Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 23

Testo di pubblico dominio

visti, Lei, questi calzoni? E il nostro signor collega talentone ha dovuto confessare di no. Non si è però dato per vinto. Al Municipio, s'intende bene, non ebbe il muso di presentarsi. Doveva andare dal signor commendatore Prefetto per affari della provincia, insieme a un senatore e a due deputati. Non faccio nomi. Sbrigati gli affari della provincia si fa un po' di conversazione e il nostro collega... scherzando... mettendo quasi la cosa in ridicolo... vien fuori con l'affare dei calzoni". Qui l'uomo acido, desideroso di una rivincita, esclamò: "Come fala a saverlo?". "Come faccio a saperlo?" rispose Quaiotto sdegnosamente. "Lo so perchè lo so. E La prego di credere che quel che so lo so." "Bravo!" fece l'uomo acido. Il suo vicino gli disse sottovoce che l'usciere di prefettura Martinato era fratello del gastaldo di Quaiotto. Questi continuò: "Tanto il senatore quanto i deputati ci mettono pure le loro risatine. L'illustrissimo signor Prefetto la piglia sullo stesso tono. Scherzano, ridono tutti e cinque. Non credo che il signor Ricciotti Çeóla sarebbe stato contento dei loro discorsi, se avesse origliato all'uscio; ma intanto l'illustrissimo signor Prefetto si assume di parlarne all'illustrissimo signor sindaco. Infatti il giorno dopo, ier l'altro, Prefetto e sindaco si trovano insieme in quella tale casa, si parlano, scherzano, ridono. Voi non lo crederete: ieri Çeóla si presenta in Biblioteca con una lettera del signor sindaco che lo dispensa dall'uniforme. Il nostro dottor Zàupa non ne sa niente, nessuno della Giunta ne sa niente, Çeóla trionfa di tutto e di tutti, e i calzoni che dovrebbero prestar servizio in Biblioteca, eccoli qua!" L'oratore, temendo che si sorridesse, temendo che lo sdegno dell'uditorio non riuscisse adeguato al suo desiderio e al misfatto del sindaco, balzò in piedi, e gesticolando, declamando come un barbiere in tragedia, esclamò: "Signori! Questo atto del signor sindaco, non esito a dirlo, è inqualificabile. Questo atto è un insulto alla Giunta, un insulto al bibliotecario, un insulto alle tradizioni dell'amministrazione comunale, un insulto ai nostri principii, alle nostre opinioni. Pare un piccolo fatto, signori, ma invece è un fatto grande, come sarebbe un fatto grande la prima piccola goccia che in questo istante filtrasse dal fiume sotto le fondamenta dell'onesta casa dove siamo raccolti". Il dottor Zàupa alzò di scatto le sopracciglia fino ai capelli. L'altro riprese: "È necessario che questo atto del sindaco venga revocato! È per noi questione di dignità, questione di onore. È necessario che una deliberazione della Giunta stessa e, se occorre, del Consiglio medesimo, tolga la concessione inconsulta. È necessario!" Quaiotto, avendo concepito il disegno di assistere la propria eloquenza con un pugno di gran suono sul tavolo, spinse con la sinistra i calzoni da banda e con la destra menò il pugno, mentre i suoi vicini gli gridavano "Ocio! Ocio!" e un cestellino di porcellana dorata spinto da una bomboniera, spinta da un album, spinto dalle brache del Municipio, capitombolava nell'abisso. "Oh Dio, la mamma!" pensò Matìo nel cuore mentre la bocca diceva: "Gnente, gnente, gnente!". E si precipitò col desolato Quaiotto, con i colleghi più agili, a raccogliere gli sparsi cocci dorati. Quattro schiene tumultuavano sotto il tavolo: quella del buon Matìo che ripeteva "gnente, gnente, gnente", quella di Quaiotto che gemeva "per carità, per carità, per carità!" e altre due schiene ricche di buone speranze nella risurrezione artificiale del cestellino. Gli undici personaggi seduti, intenti, con le mani sulle ginocchia, alle quattro schiene e ai cocci brillanti, dirigevano il lavoro. "Quaiotto, a dritta!" "Dotòr, a sinistra!" "Più in qua!" "Più in là" L'uomo acido, dato di gomito all'uomo amaro e poi a un altro vicino, mostrava loro con un sorriso giallo la testa e il seno della donnetta di porcellana che uscivano dalla tasca posteriore sinistra dell'abito di Matìo. Inutilmente il donnone ricomparso sulla soglia con una lettera in mano chiamò tre volte, guardando stupefatta quella baraonda: "Siòr paron! Siòr paron! Siòr paron!". Matìo non udì che la quarta chiamata. Cosa c'era adesso! Una lettera di gran premura, mandata dal signor sindaco. Il presidente dell'adunanza uscì rosso rosso di sotto il tavolo, prese la lettera, l'aperse, mise una esclamazione, dedicò un nuovo omaggio mentale alla finezza dello smilzo abate, chiamò a due mani i colleghi a sè e lesse ad alta voce: Egregio signore, Apprendo che i consiglieri della maggioranza si riuniscono quest'oggi in casa Sua per trattare di affari del Comune. Non invitato alla riunione, giudico, senza sorpresa e senza il menomo rammarico, che la maggioranza desideri troncare i suoi legami con il capo dell'Amministrazione comunale. Risolvo perciò di rassegnare immediatamente le mie dimissioni al R. Prefetto e ne do comunicazione a Lei, assessore anziano, avvertendola che non rimetterò piede in ufficio. Gradisca, egregio signore, i sentimenti della mia personale osservanza. Devotissimo P. Maironi "Evviva!" gridò Quaiotto. "Eclissi del sindaco!" E tutte le facce s'illuminarono, meno quella dell'uomo acido. "S'el mandava la so ciacierata un'ora prima" diss'egli scendendo le scale, "no me tocaria de magnar i risi longhi e no gavaria le scarsèle piene de braghe". "E io Le dico" gridò su Quaiotto dal fondo della scala, "che ho le tasche piene dei Suoi brontolamenti!" L'uomo acido storse la bocca, gli occhi, le sopracciglia, le rughe gialle delle guance e della fronte, forse anche gli orecchi, ma non ribattè sillaba. Gli altri non facevano che parlare a lingua sciolta degli amori del sindaco e la scala era piena di tutto che nel salotto si era faticosamente taciuto. "E cossa dise la marchesa?" "Povareta, la xe un spetro." "E el marchese?" "El se adata." "Ma sèmoi proprio a sto punto?" "Mi digo de sì." "Mi digo de no." "Disela de no? I dise de sì." Le stesse cose si erano bisbigliate sulle scale, più sommessamente, prima della seduta, fra i consiglieri che s'incontrarono a salirle insieme. Così entrano bisbigliando in un cavo montano rivoletti che lo empiono di acque silenziose e queste poi traboccando insieme a valle ripigliano le chiacchiere con maggior voce. III I nuvoli che alle quattro pendevano sulle spettabili tegole dell'onesta casa Zàupa, diedero alle sei un violento acquazzone. Tuoni, lampi, furioso vento apersero nitide da levante a ponente le vie della luna. Il principio dell'eclissi era annunciato per le undici e mezzo, e verso le undici Maironi doveva recarsi a villa Diedo per salire poi con i Dessalle sul vicino colle, dove un nastro di magnifica via serpeggia per le alture signoreggiando a vicenda, e talora insieme, l'oriente infinito e il disordinato campo d'occidente che le radici tortuose dell'Alpe ingombrano sino alla fuga obliqua dell'alte sue fronti. Poco dopo le dieci e mezzo egli si metteva per la stradicciuola ripida e deserta che sale alla villa dalla scuderia. La luna radeva le vette degli alberi pendenti dalla costa sulla strada. Piero, camminando rapidamente nell'ombra, udì un chiacchierìo di voci femminili e maschili che gli scendevano incontro. Rallentò egli pure il passo. Riconobbe le voci delle signore che Carlino Dessalle chiamava contessa Importanza e contessine Importanzète, di altre signore, di ufficiali e borghesi suoi conoscenti, che ridevano, si facevano congratulazioni smaccate, magnificavano lo spettacolo dell'eclissi dalla terrazza della villa. Gli uomini schiamazzavano, la contessa Importanza li sgridava: "Zitto! zitto!", un'altra, che pareva furiosa, esclamava: "Che zitto! Parlate forte! Per me giuro che non ci ritorno mai più!". Precedeva un gruppo di signorine, ridendo a proposito di certa eclissi che non era quella della luna, della eclissi di un giovine signore, la quale, a sentir le altre, aveva molto afflitto la maggiore delle Importanzète. Questa protestava, ritorceva gli

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Argomenti: due mani,    sorriso giallo,    tasca posteriore,    posteriore sinistra,    nuovo omaggio

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