Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 29

Testo di pubblico dominio

del Settecento ammollisce i cuori. Jeanne sospira, Fusarin ritrova in sè veteris vestigia flammae, si attenta di accarezzarle, di soppiatto, una mano, onde Jeanne si alza e va, con un lievissimo sorriso traditore, a voltar le pagine a suo fratello. Fanelli indovina e guarda maliziosamente Fusarin che si butta sul davanzale di una finestra e incensa le stelle con il suo manilla. Berardini fiuta un intrigo, incontra due volte, per caso, i begli occhi di Jeanne, palpita, sogna un'avventura casanoviana. Jeanne sente il proprio fascino, ne gode per lui al quale idealmente appartiene. E il cortigiano Bach va intorno lusingando ciascuno con parolette dolci, con risolini blandi, s'inchina grazioso con un colpo di tricorno al vento e si ritira. Berardini applaude forte e subito trova modo di sussurrare a Jeanne, in francese, che non ha udito niente, che ha veduto lei sola, che bisogna riprodurre nel ballo i personaggi degli affreschi, ch'ella sarà Calipso e lui il mare. "L'amer?" dice Fanelli, ficcando il naso nel dialogo. "Il l'est toujours. N'en goûtez pas!" E una risatina. Zitto, perchè adesso entra So Ecelenza el nobilomo Marcello e Chieco richiama Jeanne. "Bella mia, non date retta alle asinate di costoro. A posto! E non voltate troppo presto come avete fatto prima! E voi altri atei porci, attenti! Perchè io, quando suono Marcello, credo in Dio! Avanti! Andiamo!" Era la quarta sonata per violoncello e piano. Dopo un trillo del violoncello, il credente Chieco, menando certe potenti arcate, gridò: "Questo mondo non si può sopportare!". E su e su verso l'alto con l'onde accavallantisi delle arcate veementi. "Senza Calipso" sussurrò Fanelli. Infatti Fusarin, preso dalla violenza della musica, teneva su Jeanne gli occhi ardenti, la scongiurava con gli slanci del violoncello. Il clavecin parve disadatto a tanta passione. Come poteva Beethoven concepire le sonate senza concepire insieme il pianoforte moderno? Carlino sostenne che la musica di Beethoven aveva creato il pianoforte moderno come negli organismi non è l'organo che si crea la potenza, è la potenza che si crea l'organo. Si passò a Corelli, ma Carlino era stanco, alla seconda pagina sbagliò il tempo, si prese del ladro e dell'assassino da Chieco, il quale, dopo due "a capo" smarrito ancora il compagno, saltò in piedi gridando: "Ci troveremo al caffè! Ci troveremo al caffè!". Mentre gli altri amici ridevano col reo Carlino, egli prese Jeanne a parte, le disse qualche cosa di tanto arrischiato che Jeanne fece un atto di vivo sdegno. "Niente, niente, niente!" si mise a gridare buffonescamente lo sfrontato uomo. "Dirò come il mio barcaiuolo — de Venessia — quando gli domando se vuol piovere: «Gnente, gnente! La montagna vorave ma el mar no la intende!»". E tutta la brigata passò ridendo nella sala d'Ifigenia. Al suono del clavecin e del violoncello, il giardiniere Çeóla, l'ortolano, sua moglie, un paio di braccianti erano sbucati all'aperto presso che in camicia. Si era quindi aggiunto al gruppo, sotto le finestre di Calipso, uno straccione in tuba, un vecchio mattoide nottambulo, che tutti chiamavano el sior Piereto Pignolo. "Ciò, ti, colo storto" disse il giardiniere all'ortolano, finita la gavotta di Bach, "ti che te frui i banchi de le ciese e che te ghe credi a l'inferno, sti siori che gode el bon tempo tuto el dì e tuta la note, disito che i ghe vada o che no i ghe vada a l'inferno?" "Va là, mato! Cossa vètu a tirar fora?" rispose l'ortolano, e sua moglie soggiunse: "Lassèlo stare el me omo che l'è un bon omo. Vardè de no andarghe vu, a l'inferno". "Mi? Ghe andaria volentiera, vardè vu, per vederli andar a rosto lori. I fa compagno de le mosche, sti maledeti, che co xe qua novembre, le fa el demonio sui veri quando che ghe bate el sole. I sa che i la ga curta e i ghe dà dentro a più no posso." Zitto, musica in alto, Marcello. "Che musica da gati! Mi torno a cuccio" brontola l'ortolana quando il pezzo è finito. "Tasi, bestia" le dice il marito, placido. "E mi" ripiglia lei, "che voria saver se i ghe crede, i siori, a l'inferno! Mi digo che i ghe crede tanto cofà vu, giardiniero. E lora, capìo, mi digo che chi sa che el Signore no li manda in malora lori e anca vualtri che no volì saverghene de ciesa e che el ne fassa diventar siori nualtri che se tien da Elo. Cossa diselo, Lu, sior Piereto, ch'el ga studià?" Zitto, musica nell'alto, Corelli. "Me par che i vada a torzio" brontola il giardiniere, udendo le interruzioni della musica e il tempestare di Chieco. "Mi digo" incomincia solennemente il mattoide in tuba quando non si ode più nè chiasso nè musica "che sì tuti una manega de aseni. Aseni i to paroni perchè i te paga ti, giardinier. Aseno ti, perchè se te ghe comandavi a quel bambozzo de quel to fiolo de ciapar le braghe de la biblioteca, lu el becava el posto istesso e ti te podevi darme le so braghe vecie a mi. Asena vu, ortolana, perchè no capì che sì nata con un muso da brocoli e che gavì da crepar in mezo ai brocoli; e aseno anca ti, ortolan, che te vè in ciesa e te robi poco!" E il signor Piereto Pignolo volta le spalle, se ne va lento e solenne verso il cancello, fendendo le ghiaie argentee con la sperticata ombra della tuba. Nell'uscire dalla sala di musica, Berardini trattenne un momento Jeanne. "Lei s'interessa per un aspirante senatore?" diss'egli con gli occhi accesi. "Non troppo, non troppo!" rispose Jeanne ridendo. Infatti ella s'era adoperata per il marchese Zaneto quando le premeva il favore degli Scremin che avrebbero potuto insospettirsi dell'assiduità del Maironi e allontanarlo, tuttora indeciso com'era, da lei. Adesso, sicura del fatto suo, lasciava fare a Carlino che ci aveva preso gusto. "Non troppo ma però abbastanza, insomma" replicò Berardini. "La riuscita è possibile. Occorrono però alcune cose. Prima, che il genero del marchese si dimetta da sindaco e abbandoni il suo partito; o almeno, se il disertare gli ripugna troppo, che non militi più." "Questo è fatto" interruppe Jeanne. "Ah! Bene. Poi, che nel collegio del Bresciano dove il signor Maironi ha possedimenti grandi e dove i suoi agenti, finora, hanno raccomandato sempre l'astensione, questi agenti facciano invece votare, nell'elezione prossima, per il candidato del Governo. Poi, che si trovi modo di far cessare certe dicerie sulle condizioni economiche del marchese. Finalmente, e questo preme assai perchè il Governo non vuole compromettersi troppo, che non gli sia contrario un uomo politico influente di cui ho detto il nome a Carlino e che sarà senza dubbio fatto interpellare, con prudenza, dal Presidente del Consiglio. Credo che a queste condizioni la cosa si possa considerare decisa. È contenta? Posso sperare un piccolo premio?" Qui Berardini abbassò la voce, e con un sorrisetto stupido cercò prender le mani di Jeanne che, pronta, gli volse le spalle. Quando Chieco, nella sala d'Ifigenia, vide l'uomo comparire alquanto mogio dietro la dama accigliata, si mise a gridare da capo: "Paron benedeto, gnente, gnente, la montagna vorave, ma el mar no la intende!". Ella raggiunse gli altri e si dispose a fare il tè. Carlino e Fusarin parlarono del futuro ballo, discussero l'idea di prescrivere agli invitati i costumi degli affreschi, di confondere nelle sale lucenti le Ifigenie ai Rinaldi, gli Agamennoni alle Armide, i Medori alle Didoni. Parlarono del progetto di coprire con ferro e vetro le due terrazze della villa, di ridurre l'una a vestibolo e l'altra a buffet. Carlino non voleva saperne dell'odiosissimo ferro, Fusarin pretendeva di poterlo dissimulare interamente con arazzi e stoffe, lo snobino Fanelli posava qua e là nella contesa il suo pizzico di sapienza mondana, sfoderava la sua conoscenza di sale illustri, di grandi poeti dell'arredamento. A Carlino piaceva solamente l'idea degli arazzi perchè ne aveva dei superbi, del Cinquecento, che a villa Diedo non poteva collocare. Però i suoi arazzi avevano da esser diventati seminari di batteri! C'era da

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