Rinaldo di Torquato Tasso pagina 37

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fin lo straniero, e così disse: 14 — Signor, se pur è ver che sì bramiate varcar sovra 'l mio legno esto torrente, convien ch'un dono or voi mi promettiate, con fé di poi servarlo interamente. — — Ogni cosa farò, se mi varcate di là — rispose l'altro impaziente. Quelli a la riva appressa allor la barca, e di peso novel la rende carca. 15 Come furon di là, l'estran guerriero, volto a Rinaldo, a lui così ragiona: — Signor, con voi di venir chieggio al fiero certame, ov'ora il gran desio vi sprona; e perché il dono io ne riporti intiero, convien ch'altra armatura e via più buona, ch'io vi serbo, ha più dì, su quell'abete, vestiate; e questa qui lasciar potrete. — 16 Stupito il paladin drizza la vista u' la verde armatura era sospesa, e vede lei con doppia aurata lista lucida lampeggiar qual fiamma accesa; né men forte gli par che bella in vista, e qual conviensi a così dubbia impresa: onde lieto se n'arma e la dispende, e grazie a lo straniero alte ne rende. 17 Quelli a Florindo un destrier dona intanto c'ha vergate le gambe, a carbon spento simil la coda e i crini estremi, e 'l manto mischio con poco nero a molto argento; che sbuffa, ed or a questo, or a quel canto si volge, e par ch'al corso inviti il vento. Gli sprona il fianco allor, gli batte il dorso il buon Florindo, e gli rallenta il morso. 18 L'istesso ancora i suoi compagni fêro, e così insieme al maggior corso andaro. Poi che 'l mondo vestì l'orrido e nero manto, e l'altro spogliò candido e chiaro, posa a l'alma od al corpo essi non diero, anzi il viaggio lor pur seguitaro al raggio algente de la bianca luna, ch'intorno si scotea la notte bruna. 19 A lo scoprir del sol scopriro anch'essi l'avversa schiera a lor non molto lunge. Rinaldo allor con radoppiati e spessi colpi così ne' fianchi il destrier punge, che passa gli altri, e pria ch'alcun s'appressi ei tra' nemici impetuoso giunge; e scorge in mezo a lor Clarice bella, ch'egra e smarrita non si regge in sella. 20 Fu da pietate ed ira insieme ei vinto; pur la pietate a l'ira allor diè loco, onde il sembiante, di furor dipinto, vibrò dagli occhi strai di tosco e foco; e tra' nemici il corridor sospinto diè principio di Marte al crudo gioco. Bene infelice è chi primier s'oppone al gran furor del gran figliuol d'Amone. 21 Musa, or narrami i duci onde Mambrino cinto n'andava largamente intorno, de' quai fur molti allor dal paladino mandati con Plutone a far soggiorno. Dimmi l'imprese ancor, ch'al saracino scielto drappel rendean l'abito adorno; perché la lunga età n'involve e copre non pur l'insegne omai, ma i nomi e l'opre. 22 In vermiglio color portava tinta l'incantata armatura il re famoso, e la superba testa intorno cinta tenea di fregio imperial pomposo; ne lo scudo l'impresa avea dipinta, un gran leon ferito e sanguinoso che la piaga mirava, e v'era scritto, “Io non perdono, e so chi m'ha trafitto”. 23 Qual sanguigna cometa ai crini ardenti, o Sirio appar di sdegno acceso in vista, che con orrida luce e con nocenti raggi nascendo, il mondo ange e contrista, e sin dal ciel minaccia a l'egre genti morbi, ed a grave ardor ria sete mista: tal d'aspri mali annunzio egli risplende con squalido splendor ne l'armi orrende. 24 Gli va da la man destra il destro Olante, che di Francardo fu german secondo, ed avea forma o forza di gigante, ma vago aspetto e crin aurato e biondo: colui che porse aita al magno Atlante, quando cangiò la spalla al grave pondo, e resse il ciel che lui regger dovea, per impresa ne l'arme impresso avea. 25 Da l'altro lato va 'l superbo Alcastro, nato ov'il Nilo impingua il verde Egitto, nel cui natale in ciel regnava ogn'astro che torce l'uom dal camin buono e dritto. Porta un villan che con la zappa e 'l rastro frange le glebbe e si procaccia il vitto. L'impresa è poi del suo compagno Olpestro, congiunto ad una ninfa un dio silvestro. 26 V'è 'l signor degli Assiri, il cauto Altorre, accerbo d'anni e di pensier maturo: una destrutta e fulminata torre ha ne lo scudo in campo verde oscuro. Porta un fanciul che fra le mani accôrre gli attomi tenta, il re dei Siri Arturo; quel di Cilicia, da fier disco estinto sovr'un letto di fiori il bel Giacinto. 27 Atteone il formoso, ond'un più bello non forse allor la terra in sen nudria, se non che ferro, di pietà rubello, tagliolli un piè del qual or zoppo ei gia, pinto avea di Giunon l'adorno augello che nel guardarsi i piè mesto apparia; e v'era un motto che 'l suo grave duolo accennava, dicendo, “In questo solo”. 28 Siegue il saggio Orimeno, a cui son noti de la madre natura i gran secreti: antivedea costui gli effetti e i moti de le sfere celesti e de' pianeti, le pioggie, i tuoni e lo spirar de' Noti, e quando il mar si turbi o pur s'acquieti; antivide sua morte, e de l'istessa la vera forma avea ne l'arme impressa. 29 Va seco il re di Lidia, e porta un lauro ch'al suol sparge di fronde un ricco nembo; lo scudo orna al fratel la pioggia d'auro ch'accolse Danae simplicetta in grembo. Rosso ha lo scudo il fier gigante Oldauro senza pittura, e sol d'argento ha il lembo; e le tre dive ignude il forte Almeno, che regge altier de' Cappadoci il freno. 30 Se 'n va presso costor l'empio Odrimarte, cui sol legge era il suo volere istesso, che 'l vero e i falsi divi a parte a parte in odio aveva ed in dispregio espresso; porta egli sé dipinto, e 'l fiero Marte incatenato e da' suoi piedi oppresso; l'accompagnan Corin, Pirro ed Aiace, ai quali orna lo scudo un'aurea face. 31 Né tu da questi vai molto lontano, o Floridor, cui la novella sposa col pianto indarno e col pregar umano tentò ritener seco in dolce posa: ché lei lassata, ch'aspettando in vano mena fredda le notti e i dì pensosa, armato spieghi in verde campo il fiore che col pianto formò la dea d'amore. 32 Vengon teco anco Almeto ed Odrismonte, che portan Cinzia ed Atteon scolpiti: ambo germani, ambo di forze conte, ambo d'aurato acciar cinti e guerniti. Vi viene il re de' Parti, il fier Corsonte, e scopre tre spinosi arbor fioriti; e riman lo sdegnoso Altin lo scempio: mostra di Vesta impresso il sacro tempio. 33 Sovra un destrier via più che neve bianco di candid'arme altier ne va Filarco, non impugn'asta e non ha spada al fianco questi, ma porta ben la mazza e l'arco: è la su' impresa un uom dagli anni stanco, di crespe rughe il volto ingombro e carco. Niso, Alcasto, Orion, Breusso e Taumante, cinque germani, han per impresa Atlante. 34 Al gigante Lurcon lo scudo indora in campo azuro uno stellato cielo; al re di Caria, Aridaman, l'infiora una rosa che s'apre in verde stelo; ne lo scudo d'Aldriso appar l'Aurora che sparge i fiori e 'n perle accolto il gielo; di Damasco il signor mostra dipinto il vago Adon, da l'empia fera estinto. 35 Olindo e Floridan nati ad un parto, d'un valor, d'un parlar, d'un volto stesso, hanno un prato di fior varii consparto, in cui giace dal vin Sileno oppresso. Il signor d'Antiochia, il mesto Alarto, porta tronco nel mezzo un gran cipresso, cui con più nodi un motto tal s'attiene: “Seccò per mai non rinverdir mia spene”. 36 Tra questi e tra molt'altri, onde corona larga fatta era intorno al re gagliardo, arrestando il troncon Rinaldo sprona con furioso assalto il suo Baiardo. Fuggi, Odrimarte, ché 'l tuo giorno a nona si chiuderà, sì nel fuggir sei tardo: ecco che te, cui d'ogni dio più forte credevi, ora un solo uom conduce a morte! 37 Sanguigna trae da la sanguigna fronte il forte vincitor l'intera lancia, e Lurcon percotendo, un largo fonte uscir gli fa da la piagata guancia. Là dove corron Stige e Flegetonte, e 'l severo Minòs l'alme bilancia, fuggì l'altero spirto, e fe' fuggire a molti allora il lor soverchio ardire. 38 Passa sdegnoso il cavaliero, e senza vita abbandona questi e senza onore; poi trova i

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