Piccolo mondo moderno di Antonio Fogazzaro pagina 70

Testo di pubblico dominio

fratello" diss'egli, dopo un breve silenzio. "Così Ella potrà presentarsi a villa Diedo per ringraziarlo in mio nome. Ma cerchi di vedere anche lei; meglio se la può vedere sola. Probabilmente questo sarà desiderato da lei stessa. Le dica che lascio i miei amici ma che spero di rivederli nella vita vera e che intanto domando loro perdono del male fatto ad essi, in qualunque modo. Le dica che uscito dal mondo pregherò particolarmente per qualche anima inferma di scetticismo, che, se ponesse in Dio l'amore posto in una creatura, diventerebbe sublime. Gliel'ho detto, don Giuseppe, che se il mio peccato mentale non è stato anche reale lo debbo a lei?" Don Giuseppe taceva a capo chino, pensoso non di questo difficile colloquio con la signora Dessalle, ma del mistero nel quale Piero chiudeva le sue risoluzioni future. In quale Ordine religioso intendeva egli entrare? Anzi, entrerebbe egli in un Ordine o disporrebbe liberamente la sua vita? Come? Quando? Finalmente si alzarono ambedue, uscirono insieme dalla camera. Mentre si congedavano per la notte il custode chiese a don Giuseppe da parte del parroco d'Albogasio a quale ora desiderasse di celebrare l'indomani mattina. Don Giuseppe guardò Piero come per conoscere il suo desiderio, ma Piero non parlò. Egli rispose allora: "Alle sette." I fiori delle montagne lontane rimasero nella camera dell'alcova, tristi e deserti come la donna che aveva loro spirato in segreto il suo cupo affanno. Così tanti anni prima, in quella stessa camera dell'alcova, si era infuso a recisi moribondi fiori l'affanno cupo di Luisa. IV Prima di coricarsi don Giuseppe scrisse alla marchesa Nene la seguente lettera: Ottima signora Marchesa, abbiamo deposto la diletta Sua nel campo di riposo che il santo, gentile desiderio di lei nominò. È stato un momento solenne. Il campo, la gradinata che vi sale, l'angusta via di sotto eran gremiti di gente silenziosa, commossa. Io dissi alla Eletta del Signore poche parole come seppi, nel nome di noi ch'ella precedette nella morte, e nel nome di coloro ai quali ascese come una pia figliuola. Vidi la gente piangere per la pietà di questa giovine sconosciuta che ha scelto il loro umile Camposanto a sua ultima dimora e anche per l'affetto che tutti qui portano ancora alla memoria delle persone che le sono vicine in terra come nel cielo. Il luogo è bello, fra viti e ulivi, presso alla riva del lago. Il cielo sereno, il lago tutto lucente nel vento estivo, il gaio stormir delle frondi parevano dirci di non piangere perchè la nostra morta era nella gioia immensa della visione divina. Ricevetti oggi la Sua lettera. Creda che io stesso accolsi con certa diffidenza l'annuncio del proposito concepito da Suo genero di uscire dal mondo per abbracciare uno stato di assoluta povertà e penitenza; nè penso aver mancato al mio dovere di consigliargli riflessione, preghiere, paziente attesa di una conferma della divina Volontà. Le confesserò pure che forse, posto il suo ingegno, la cultura, la condizione sociale e questo inatteso ritorno alla fede cristiana che Iddio ha occultamente disposto, io avrei desiderato da lui un'attiva partecipazione alla vita pubblica, anche per il bene particolare di questa nostra povera patria. Ho presto conosciuto incrollabile la risoluzione del signor Piero, nè sarei ora sicuro di fare, combattendola, opera buona. Egli è impazientissimo di recarla ad effetto e io accettai ch'egli mi cedesse la proprietà de' suoi beni perchè ne disponessi secondo le sue intenzioni. L'atto fu rogato dal notaio di qui oggi stesso, e il signor Piero mi darà domani in iscritto le istruzioni che mi ha, del resto, già fatto conoscere a voce. Forse domani mi dirà pur qualche cosa circa la sua partenza di qua come circa l'Ordine religioso che avrà scelto. Fino ad ora non ho potuto penetrare affatto nulla. A rigore, neppur potrei asserire ch'egli abbia il proposito di entrare in un Ordine religioso. Comunque sia, le disposizioni del signor Piero, certe sue oscure allusioni all'avvenire che Le riferirò a voce, e sopra tutto il grande dolore, gli eventi mirabili ond'è nato questo mutamento, mi fanno sperare, ottima signora Marchesa, tale un frutto dell'afflizione Sua che Ella ne debba dar lode a Dio per vista come di tutto che Le accade gli dà lode per fede; tale un frutto che dissipi certi giudizi e sospetti e timori circa il carattere del fervore religioso di Suo genero pervenuto sino a me e, secondo la sapienza del mondo, non del tutto infondati nelle parvenze. A fructibus eorum cognoscetis eos. Iddio continui a benedirla di santi pensieri e conservi a noi lungamente chi tanto ci riflette della sua luce e della sua pace. Domani celebrerò in suffragio della Sua Elisa. Devotissimo Don Giuseppe Flores V L'indomani mattina, prima di uscire con la messa, don Giuseppe domandò se il signor Maironi fosse in chiesa, e, udito che no, attese, così parato, alquanto. Finalmente, tardando ancora Maironi a venire, uscì. Rientrato in sagrestia vi trovò il custode il quale aspettò a mala pena che finisse il ringraziamento per dirgli con voce tremante e con faccia turbata di venire a casa subito subito. Cosa era mai successo? Il custode non rispose che quando ebbe chiuso dietro di sè l'uscio di casa. La risposta fu uno scoppio di pianto. "Ma santo cielo, cosa c'è?" esclamò don Giuseppe, "parlate!" Impossibile; il pover uomo non riusciva, fra i singhiozzi, a spiegarsi. "Guardi qua!" diss'egli a stento. E gli porse un biglietto. Don Giuseppe lo lesse, comprese, non mostrò meraviglia, si fece accompagnare nella camera dove Piero aveva dormito. Era una cameretta dell'ultimo piano, con due finestre, una a mezzogiorno, sopra il tetto della sala, verso monte Bisgnago, l'altra a ponente, sopra il giardinetto pensile, in faccia allo specchio lungo e stretto delle acque, che va sino a Gandria e al San Salvatore. Ambedue le finestre erano aperte, la pace del lago e delle montagne entrava nella camera vuota. Una valigetta e un soprabito di Piero erano sul cassettone, l'ombrello e il bastone in un angolo, onde a prima giunta don Giuseppe, sorpreso, esclamò: "Se la sua roba è qui!" Ma poi trovò sulla scrivania una lettera con questa soprascritta: Per Lei, don Giuseppe, e Iddio Le renda il bene che mi ha fatto. Il letto era intatto, don Giuseppe domandò al custode se non avesse udito alcuno scender le scale durante la notte, aprir la porta di casa. No, non aveva udito. In fatto alle sette e mezzo la porta era ancora chiusa. Invece don Giuseppe, alle sei e mezzo, aveva trovato aperto il cancello del giardinetto. Piero doveva essere uscito di là. Don Giuseppe lesse la sua lettera; non vi erano che le istruzioni promesse, la conferma delle intelligenze prese a voce e una busta suggellata, con la scritta: Da aprirsi dopo la morte di Piero Maironi. Il biglietto al custode conteneva un affettuoso saluto di commiato, una lode, un ringraziamento e l'ordine di considerare don Giuseppe Flores come suo padrone. Il custode non sapeva, non capiva niente, temeva un atto disperato per la morte della signora, parlava di far subito ricerche a Porlezza e a Lugano. "No no" gli disse don Giuseppe, "non temete disgrazie. È il Signore che lo conduce. Se il Signore vorrà, lo rivedremo. Egli desidera intanto nascondersi al mondo. Rispettiamo il suo desiderio." In quel momento il fedele custode tacque, ma poi non si tenne dall'andar cercando le tracce del padrone. Mai non gli fu possibile di trovarne alcuna. Nessuno lo aveva incontrato, nessuno lo aveva veduto, nessuno ne aveva udito i passi. Se mai sia per venire il giorno in cui la occulta via dell'uomo scomparso si riveli, in cui ci si apprenda il perchè di tanto mistero, solo Chi lo ha chiamato alle proprie battaglie lo sa.

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Argomenti: condizione sociale,    peccato mentale,    difficile colloquio,    ordine religioso,    gentile desiderio

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