Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 26

Testo di pubblico dominio

Mi par d'essere un Dio, capisci, in una pozzanghera. Mettermi con i liberali? Ma con qual partito mettermi qui, santo cielo, se hanno tutti un'impronta di angustia e di miseria! Guarda i clericali! Se c'è un clericale col quale si possa discutere non è di qui, è Soldini, che viene da Milano. I liberali? Lo so che adesso li avrò tutti intorno a me e ne son seccato a quest'ora. Li conosco e li peso! E poi, già, io non so ancora cosa diventerò. Tanto, sai, la mia parte d'azione nel mondo la esercito! Non so, mi pare di esserci portato dal destino, ma non credo che neanche fuori di qui diventerei mai quello che si chiama un liberale. Gente invecchiata. La libertà è stata un ideale e adesso non può essere che un'arma. È più facile che tu mi veda socialista." "No no" fece Jeanne; senza molto calore, però. "Eh, non socialista con i socialisti di qui, sai! Forse neanche con i socialisti di Milano e di Torino che valgono di più. Certo mai con gl'ignoranti, nè con i disonesti, nè con i cupidi!" "Ma neanche con gli altri!" "Perchè?" Piero sapeva che Carlino Dessalle era un feroce nemico del socialismo; non s'era mai accorto che Jeanne dividesse il sentimento del fratello. Infatti Jeanne non ne divideva l'odio. Era scettica, profondamente scettica. "Perchè è una cosa inutile" diss'ella. "Il mondo va come deve andare. Sono sogni. Sarai una mosca del carro." Egli protestò così sdegnosamente che Jeanne se ne atterrì. "No no, scusa scusa, zitto zitto!" Sopraggiungeva allora la comitiva oltrepassata sul piazzale della chiesa. I giovani, già tanto chiassosi, passavano in silenzio, rapidamente, avendo riconosciuto Maironi. Invano le due povere mamme sgangherate arrancavano loro dietro gemendo: "Tosi! putèle!". Maironi aspettò che passassero anche le due mamme e poi ritornò alle proteste; ma Jeanne lo supplicò di smettere, di non guastare l'ora felice, di parlarle di amore, soltanto di amore, e la sua voce aveva lente carezze di mani tenere. Egli si arrese, ebbe un ritorno di passione come nella villa, voleva lasciare la via maestra, prenderne un'altra ombrosa che se ne spicca pochi passi oltre la chiesa. Jeanne si oppose. Piero insisteva, quasi violento. "Adesso ti prendo fra le braccia, ti porto dove voglio io." Ella tenne fermo, lo trasse avanti. "Avresti gridato?" diss'egli. "No, ti avrei morso." Egli tacque. Fatti pochi passi, Jeanne, conducendo a fine con la voce un ragionamento incominciato nel silenzio, gli domandò se avesse rotto proprio del tutto anche con la sua fede. "Credo di sì" diss'egli. Jeanne sorrise. "Come, credi?" Egli giustificò la parola strana. "Sai, vi è nell'anima mia un tale polverìo di rovine ancora in moto, che non so bene cosa sia caduto e cosa resti in piedi. Credo di credere ancora in Dio, questo sì, ma non nel Dio che mi hanno insegnato. Quello l'ho sepolto a Praglia. Era già mezzo morto dentro di me, anche prima: stavo però ancora nel vischio delle mie vecchie abitudini mentali. Chi sa, se tutti i cattolici fossero come un vecchio prete che conosco, non avrei perduta la fede. Anche lui, però! Mi dice che non devo giudicare la Chiesa cattolica da qualche centinaio di persone e io non sapergli rispondere che da tutta intera la Chiesa cattolica si va ritirando la vita, che tutto vi è antiquato, dalla parola del Vaticano a quella dell'ultimo cappellano di campagna! Una volta ho pensato: "Se venisse un altro San Francesco! Se venisse un altro Sant'Agostino!" Adesso so che non verranno". "Mi dispiace" disse Jeanne "che tu abbia perduta la fede." "Perchè?" "Perchè so quanto è triste di non aver dentro di sè niente di fermo, niente di assoluto." "Tu non hai niente, in te, di fermo?". "Niente, tranne l'amore." "Non credi neppure che ci sia un'altra vita?" "No" rispose Jeanne, sospirando. Tacquero entrambi. A un tratto Jeanne esclamò: "E la luna?". Alzarono insieme gli occhi alla luna, quasi dubitando che l'eclissi fosse già passata. L'ombra copriva un terzo dell'astro. Guardarono l'ora. A momenti avrebbe dovuto arrivare la carrozza. "Spero che non vengano" disse Jeanne. Soggiunse che il pittore veneziano era stato innamorato di lei e confessò che una volta, pure non amandolo affatto, lo trovava carino, e si divertiva delle pazzie ch'egli, malgrado i rabbuffi di lei, le diceva. Adesso non le diceva più pazzie e le era venuto a noia. Maironi finse d'intendere ch'ella rimpiangesse le pazzie di colui, fece il geloso. Risero insieme, risero deliziosamente di altri innamorati di Jeanne, del capitano Reggini, uggioso, malgrado il suo spirito, per la gelosia che si permetteva con quel bel diritto, risero di un maturo signore ammogliato della città, ambizioso dell'alloro di libertino e poco pratico del mestiere, che non s'era peritato di far l'audace e, messo a posto, aveva preso il Ponte dei Sospiri. Una carrozza dietro a loro. Cavalli bianchi; non la carrozza Dessalle. Jeanne e Maironi si fecero da banda, nell'ombra di un muro. Principiava lì una discesa ripida, il cocchiere mise i cavalli al passo. Era uno stage pieno di signore, di ufficiali e di una chiassosa discussione astronomica sul naso del colonnello, del quale naso il capitano Reggini giurava veder l'ombra sulle montagne della luna e proprio sul vulcano della Desolazione, mentre qualcun altro giurava alla sua volta che quella era l'ombra delle appendici frontali di... Proteste inorridite, esclamazioni, risate, risatine, satire, cavalli e stage, tutto passò. A Jeanne pareva che fosse stato pronunciato il nome di suo marito. "Anch'io sai" diss'ella, "vorrei tanto andar via!" "Dove?" "Dove nessuno ci conoscesse." Egli la comprese, le strinse forte il braccio, le domandò: "E tuo fratello?" Jeanne sospirò. "Basterebbe dirgli che nella valletta del Silenzio, dopo le piogge abbondanti, l'acqua ristagna e infetta un pochino l'aria. Ma io non lo farò. Villa Diedo gli piace tanto e ci ha già speso un tal monte di denaro!" Ecco i cavalli di casa Dessalle, al piccolo trotto. Il landau è vuoto, il romano antico scende di cassetta e dice che non è arrivato nessuno. Jeanne e Maironi salgono. Jeanne non vorrebbe incontrare lo stage, propone, senza troppo riflettere, di ritornare a villa Diedo e attendervi il culmine dell'eclissi sulla terrazza. Maironi le mormora un "grazie" così caldo ch'ella si pente della proposta. Non osa però mutarla. Soltanto allora, risalendo lentamente l'erta, dietro le orecchiute maestà del cocchiere e dello staffiere, Jeanne e Piero guardarono la scena del loro idillio, le bianche villette più e più smorte per i colli oscurati, il tremolar nuovo di stelline nascenti dal profondo del cielo. Passavano ondate d'aria tiepida, odori d'acacie in fiore, ondate d'aria fresca, odori di bosco umido. "Il Suo paese è bello, però" disse Jeanne. "Non è il mio." "Come, non è il Suo?" Maironi rise per il tono delle parole di Jeanne che pareva offesa, pareva non credergli. "Sempre orgogliosa!" diss'egli. "Non vuol mai avere sbagliato!" Ella sorrise pure, gli alitò sul viso un "Cattivo!". Poi gli domandò ad alta voce dove mai fosse il suo paese e soggiunse piano: "Lo so, non ci aveva pensato". Piero le parlò della casetta dov'era nato, del romito lago, delle grandi, austere montagne di Valsolda. Il landau toccava allora il sommo dell'erta, i cavalli presero il trotto. "Se fossimo là in barca, noi due soli!" disse Piero. "Ci saremo mai? Soli, in una piccola barchetta, nell'ombra di un golfo, sull'acqua che palpita?" Passò un braccio dietro le spalle di Jeanne, sentì la bella persona rilevarsi un poco e poi premergli sul braccio, deliziosamente, ora più ora meno, rispondendo a ogni sua stretta. Non si parlarono più che così. I cavalli correvano, gli odori ventavano sulla via dell'una e dell'altra fiorita sponda, tutte le cose si facevano al mancar della luna più e più smorte in un languore voluttuoso, nel presentimento di una congiunzione arcana dei due astri nell'ombra. Appena un sottile orlo di argento del rossastro globo

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Argomenti: vecchio prete,    pittore veneziano,    maturo signore,    stage pieno,    sottile orlo

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