Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 24

Testo di pubblico dominio

strali, parlava di eclissi del tè, del babà, delle sigarette cubane, dolcezze sperate invano dalle amiche, di eclissi di un tenente e di un segretario di prefettura, sperati anch'essi e non visti comparire al ritrovo. Qualcuno gridò dalla retroguardia: "Dica eclissi della buona creanza!". La dama furiosa confermò: "Bravo! E cosa credete? Che vadano a veder l'eclissi, lei e l'amico? Si eclisseranno loro, invece, in qualche boschetto!". Si capiva che la compagnia era salita a villa Diedo con l'elegante idea di fare una sorpresa gradita, pigliando l'eclissi a pretesto; e che Jeanne l'aveva poco amabilmente congedata. Le signorine incontrarono Maironi che saliva rasente il muro di sostegno della costa, nell'ombra. Una di esse lo riconobbe, finse di sdrucciolare e appiccicatasi di peso al braccio della povera Importanzèta minore, la fece sdrucciolar davvero, strillò con la sua vittima. Subito strillarono anche le madri, i cavalieri si slanciarono al soccorso, tutta la retroguardia venne giù sull'avanguardia come una valanga e Maironi passò. Trovò socchiusa la porta del giardino, entrò sotto la folta carpinata di sinistra cui luceva in fondo un chiaror di ghiaia illuminata dalla luna. Da un lato della carpinata un'ombra nera scattò sul chiaror bianco, Piero si sentì stretto nelle braccia di Jeanne, n'ebbe la fronte impetuosa sul petto. Stettero così lungamente abbracciati senza una parola, egli con la bocca sui tepidi, soffici capelli di lei, respirandone l'odore; ella stringendolo forte, premendo e scotendo la fronte come per rompergli il petto ed entrarvi tutta. Finalmente Jeanne disse piano, senz'alzare il capo, che suo fratello era fuori di città, che aveva tanto gioito di questa inattesa fortuna e poi tanto trepidato, tanto temuto; temuto di non poter star sola con lui, prima; poi quando le era riuscito di mandar via dei noiosi, temuto che egli non venisse. E gli rise sul petto un piccolo riso di gioia. Piero non disse niente, le prese il capo a due mani, glielo alzò a forza, la baciò ingordo, sugli occhi, sulle guance, sulle labbra, sempre in silenzio, Jeanne concedendosi, rendendo i baci ma senza foga. Ella gli levò alfine dolcemente le mani dal collo, gli prese il capo alla sua volta, lo baciò sulla fronte come per quietargli il sangue e sussurrò: "Adesso dimmi una parola". Ma perchè il giovine, ingordo ancora, inasprito nel suo desiderio, rispondeva solamente, fra un bacio e l'altro: "Ho sete, ho sete", ella si staccò da lui, disse risoluta "basta", gli ordinò di uscire, di star fuori alcuni minuti, di suonare il campanello per riguardo ai domestici. Ell'andava ad aspettarlo sulla terrazza. Maironi obbedì, malcontento. Cinque minuti dopo, un domestico usciva, precedendolo dalla carpinata tenebrosa nel chiaro di luna, e, alzata la impenetrabile faccia liscia di romano antico alla balaustrata della terrazza, annunciava: "Il signor Maironi." Jeanne, ritta dietro la balaustrata, chiusa in un mantelletto bianco, rispose al saluto rispettoso di Piero: "Che bravo!" e sorrise. Piero salì sulla terrazza con il cappello in mano, con un sorriso troppo simile al sorriso di lei che gli veniva incontro. Era magnifica, nel chiaro di luna, la terrazza di marmo bianco, protesa dal piano signorile della villa, porgente lo scalone al giardino, sommersa la balaustrata nel furioso assalto del roseto, in una scarmigliata pompa di fogliame denso, di grandi occhi carnei, di lunghe frondi mobili ai fiati vagabondi della notte. Era magnifica con il suo arco di bellezza in giro alle tre fronti, via via dagli umili oscuri piani del settentrione al radiante chiarore del cielo sopra la città illuminata, al dorso dell'altura stretto fra le due carpinate lunghe, ai campi arati dormenti nella valletta del mezzogiorno, sotto la luna. "Perchè non si resta qui?" disse Piero con voce sommessa, come se le parole innocenti potessero tradire a qualche orecchio curioso il suo desiderio di un'ora beata in quel solingo incanto di marmi e di luna, fra le rose inquiete, accennanti un voluttuoso invito. "Adesso si resta qui" rispose Jeanne; e ordinato al domestico il caffè, la bevanda favorita di lei e dell'amico, si avviò verso alcuni sedili di bambù aggruppati in un angolo della terrazza. "E poi si va" diss'ella piano, abbandonandosi riversa, con un sospiro, sulla poltrona bassa lambita dalle rose. Vide negli occhi di Piero un lampo che la fece rizzarsi di botto. "Com'è cattivo, Lei!" diss'ella. "Io non ci penso mai." Egli protestò, acceso, che non era cattiveria di amarla con tutto il suo spirito e tutto il suo sangue, di... Jeanne lo interruppe con un gesto, gli additò una finestra della villa, illuminata e aperta. "Le cameriere" diss'ella. Piero si morse le labbra, la guardò a lungo, parlando con gli occhi fissi, ardenti. Poi le disse che non era più sindaco, che aveva rotto con quella gente, per sempre, che gli pareva di nascere a un'altra vita, ch'era ubbriaco di libertà. Appena proferita la parola gli sovvenne della catena intatta. Jeanne parve colpita dalla stessa idea, non trovò niente a dire. Dopo un momento di silenzio penoso, parlò dei seccatori venuti dalla città col pretesto dell'eclissi per fare una bizzarria elegante e divertirsi. Aveva dovuto licenziarli con desolazione, povera Jeanne! Un impegno, un ritrovo sulla via dei colli, con amici. In verità suo fratello l'aveva lasciata in forse di ritornare da Venezia con un amico pittore, in tempo di assistere insieme all'eclissi, ed ella si era impegnata di salire ai colli in carrozza e di fermarsi ad attenderli sul tratto di via che signoreggia i due versanti. I seccatori parevano disposti ad aspettare ch'ella partisse. "Temo di non essere stata molto gentile", diss'ella. "Del resto" soggiunse, alludendo a due dame della città che l'adoravano malgrado un assai tepido ricambio da parte sua, "nè l'una nè l'altra delle mie gelose c'era, le mamme e le signorine della compagnia erano venute immensamente più per mio fratello che per me; e forse qualcuna era venuta per eclissarsi in buona compagnia nel boschetto o sotto le carpinate." Maironi pensò involontariamente che aveva udito dai "seccatori" una simile parola detta per Jeanne, e non n'ebbe piacere. Intanto entrò il romano antico recando il caffè. "Sapevo quello che Lei mi ha raccontato" disse Jeanne. "Me lo ha detto questa sera, mezzo costernato, mezzo fremente, il signorino fiero della biblioteca. E ho capito che lo sapevano anche gli altri. Je les ai entendus dire en partant que j'avais les nerfs et que c'ètait l'effet de la crise." "Andiamo a piedi, eh?" diss'ella poi. "Faccio scendere la carrozza alla stazione e ordino che ci raggiunga poi a ogni modo, arrivino o non arrivino." Diede le istruzioni al domestico e si alzò mentre dall'alto santuario del colle, bianco sul cielo sereno, suonava la gran voce solenne della mezzanotte. Poichè andavano a piedi era tempo di mettere il cappello e i guanti. Maironi la seguì in sala, nella bella sala rettangolare onde il Tiepolo ha dipinto le due pareti maggiori, mostrandoci qua Ifigenia fra i carnefici e i principi dolenti, là gli equipaggi achei volti alle navi per l'imbarco. Era semiscura, odorata di héliotrope e di sigarette cubane. "Restiamo qui, restiamo qui" disse il giovine con una voce tanto strana, con un accento di supplica tanto ardente che Jeanne, avviata a salire nelle sue camere, affrettò il passo. Egli balzò dietro a lei nel corridoio oscuro che conduce alla scala, le gittò le mani alla vita, ma ella se ne strappò di slancio, saltò nella luce della scala. Ridiscese presto, triste, con la cameriera. Appena il domestico ebbe chiuso alle loro spalle il cancello del giardino, Maironi chiese perdono. Jeanne non rispose. Egli si sentì gelare il sangue, si fermò sui due piedi. Jeanne gli prese il braccio, gli disse che non era in collera, ch'era soltanto triste, molto triste, di sovreccitargli tanto i sensi, di non essere intesa nei suoi slanci di amore immenso e

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Argomenti: voce tanto,    saluto rispettoso,    furioso assalto,    simile parola,    voce solenne

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