Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 16

Testo di pubblico dominio

chiostro e il cielo, ma il disordine vivo e la foga, nel cortile, dell'erbe ubbriache di primavera. Contemplava l'erbe, pieno il cuor torbido e dolente di quella offerta d'amore immenso, dell'idea che forse Dio non esisteva o almeno ch'era un Dio diverso da quello della fede cristiana, poichè di tante preghiere, penitenze e lotte lo rimunerava permettendo che in un momento simile fosse tentato così. "Lei ama i fiori? Quelli bianchi son gigli, vero? E quelli gialli son dente di leone? E quelli azzurri che sono? Dica, senta un'idea carina. Non han l'aria tutti questi fiori di aver saputo che non ci sono più i frati severi nè i loro asini ghiottoni, che non ci son più nè comandamenti nè precetti, e d'essere allora sgusciati fuori da quella corbeille, da quella vecchia vasca là in mezzo, di essersi dispersi per fare all'amore allegramente un po' dappertutto? Dica." Volendo pure almeno una paroletta dolce per l'idea carina, Dessalle posò un dito sulla spalla di Maironi che trasalì e rispose a caso: "Certamente!" Sullo scalone del Settecento che sale ai grandi androni fiancheggiati di celle, mentre il custode indicava le lapidi commemoranti visite imperiali austriache, Francesco I, Ferdinando I, e Dessalle gemeva come se lapidi e scalone gli premessero sullo stomaco, sua sorella, preso da capo il braccio di Piero, gli sussurrò affannosamente: "Non mi abbandoni." Egli non rispose parola, strinse inconsciamente col proprio il braccio di Jeanne, rallentò subito la stretta, come atterrito. Gli occhi di lei, che si erano illuminati di dolcezza, lo interrogarono con sgomento. Egli disse allora, non volendole dire, per uno sdoppiamento della sua volontà, per un maligno impulso interiore, parole che sentiva esser il principio della sua disfatta: "Le parlerò subito." Si erano avviati per un androne alla loggetta sporgente che guarda i neri approcci del monastero, il fianco della chiesa, il gran piano di settentrione fino a nevose Alpi lontane. Non udirono il custode che li richiamava: "Signori, da questa parte!" Dessalle gridò: "Jeanne!". Allora si voltarono e Carlino disse a sua sorella che aveva un'idea: questa. Poichè il Governo con la sua Giunta superiore di Belle Arti, con i suoi elenchi di monumenti nazionali, con le sue Commissioni conservatrici di niente e rompitrici all'infinito, con le sue cateratte di retorica ministeriale, lasciava marcire e perire un gioiello simile, comperarlo per una frateria nuova di artisti e di poeti che avessero un comune concetto dell'arte e fossero già entrati negli anni della sapienza cosicchè non importasse loro più affatto nè di onori nè di amori. "Vediamo le celle" disse la signora. Ma Dessalle protestò che mai non avrebbe posto piede in una di quelle celle senza farsi precedere da una eccellentissima soluzione di sublimato corrosivo al quattro per mille. "Temo particolarmente i microbi frateschi" diss'egli. "Entrateci voi ma stateci poco." Entrarono in una cella. Appena il custode ne tornò fuori pensando esser seguito da loro, Jeanne si fermò. "Dunque?" diss'ella. Adesso Maironi non voleva più dir niente. La signora, corrucciata, si accostò al finestrino, parlò guardando i campi, a voce bassa: "Lei non ha cuore. È egoista. Si diverte a essere amato e ha paura di compromettersi, vorrebbe dire e non dire, farsi avanti e tirarsi indietro, non tanto avanti da metter sè in pericolo e non tanto indietro da offendere me. È antipatico, disgustoso!" Si voltò a guardarlo. Il cruccio degli occhi dolenti, delle labbra serrate e sporte finì in un ritorno di dolcezza e di preghiera. "Sì" diss'egli, senza avvicinarlesi. "Disgustoso a me stesso, sopra tutto. La mia prima risoluzione era, guardi, cacciarmi in una cella di frate, per sempre!" "Dove? Qui?" fece la Dessalle, ironica. "Questa era la prima; e la seconda?" Il custode rientrò facendo suonar le chiavi e disse che lo sposo della signora la desiderava. Sia Maironi che Jeanne sentirono cosa quell'uomo aveva pensato di loro. Alla signora ciò era indifferente. A Maironi parve aver dato un passo avanti nella via scura dell'abbandono di sè alla passione. "Credevo che recitaste compieta" disse Dessalle, un po' brusco. Sua sorella gli rispose che infatti aveva provato lì dentro certa inclinazione a monacarsi e che Maironi aveva sentito una divina chiamata per il ministero di sacrestano del convento. Conoscendola incapace di coprir con affettate impertinenze le tracce di una emozione diversa, Carlino rise e ritornò agli amoreggiamenti fantasiosi col monastero, al piacere di crearvi con la sua immaginazione bellezze nuove per goderne primo e solo, di esprimere i suoi capricci intellettuali in una forma curiosa, pregna dell'aura cerebrale sua. Aveva rassomigliato il monumento a un sogno e come quell'incognito Carucci dal quale gli pareva esser tanto disforme, vi andava specchiando i sogni suoi propri, le sue proprie fantasie estetiche. Ne assaporava certe squisitezze particolari d'arte che gli parlavano del suo favorito Quattrocento e intanto l'anima unica dell'abbazia venerabile, vivificante ogni pietra di pensiero santo, orante nella solitudine con la maestà di un grande che si sente dissolvere in Dio, non era interrogata da lui e non gli parlava. Essa taceva pure interamente con la signora Dessalle. Jeanne Dessalle, intelligentissima d'arte, non aveva dato alle magnifiche architetture un solo sguardo attento e camminava a caso, legata i pensieri e i sensi alla presenza di Maironi. A Maironi la impertinente trovata della signora sulla vocazione era parsa forse un colpo di spillo a lui, certo una soffiatina di polvere negli occhi del fratello, soffiatina che supponeva la complicità sua. Gliene corse nel sangue prima una brivido di dolcezza, poi una reazione di malcontento. Quando i suoi compagni, che lo precedevano, oltrepassata una porta senza uscio, svoltarono dal corridoio nel cortile pensile, ed egli, rimasto un poco indietro, si trovò a fronte quel chiaror largo, quel quadrato severo di contrapposte arcate, il puteale nel mezzo, il tabernacoletto sull'angolo del refettorio, pieno di cielo sotto il pinnacolo, fra le quattro colonnine, lo Spirito del monastero lo fermò. Preso dal suo dramma, il giovane si era scordato di essere a Praglia. Riconobbe a un tratto il chiaror largo, il quadrato di arcate, il puteale nel mezzo, il tabernacoletto sull'angolo del refettorio. Trasalì, si arrestò. Era il posto della commozione inesplicabile, della presenza misteriosa, che due volte, a intervalli di anni, aveva sentito. Sul piano del cortile, sulle fronti delle arcate, un crescente lume di sole veniva più e più colorando le pietre austere come un'ascensione interna di vita, di senso, di parola. La prima volta lo Spirito del monastero aveva inebriato il giovinetto di desiderio, aveva la seconda volta percosso l'uomo di rimprovero; adesso lo respingeva da sè, muto. "Ebbene, caro Maironi, che fa? Venga! Ci sono cose meravigliose, qui!" Dessalle trascinò Piero nella loggia, gli mostrò la cresta scura del colle imminente al tetto della loggia opposta. "Faccia grazia, Praglia è l'abbazia del Morgante, del mio divino Morgante! Quello è il monte dei giganti! Che stava pensando, Lei? Non ci pianti! Pensi che oggi dovevano venire a Villa Diedo la contessa Importanza e le contessine Importanzète e noi le abbiamo piantate per Lei!" Avevano riso insieme, in passato, di questi nomignoli inflitti da certa signora di loro comune conoscenza a una nobile dama della città e alle sue figliuole che si dicevano insidiare al celibato di Carlino. "Non per Lei, per Praglia!" corresse Jeanne, senza voltarsi. "Vada vada, ammansi mia sorella!" esclamò Dessalle e si fermò a schizzare sul taccuino una elegante porta sotto le arcate di levante. Maironi raggiunse la signora che non mostrò avvedersi di lui. Andarono così a paro per qualche momento, senza parlarsi. "Già Lei ha paura!" disse alfine Jeanne con voce sommessa ma vibrante. "Lei non vuol dirlo ma capisco, pensa

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Argomenti: disordine vivo,    dio diverso,    momento simile,    paroletta dolce,    maligno impulso

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