Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 31

Testo di pubblico dominio

sei onze la salma! Scrivete la mia offerta, segretario! - Alto! - gridò il notaro levando tutte e due le mani in aria. - Per la legalità dell'offerta!... fo le mie riserve!... E si precipitò sul baronello, come s'accapigliassero. Lì, nel vano del balcone, faccia a faccia, cogli occhi fuori dell'orbita, soffiandogli in viso l'alito infuocato: - Signor barone!... quando volete buttare il denaro dalla finestra!... andate a giuocare a carte!... giuocatevi il denaro di tasca vostra soltanto!... Don Ninì sbuffava peggio di un toro infuriato. Peperito aveva chiamato con un cenno il canonico Lupi, e s'erano messi a confabulare sottovoce, chinati sulla scrivania, agitando il capo come due galline che beccano nello stesso tegame. Era tanta la commozione che le mani del canonico tremavano sugli scartafacci. Il cavaliere lo prese per un braccio e andarono a raggiungere il notaro e il baronello che disputavano animatissimi in un canto della sala. Don Ninì cominciava a cedere, col viso floscio e le gambe molli. Il canonico allora fece segno a don Gesualdo d'accostarsi lui pure. - No, - ammiccò questi senza muoversi. - Sentite!... C'è quell'affare della cauzione... Il ponte se n'è andato, salute a noi!... C'è modo d'accomodare quell'affare della cauzione adesso... - No, - ripigliò don Gesualdo. Sembrava una pietra murata. - L'affare del ponte... una miseria in confronto. - Villano! mulo! testa di corno! - ricominciò ad inveire il barone sottovoce. Don Filippo, dopo il primo momento d'agitazione, era tornato a sedere, asciugandosi il sudore gravemente. Intanto che il canonico parlava sottovoce a mastro-don Gesualdo, il notaro da lontano cominciò a far dei segni. Don Filippo si chinò all'orecchio di Canali. Sottomano, in voce di falsetto, il banditore replicò: - L'ultima offerta per le terre del comune! A sei onze la salma!... Uno!... due!... - Un momento, signori miei! - interruppe don Gesualdo. - Chi garantisce quest'ultima offerta? A quell'uscita rimasero tutti i bocca aperta. Don Filippo apriva e chiudeva la sua senza trovar parola. Infine rispose: - L'offerta del barone Rubiera!... Eh? eh? - Sissignore. Chi garantisce pel barone Rubiera? Il notaro si gettò su don Ninì che sembrava volesse fare un massacro. Peperito dimenavasi come l'avessero schiaffeggiato. Lo stesso canonico allibì. Margarone balbettava stralunato. - Chi garantisce pel barone Rubiera?... chi garantisce?... - A un tratto mutò tono, volgendola in burla: - Chi garantisce pel barone Rubiera!... Ah! ah!... Oh bella! questa è grossa! - E molti, al pari di lui, si tenevano i fianchi dalle risate. - Sissignore, - replicò don Gesualdo imperturbabile. - Chi garantisce per lui? La roba è di sua madre. A quelle parole cessarono le risate, e don Filippo ricominciò a tartagliare. La gente si affollava sull'uscio come ad un teatro. Il canonico, che sembrava più pallido sotto la barba di quattro giorni, tirava il suo compagno pel vestito. Il notaro era riuscito a cacciare il baronello contro il muro, mentre costui, in mezzo al baccano, vomitava: - Becco!... cuor contento!... redentore! - La parola del barone! - disse infine don Filippo. - La parola del barone Rubiera val più delle vostre doppie!... don... don... - Don Filippo! - interruppe l'altro senza perdere la sua bella calma. - Ho qui dei testimoni per metter tutto nel verbale. - Va bene! Si metterà tutto nel verbale!... Scrivete che il baronello Rubiera ha fatto l'offerta per incarico di sua madre!... - Benone! - aggiunse don Gesualdo. - Quand'è così scrivete pure che offro sei onze e quindici a salma. - Pazzo! assassino! nemico di Dio! - si udì gridare mastro Nunzio nella folla dell'altra sala. Successe un parapiglia. Il notaro e Peperito spinsero fuori dell'uscio il baronello che strepitava, agitando le braccia in aria. Dall'altro canto il canonico, convulso, si gettò su don Gesualdo, stringendoglisi addosso, sedendogli quasi sulle ginocchia, colle braccia al collo, scongiurandolo sottovoce, in aria disperata, con parole di fuoco, ficcandoglisi nell'orecchio, scuotendolo pei petti della giacca, quasi volesse strapazzarlo, per fargli sentir ragione. - Una pazzia!... Dove andiamo, caro don Gesualdo?... - Non temete, canonico. Ho fatto i miei conti. Non mi scaldo la testa, io. Don Filippo Margarone suonava il campanello da cinque minuti per avere un bicchier d'acqua. I suoi colleghi s'asciugavano il sudore anch'essi, trafelati. Solo don Gesualdo rimaneva seduto al suo posto come un sasso, accanto al sacchetto di doppie. A un certo punto, dalla baraonda ch'era nell'altra stanza, irruppe nella sala mastro Nunzio Motta, stralunato, tremante di collera, coi capelli bianchi irti sul capo, rimorchiandosi dietro il genero Burgio che tentava di trattenerlo per la manica della giacca, come un pazzo. - Signor don Filippo!... sono il padre, sì o no?... comando io, sì o no?... Se mio figlio Gesualdo è matto!... se vuol rovinarci tutti!... c'è la forza, signor don Filippo!... Mandate a chiamare don Liccio Papa!... - Speranza, dall'uscio, col lattante al petto, che si strappava i capelli e urlava quasi l'accoppassero. - Per l'amor di Dio! per l'amor di Dio! - supplicava il canonico, correndo dall'uno all'altro. - I denari del ponte!... Vuole la mia rovina!... Nemico di suo padre stesso! - urlava mastro Nunzio. - Erano forse denari vostri? - scappò infine a gridare il canonico; - non era sangue del figlio vostro? non li ha guadagnati lui, col suo lavoro? - Tutti quanti erano in piedi, vociando. Si udiva Canali strillare più forte degli altri per chetare don Ninì Rubiera. Il barone Zacco, avvilito, se ne stava colle spalle al muro, e il cappello sulla nuca. Il notaro era sceso a precipizio, facendo gli scalini a quattro a quattro, onde correre dalla baronessa. Per le scale era un via vai di curiosi: gente che arrivava ogni momento, attratta dal baccano che udivasi nel Palazzo di Città. Santo Motta dalla piazza additava il balcone, vociando a chi non voleva saperle le prodezze del fratello. S'era affacciata perfino donna Marianna Sganci, coll'ombrellino, mettendosi la mano dinanzi agli occhi. - Com'è vero Dio!... Io l'ho fatto e io lo disfo!... - urlava il vecchio Motta inferocito. - Largo! largo! - si udì in mezzo alla folla. Giungeva don Giuseppe Barabba, agitando un biglietto in aria. - Canonico! canonico Lupi!... - Questi si spinse avanti a gomitate. - Va bene - disse, dopo di aver letto. - Dite alla signora Sganci che va bene, e la servo subito. Barabba corse a fare la stessa imbasciata nell'altra sala. Quasi lo soffocavano dalla ressa. Il canonico si buscò uno strappo alla zimarra, mentre il barone stendeva le braccia per leggere il biglietto. Canali, Barabba e don Ninì litigavano fra di loro. Poscia Canali ricominciò a gridare: - Largo! largo! - E s'avanzò verso don Gesualdo sorridente: - C'è qui il baronello Rubiera che vuole stringervi la mano! - Padrone! padronissimo! Io non sono in collera con nessuno. - Dico bene!... Che diavolo!... Oramai siete parenti!... E tirando pel vestito il baronello li strinse entrambi in un amplesso, costringendoli quasi a baciarsi. Il barone Zacco corse a gettarsi lui pure nelle loro braccia, coi lucciconi agli occhi. - Maledetto il diavolo!... Non sono di bronzo!... Che sciocchezza!... Il notaro sopraggiunse in quel punto. Andò prima a dare un'occhiata allo scartafaccio del segretario, e poi si mise a battere le mani. - Viva la pace! Viva la concordia!... Se ve l'ho sempre detto!... - Guardate cosa mi scrive vostra zia donna Marianna Sganci!... - disse il canonico commosso, porgendo la lettera aperta a don Gesualdo. E fattosi al balcone agitò il foglio in aria, come una bandiera bianca; mentre la signora Sganci dal balcone rispondeva coi cenni del capo. - Pace! pace!... Siete tutti una famiglia!... Canali corse a prendere per forza mastro Nunzio, Burgio, perfino Santo Motta, scamiciato, e li spinse nelle braccia dei nuovi parenti. Il canonico abbracciava anche comare Speranza e il

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