Rinaldo di Torquato Tasso pagina 38

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duo fratei ch'in apparenza indifferenti, ahi! con che dolce errore, spesso i padri ingannar: ma differenza dura troppo or vi fa l'ostil furore, che scema Floridan d'ambe le braccia, e per mezzo ad Olindo apre la faccia. 39 Contra Rinaldo allor si move Aldriso, non men ch'irato il cor, sdegnoso il ciglio. Morta la madre, uscio dal ventre inciso questi, e picciol schivar l'aspro periglio poteo del ferro, onde già grande ucciso poi fu, né gli giovò forza o consiglio. Né tu men gli giovasti, o biondo Apollo, cui da bambino il genitor sacrollo. 40 Rinaldo poi con cinque aspre ferite que' cinque frati un dopo l'altro uccise, le cui speranze al fin lasciò schernite Fortuna, che lor destra un tempo arrise. L'alme nel corpo già tra lor sì unite, né disciolte da quel, restar divise, perché Pluton tutte albergolle insieme nel cerchio ov'i superbi aggrava e preme. 41 Mentre, come villan che 'n verde prato stenda l'adunca falce in largo giro, ruota Rinaldo intorno il brando irato, dando sempre ai pagani aspro martiro, i due compagni suoi da l'altro lato il nemico drappel feri assaliro, come due tigri cui digiuno e rabbia spingan fra' tori a insanguinar le labbia. 42 E ben lo san color che d'aurea face portano il campo de lo scudo adorno, de' quali un già vil busto in terra giace, privo del lume del sereno giorno. L'altro, trafitto il cor, si more e tace, pensando al suo natio dolce soggiorno, ed a l'amata moglie, omai vicina a le prime fatiche di Lucina. 43 Restava il terzo ancor, quand'il romano eroe ne' danni suoi la spada strinse. Miser! la forza e lo schermirsi è vano contra colui ch'in ogni impresa vinse. Già la rapace Morte alza la mano, e 'l manto squarcia onde Natura il cinse; l'alma, qual lieve fumo o poca polve, nel puro aer si mischia e si dissolve. 44 Atteon, che quel colpo orribil scorse, aggiacciò di stupor, d'ira s'accese, e verso 'l buon Florindo il destrier torse con fere voglie a darli morte intese; ma pria parole a lui che colpi porse, e 'n questa guisa ad oltraggiar lo prese: — Credi forse irne impune? Ahi! che s'aspetta a te gran pena, al morto aspra vendetta! 45 Tu qui morrai su questi incolti piani, né rendrai gli occhi anzi il morir contenti; né chiuderanti con pietose mani quei già cassi di luce, i tuoi parenti: ma preda rimarrai di lupi e cani, esposto a l'onde, a le tempeste, ai venti. — Così detto, il destrier spronando punse, e d'un gran colpo a mezzo scudo il giunse. 46 L'empio ferro crudel rompe il ferrigno scudo, e col duro usbergo il molle petto. Lelio, che quindi uscir vede il sanguigno umor macchiando il ferro terso e netto, d'ira infiammato e di furor maligno percosse e franse l'inimico elmetto, e 'n sino al naso penetrò la spada, onde convien che quel morendo cada. 47 Il leggiadro garzone in terra langue, pallido il volto e nubiloso il ciglio, e da la fronte un ruscellin di sangue versa qual ostro lucido e vermiglio; ma bench'egli sia già freddo ed esangue, e provi omai di morte il crudo artiglio, è però tal che puote a un solo sguardo ferire ogn'alma d'amoroso dardo. 48 Molti piagati e molti estinti avea in questo mezzo il paladin feroce, ed egli illeso ancor se 'n rimanea, ch'a l'arme sue non taglio o punta noce, ma pisto il corpo omai pur si dolea. Non perciò appar men destro e men feroce, anzi gagliardo i suoi nemici offende, e da lor si schermisce e si difende. 49 Mambrino allor, che, quasi a sdegno avendo di trar la spada per sì vil impresa, l'empie brame di sangue entro premendo, fermo stava a mirar l'aspra contesa, si trasse avanti in fier sembiante orrendo, che minacciava altrui mortale offesa, e 'l folgorante sguardo ai suoi rivolse; indi in grave parlar la lingua sciolse: 50 — Traggasi ognuno indietro: a me s'aspetta l'impresa, a me voi vendicar conviene, a me domar costui ch'in sì gran fretta ad incontrar la morte audace viene. Voi, gente infame, vil turba negletta, la qual io... ma tempo è che l'ira affrene, anzi pur che la volga e sfoghi altrove: state in disparte a rimirar mie prove! — 51 Al superbo parlar del fier Mambrino alcun non è ch'ad ubbedir ritardi; fassi gran piazza intorno, e 'l Saracino volge a Rinaldo i detti alteri e i guardi: — Deh! perché teco non son or, meschino, Carlo e di Carlo i paladin gagliardi, e quanta gente nutre Italia e Francia, a provare il furor de la mia lancia? 52 I tuoi compagni almen de la tua sorte fian testimonii, e non potranno aitarti. Tu giacendo vedrai vicino a morte da la vittrice man l'arme spogliarti. — Rinaldo a quello: — Io qui morrò qual forte, s'è fisso in ciel, né tu pria déi vantarti; o pur, ucciso te, che Giove il voglia, altier n'andrò de l'acquistata spoglia. — 53 Mentre egli ancor così gli parla, arresta il re superbo la massiccia antenna; e spronando il corsier sovra la testa di voler côrre il paladino accenna: ma si sottragge a la percossa infesta Baiardo, lieve più ch'al vento penna. Rinaldo, nel passar presso la mano, tronca l'asta d'un colpo al fier pagano. 54 Indi, ogni suo vigore in un raccolto, dechina il braccio e maggior colpo tira, e lo percuote a punto a mezzo il volto, là 've per stretta via si vede e spira. L'elmo che, dove 'l gran Tifeo è sepolto, temprò Vulcan, resse del brando a l'ira, ma china a forza il capo il re feroce, per ira e duol stridendo in aspra voce. 55 Né sì di rabbia il tauro ardendo mugge, né sì percosso il mar da' venti geme, né sì ferito a morte il leon rugge, né sì sdegnato il ciel tonando freme: a l'orribil gridar s'asconde e fugge ogni animal, non pur ne dubbia e teme; si rinselvan le fere a stuolo a stuolo, e rivolgon gli augelli indietro il volo. 56 L'irato re, ch'a vendicarsi intende, raggira il ferro in fiammeggiante ruota: l'aria si rompe ed alto suon ne rende, quasi di Giove il folgor la percuota; quando dal braccio il colpo orribil scende, par ch'intorno il terren tutto si scuota, com'avien se i vapor, secchi e rivolti in venti, stanno a forza entro sepolti. 57 Ma 'l cauto paladin, che scorge aperto lo sdegno ostile e 'l fier rabbioso affetto, qual cavaliero in tai battaglie esperto, indi per sé n'attende utile effetto; e ne l'armi si tien chiuso e coperto, ed in se stesso sta raccolto e stretto, facendo or con lo scudo or con la spada che la percossa avversa indarno vada. 58 Tal volta ancor con lieve e destro salto il veloce destrier tragge in disparte, e così van l'impetuoso assalto rende non men de l'inimico Marte; poi, vibrando la spada or basso or alto, sì lo schermirsi col ferir comparte, che n'è 'l gigante in molte parti offeso, ed egli ancor se 'n va salvo ed illeso. 59 Chi visto ha mai ne l'africane arene, quando il leon l'alto elefante assale, com'egli destro ad affrontar lo viene, come de l'arte e del saltar si vale, che non fermo in un luogo il passo tiene, ma gira sempre, e par ch'al fianco aggia ale, Mambrino a questo e 'l gran Rinaldo a quello potria rassomigliar nel fier duello. 60 Tra mille colpi al fin colse il gigante pur una volta il paladino in fronte, mentre spingendo il corridore avante quel ne venia per farli oltraggio ed onte. Quasi allor giacque da l'acciar pesante oppresso, qual Tifeo dal vasto monte; e, com'il mondo oscura notte adombre, agli occhi gli apparir tenebre ed ombre. 61 Ma le membra il vigor, gli occhi la vista racquistar tosto, e 'l cor l'usato ardire. Di sì rio caso il cavalier s'attrista, ed apre il petto a novi sdegni ed ire; e tanto più che n'ha Clarice vista gli occhi oscurar, le guancie impallidire: onde fiere il pagan con tanta possa che se no 'l ferro, il duol ben giunge a l'ossa. 62 Temendo a sé rio scorno, a lui ria morte, mira Clarice il suo gradito amore, e come varia del pugnar la sorte, varia ella il viso e varia stato al core: or con le guancie appar pallide e smorte, or di

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