Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 53

Testo di pubblico dominio

al corso del treno, i loro sguardi s'incontravano, si univano, correvano insieme. Forse anche nel ritmico fragore che li portava con sè si toccavano i loro segreti pensieri. Faceva molto caldo. A Brescia Piero offerse una bevanda, che fu accettata, non per sete, con un sorriso di gratitudine, tanto umile, tanto parlante che il viaggiatore seduto dirimpetto a Jeanne guardò subito negli occhi l'uomo a cui la bellissima signora sorrideva così. "E l'elezione?" diss'ella. Sulle prime Piero non intese. Ah, sì! Il suocero gli aveva scritto e telegrafato a Brescia supplicandolo di lavorare o almeno di far lavorare. Lettera e telegramma gli erano stati trasmessi in Valsolda. Proprio per questo, neppure voleva fermarsi a Brescia fra un treno e l'altro. Nella galleria di Lonato Jeanne gli prese una mano, se ne recò il polso scoperto alle labbra e poi agli occhi umidi. La mano si arrendeva senza resistere nè secondare. Usciti dalla galleria, guardavano entrambi in silenzio, per il finestrino, i poggi ridenti, ma un lieve ansare li tradiva. Quando apparvero le sfumate montagne grandi e il marino azzurro del Garda, Jeanne domandò: "Com'era il Suo lago, stamattina?". Piero rispose ch'era drammatico, tutto un tremolio di brillanti a levante nei vapori azzurrini, tutto verde cupo a ponente sotto nere minacce di nuvoloni. Descrisse le battaglie della luce e dell'ombra sulle montagne che cingono il lago, con molto calore, con abbondanza di parole, come rifacendosi del silenzio serbato riguardo ad altre battaglie. Jeanne si fece coraggio. "Quella persona, come l'ha lasciata?" E accennò impercettibilmente del capo a lui stesso. Piero sospirò e rispose con un atto silenzioso di sconsolata incertezza. "Dio!" fece ancora lei, come tra sè, dolorosamente, ma pure rianimata nell'intimo. "È una cosa tanto diversa!" Piero la interrogò con gli occhi ed ella gli chiese quanti minuti di fermata si avessero a... Venti minuti. Piero intese, si affrettò a dire che aveva colà un convegno col dottor... e gli era necessario di trattenersi, durante la fermata, con lui. Jeanne conosceva il nome del dottor... e il suo ufficio presso la Demente. Approvò di cuore, mostrando che posponeva il desiderio proprio e se stessa all'interesse doveroso di lui per sua moglie. "Sì, sì, fa bene." E cercò da capo lo sguardo, l'anima cara là fuori, sulle acque serene del Garda. Aveva temuto il peggio, adesso le pareva di sentire indecisa quell'anima, e sperava, sperava appassionatamente, pronta ad incontrar con gioia ogni sacrificio, a vederlo meno, a interdirsi la dolcezza delle carezze, la dolcezza del tu, s'egli lo avesse chiesto, pur di non perdere il suo amore, pur di non esserne abbandonata. Sperava con timore e tremore, coprendo di triste soavità, chiudendosi nel cuore la sua fragile speranza. In fatto Piero fluttuava tuttavia. Nello scrivere a Jeanne lo aveva agitato un tempestoso ritorno della sua giovinezza credente, un assalto di dolore e di amore, un inenarrabile anelare dello spirito a Dio. Passata la prima violenza di quest'onda, egli si era posto in difesa contro se stesso, contro le proprie tendenze mistiche, contro tutto che potesse condurlo ad abbandonare la sua prefissa via di un apostolato per la giustizia sociale, senza odio alla Chiesa cattolica, ma del tutto indipendente da essa; la via che avrebbe dovuto sognare per lui sua madre quando non credeva che nella idea di giustizia, non adorava che l'idea di giustizia. Egli riconosceva in se stesso il sangue di lei e il sangue del padre, il loro fatale conflitto rinascente. Gli venne il sospetto che la sottomissione di sua madre fosse stata piuttosto amorosa e pietosa che sincera. Subito pensò a quella gran lealtà di lei, a quella fierezza. Come avrebbe mentito? Malgrado tutto, il sospetto ritornava. Gli era tuttavia duro il lottare contro il sangue di suo padre. Gli balenavano nel cuore incerto immagini di vita solitaria, contemplativa, consolata di pratiche religiose, nella casa de' suoi vecchi, gli balenava nella memoria il consiglio di don Giuseppe Flores. E tosto rompeva con questi sogni. A poco a poco si venne formando in lui la convinzione che il cimento fosse decisivo, che se gli riuscisse di vincere, sarebbe poi rimasto fermo per sempre nel concetto più razionale della vita e del suo fine; che in lui, sciolto da vincoli di dogmi e di Chiese, ma interamente sacro a una causa di giustizia, il sangue di suo padre si sarebbe alfine pacificato; molto più se sapesse prendere certa risoluzione coraggiosa, compiere certo grande sacrificio alla giustizia di cui aveva trovato, e non riferito a Jeanne, la ragione e la proposta nel portafogli. Ma quando anche Jeanne, da lontano, gli avesse letto nell'animo questa vittoriosa riscossa dell'elemento razionale sul mistico, non ci sarebbe stato, per lei, da rallegrarsene molto. Poteva il suo amore accordarsi con i doveri di un apostolato sociale quale Piero lo concepiva? Non era da sacrificare questa debole passione per una donna che non sapeva comprendere la grandezza, la bellezza della sua idea? Non ne sarebbe pure contenta sua madre, se sapesse? Doveva essere austera, sua madre, doveva essere inesorabile per chi, cedendo alla passione, rompe, anche solo momentaneamente, una fede giurata e stringe legami non confessabili, legami che non si coprono senza mentire. Seduto, nel pomeriggio del venerdì, sul muricciuolo dell'orto fra le rose piantate da suo padre, che gli parevano tanto più soavemente spirituali di quelle voluttuose e orgogliose di villa Diedo, egli stava pensando che, se Jeanne non gli avesse resistito, non sarebbe stato possibile di lasciarla mai più, quando gli portarono il telegramma di lei da Milano. Molesto, quel telegramma. Gli garbava poco d'incontrarsi con Jeanne così presto, prima di aver fermata dentro di sè la via da tenere. Riflettendo su questa impressione sgradevole, si domandò: "L'amo io ancora?". E subito sentì dentro di sè il freddo della risposta, lo sgomento di una propria possibile ipocrisia. Altre volte, però, nel contatto dello scetticismo di lei, del suo spirito di contraddizione, gli era parso di non amarla più ed erano state freddezze passeggere. Partire o non partire, l'indomani mattina? Finì col dirsi ch'era meglio affrontare presto questo incontro quasi temuto. Rientrando pensoso in casa dove un giardiniere di Lugano lo attendeva per intendersi circa i rampicanti da sostituire alla passiflora morta, non potè a meno di paragonare il sentimento proprio, anche nel passato, a quello di Jeanne, di riconoscerlo tanto minore di forze e di nobiltà, di dubitare che se non fossero state, nel principio, le appassionate audacie di lei, se non fosse stato in lui un cieco desiderio di libertà, di vita e di amore, il primo incontro in ferrovia non avrebbe avuto alcun seguito. Il sabato mattina, venuta l'ora della partenza voci pie di memorie, voci tenere di cose gli ammollirono l'anima come nella sera memorabile. L'arancio, il mandarino del giardinetto, le finestre aperte della sua povera casetta vuota, le rose, il bel pino dell'orto gli parevan guardare a lui mentr'egli passava sul battello, con il dolce sguardo accorato dei dolenti che non han voce. A misura che si allontanava, i richiami del presente più e più potevano contro i richiami del passato, del romito asilo di pace; ma correndo in ferrovia Val Porlezza, lo riprese improvviso nella memoria il senso del turbamento premonitorio che, giorni prima, passando di là e durante tutto il viaggio, aveva provato. Era egli dunque stato tratto in Valsolda da una energia soprannaturale? O forse il primo impulso n'era venuto da un sogno dimenticato? Forse gli eccitamenti di Jeanne e l'abitudine di recarsi sul lago in primavera erano stati causa del sogno? Passata Grandola, all'apparire dell'orientale seno di cielo che oltre il sottile colle di Bellagio si sprofonda fra due ali di montagne in fuga più giù verso Lecco, trasalì come se già gli fosse apparsa Jeanne, non pensò più

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Argomenti: ritmico fragore,    tempestoso ritorno,    fatale conflitto,    cuore incerto,    grande sacrificio

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