Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 44

Testo di pubblico dominio

appollaiò sul baule, cercando qualche frase appropriata, che facesse effetto, mentre lei bruciava un pezzettino di sughero alla fiamma del lume a olio che fumava. Sopraggiunse un'altra visita, Mommino Neri, il quale trovando lì Rubiera diventò subito di cattivo umore, e non aprì bocca, appoggiato allo stipite, succhiando il pomo del bastoncino. La signora Aglae teneva sola la conversazione: un bel paese... un pubblico colto e intelligente... bella gioventù anche... - Buona sera, - disse Mommino. - Ve ne andate, di già?... - Sì... Non potrete muovervi qui dentro... Siamo in troppi... Don Ninì la accompagnò con un sogghigno, continuando a suonare la gran cassa sul baule colle calcagna. Ella se ne avvide e alzò le spalle, con un sorriso affascinante, sospirando quasi si fosse levato un peso dallo stomaco. Il baronello gongolante incominciò. - Se sono d'incomodo anch'io... - E cercò il cappello che aveva in mano. - Oh no!... voi, no! - rispose lei con premura, chinando il capo. - Si può? - chiese la vocetta fessa del tirascene dietro l'uscio. - No! no! - ripeté la signora Aglae con tal vivacità quasi fosse stata sorpresa in fallo. - Si va in scena! - aggiunse il vocione del signor Pallante. - Spicciati! Allora essa, levando verso don Ninì il viso rassegnato, con un sorriso triste: - Lo vedete!... Non ho un minuto di libertà!... Sono schiava dell'arte!... Don Ninì colse la palla al balzo: L'arte... una bella cosa!... Era il suo regno... il suo altare!... Tutti l'ammiravano!... dei cuori che faceva battere!... - Ah! sì!... Le ho data tutta me stessa... Me le son data tutta!... E aprì le braccia, voltandosi verso di lui, con tale abbandono, come offrendosi all'arte, lì su due piedi, che don Ninì balzò giù dal cassone. - Badate! - esclamò lei a bassa voce, rapidamente. - Badate!... Aveva le mani tremanti, che stese istintivamente verso di lui, quasi a farsene schermo. Poi si fregò gli occhi, reprimendo un sospiro, e balbettò come svegliandosi: - Scusate... Un momento... Devo vestirmi... E un sorriso malizioso le balenò negli occhi. Quel seccatore di Mommino Neri era ancor lì, appoggiato a una quinta, che discorreva col signor Pallante, già vestito da re, colla zimarra di pelliccia e la corona di carta in testa. Stavolta toccò a don Ninì di farsi scuro in viso. Ella, come lo sapesse, socchiuse di nuovo l'uscio, sporgendo il braccio e l'omero nudi: - Barone, se aspettate alla fine dell'atto... quei versi che desiderate leggere li ho lì, in fondo al baule. No! nessuna donna gli aveva data una gioia simile, una vampata così calda al cuore e alla testa: né la prima volta che Bianca gli s'era abbandonata fra le braccia, trepidante; né quando una Margarone aveva chinato il capo superbo, mostrandosi insieme a lui, in mezzo al mormorio che suscitavano nella folla. Fu un vero accesso di pazzia. Buccinavasi persino che onde farle dei regali si fosse fatto prestare dei denari da questo e da quello. La baronessa, disperata, fece avvertire gli inquilini di non anticipare un baiocco al suo figliuolo, se no l'avevano a far con lei. - Ah!... ah!... vedranno! Mio figlio non ha nulla. Io non pago di certo!... C'erano state scene violente fra madre e figlio. Lui ostinato peggio d'un mulo, tanto più che la signora Aglae non gli aveva lasciato neppur salire la scala della locanda. Infine gli aveva detto il perché, una sera, al buio, lì sulla soglia, mentre Pallante era salito avanti ad accendere il lume: - È geloso!... Son sua!... sono stata sua!... Ed aveva confessato tutto, a capo chino, con la bella voce sonora soffocata dall'emozione. Egli, un gran signore diseredato dal genitore a causa di quella passione sventurata, l'aveva amata a lungo, pazzamente, disperatamente: uno di quegli amori che si leggono nei romanzi; si era dato all'arte per seguirla; aveva sofferto in silenzio; aveva implorato, aveva pianto... Infine una sera... come allora... ancora tutta fremente e palpitante delle emozioni che dà l'arte... la pietà... il sacrificio... non sapeva ella stessa come... mentre il cuore volava lontano... sognando altri orizzonti... altro ideale... Ma dopo, mai più!... mai più!... S'era ripresa!... vergognosa... pentita... implacabile... Egli che l'amava sempre, come prima... più di prima... alla follia... era geloso: geloso di tutto e di tutti, dell'aria, del sogno, del pensiero... di lui pure, don Ninì!... - Ohè! - si udì il vocione di su la scala. - Li vuoi fritti o al pomodoro? Sul viso di lei, dolcemente velato dalla semi-oscurità, errò un sorriso angelico. - Vedete?... Sempre così!... Sempre la stessa devozione!... Ciolla che era il confidente di don Ninì gli disse poi: - Come siete sciocco! Quello lì è un... pentolaccia! Si pappano insieme la roba che mandate voi e il figlio di Neri. Infatti aveva incontrato spesso Mommino sul palcoscenico, ed anche dinanzi all'uscio della locanda, su e giù come una sentinella. Mommino adesso era tutto gentilezze e sorrisi per lui. Quando gli parve proprio di farci una figura sciocca, montò in collera. - Ah!... tu lo vuoi? - gli diss'ella infine con accento febbrile. - Ebbene... ebbene... Se non c'è altro mezzo di provarti quanto io t'amo... Giacché bisogna perdermi ad ogni costo... stasera... dopo la mezzanotte!... Un odore di stalla, in quella scaletta buia, cogli scalini unti e rotti da tutti gli scarponi ferrati del contado. Lassù in cima, un fil di luce, e una figura bianca, che gli si offrì intera, bruscamente, con le chiome sparse. - Tu mi vuoi... baiadera... odalisca?... C'erano dei piatti sudici sulla tavola, un manto di damasco rabescato sul letto, dei garofani e un lume da notte acceso sul canterano, dinanzi a un quadrettino della Vergine, e un profumo d'incenso che svolgevasi da un vasetto di pomata il quale fumava per terra. All'uscio che metteva nell'altra stanza era inchiodato un bellissimo sciallo turco, macchiato di olio; e dietro lo sciallo turco udivasi il signor Pallante che russava sulla sua gelosia. Essa, spalancando quegli occhi neri che illuminavano la stanza, mise un dito sulle labbra, e fece segno a Rubiera d'accostarsi. "Insomma l'ha stregato!" scriveva il canonico Lupi a mastro-don Gesualdo proponendogli di fare un grosso mutuo al baronello Rubiera. "Don Ninì è pieno di debiti sino al collo, e non sa più dove battere il capo... La baronessa giura che sinché campa lei non paga un baiocco. Ma non ha altri eredi, e un giorno o l'altro deve lasciargli tutto il suo. Come vedete, un buon affare, se avete coraggio..." "Quanto?" rispose mastro-don Gesualdo. "Quanto gli occorre al baronello Rubiera? S'è una cosa che si può fare, son qua io." Più tardi, come si seppe in paese della grossa somma che don Gesualdo aveva anticipata al barone Rubiera, tutti gli davano del matto, e dicevano che ci avrebbe persi i denari. Egli rispondeva con quel sorriso tutto suo: - State tranquilli. Non li perdo i denari. Il barone è un galantuomo... e il tempo è più galantuomo di lui. Dice bene il proverbio che la donna è causa di tutti i mali! Commediante poi! V Don Ninì aveva sperato di tenete segreto il negozio. Ma sua madre da un po' di tempo non si dava pace, vedendolo così mutato, dispettoso, sopra pensieri, col viso acceso e la barba rasa ogni mattina. La notte non chiudeva occhio almanaccando dove il suo ragazzo potesse trovare i denari per tutti quei fazzoletti di seta e quelle boccettine d'acqua d'odore. Gli aveva messi alle calcagna Rosaria ed Alessi. Interrogava il fattore e la gente di campagna. Teneva sotto il guanciale le chiavi del magazzino e della dispensa. Come le parlasse il cuore, poveretta! Il cugino Limòli era arrivato a indicarle la signora Aglae che scutrettolava tutta in fronzoli. - La vedete? è quella lì. Che ve ne sembra, eh, di vostra nuora? Siete contenta? - Proprio, come le avesse lasciata la jettatura don Diego Trao, morendo! Nei piccoli paesi c'è della gente che farebbe delle miglia per venire a portarvi la cattiva nuova. Una

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