, con tarde penne ne la vaga prigion mesta rivenne. 16 Allor la dama aprì le luci, e 'ntorno quelle con guardo languido converse, e ch'al secreto suo caro soggiorno l'avean portata sovra 'l letto scerse, e le sue damigelle a sé d'intorno vide non men di caldo pianto asperse; onde, quasi posar dormendo voglia, fa ch'ognuna di lor quinci si toglia. 17 Come sola rimase, e 'l seno e 'l volto scorse d'amare stille aver rigato; l'infermo spirto in un sospiro accolto spinse da l'imo del suo cor turbato; congiunto palma a palma indi, e rivolto in se medesma il fosco guardo irato, disse: — Ahi, che fo? chi questo pianto elice? Deh! ch'a regina il lagrimar disdice. 18 Lascia a l'ignobil alme, ai bassi petti, Floriana sfogar piangendo i guai; tu mostra con alteri e degni effetti il regal sangue onde l'origin trai. Mentre arrise Fortuna ai tuoi diletti, né provasti inimico il ciel giamai; mentre ti fu la castità gradita, già vivesti onorata e lieta vita. 19 Or ch'è morto l'onore onde vivevi, e t'è contrario il cielo e la fortuna, mori! mori, infelice, e non t'aggrevi uscir di vita dolorosa e bruna: ché quanto averla pria cara dovevi, quand'era senza nota e macchia alcuna, tanto ora esser ti dee noiosa e schiva, de' suoi primi ornamenti orbata e priva. 20 Tu, sommo Dio, ch'ascolti i miei lamenti, e sin dal cielo il mio dolor rimiri, s'a le tu' orecchie onesti preghi ardenti penetrar mai sovra i superni giri, se ti mosser giamai devote menti a dar effetto ai lor giusti desiri, fa' che 'l crudel cagion de la mia morte pena condegna in premio ne riporte. 21 Fa', giusto Re, ch'a fera donna il core doni, che prenda i suoi lamenti a gioco, e si veggia preposto altro amadore men degno e ch'arda in men vivace foco! Questo picciol conforto al gran dolore chieggio. Padre pietoso, ahi! chieggio poco: altra pena, altro scempio, altra vendetta al suo peccare al mio morir s'aspetta. 22 Tu che ben sai, Signor, quanto far déi, punisci lui secondo il suo fallire, perch'unqua imaginarmi io non saprei strazio eguale al suo merto, al mio desire. Ma perché meno in lungo i detti miei? Di parlar no, ben tempo è di morire: pongasi al dire, al far togliasi il morso, tronchisi omai de la mia vita il corso. — 22 Così detto un pugnale in furia prende, ch'al gran figlio d'Amon già tolto avea, e 'n lui lo sguardo fissamente intende, in lui che nudo ne la man tenea. In questa di rossor le gote accende, ch'intrepido furor quivi spargea, e con fermezza non più vista altrove di novo ancor queste parole move: 24 — O di crudo signor ferro pietoso, il mal ch'ei femmi, a te sanar conviene: ei mi trafisse col partir ascoso il cor ch'aspro martir per ciò sostiene; tu con aperta forza il doloroso uccidi, com'uccisa è già sua spene; ché quanto il primo colpo a lui fu grave, tanto il secondo, e più, gli fia soave. 25 Quegli già lo privò d'ogni dolzore. ch'il ciel con larga man versava in lui, ma questi gli torrà tutto il dolore che lo fanno invidiar le pene altrui. Tu, caro letto, che d'un dolce amore testimon fusti mentre lieta io fui, or ch'è cangiata in ria la destra sorte, testimonio ancor sii de la mia morte. 26 E come nel tuo sen prima accogliesti le mie gioie, i diletti e i gaudii tutti, ed or non meno accolti insieme hai questi sospir dolenti e questi estremi lutti, così accogli il mio sangue, e in te ne resti eterno segno. — E qui con gli occhi asciutti alzò la man per far l'indegno effetto, e trapassarsi, oimè! l'audace petto. 27 Ma 'l ferro, più di lei benigno e pio, lasciò di sé la man cadendo vòta; il balcon in quel punto ancor s'aprio, quasi repente gran furor lo scuota.

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Argomenti: dolce amore,    vago crine,    corpo lasso,    pensoso aspetto,    caso repentino

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