Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 21

Testo di pubblico dominio

voi... Quella è la dote che vi porterebbe donna Bianca!... È denaro sonante per voi che avete le mani in tanti affari. Mastro-don Gesualdo tornò a lisciarsi il mento, come quando stava a combinare qualche negozio con uno più furbo di lui; guardò il palazzo; guardò poi il canonico, e rispose: - Però caparra in mano, eh? signor canonico? Prima voglio vedere come la pigliano i parenti di lei. - A braccia aperte la pigliano!... ve lo dico io! Fate conto che il fiume torni a rifarvi il ponte meglio di prima, e andate a dormirci su. Nel vicoletto lì accanto, vicino a casa sua, trovò Diodata che stava aspettandolo colla mantellina in testa, rincantucciata sotto l'arco del ballatoio, poiché in casa non la volevano, Speranza principalmente, e la tolleravano soltanto in campagna, pei servigi grossi. Appena la ragazza vide il suo padrone ricominciò a piangere e a lamentarsi, quasi fosse caduto addosso a lei il ponte: - Don Gesualdo, che disgrazia! Mi sarei contentata d'annegarmi io piuttosto!... Son venuta a vedervi, vossignoria... con questa spina che dovete averci in cuore!... - Quest'altra adesso! Perché sei venuta? Tutta bagnata sei!... guarda! come le bestie!... dalla Canziria fin qui a piedi!... apposta per farmi il piagnisteo... Come non ne avessi abbastanza dei miei guai!... Ora dove vai a quest'ora? La fece entrare nella stalla. Essa nello staccarsi dal muro lasciò una pozza d'acqua, lì davanti all'uscio dove era stata ad aspettare. Anche lui si sentiva le ossa rotte. Per giunta, sua sorella l'accolse come un cane. - Siete tornato dalla festa? Avete visto che bel guadagno? Poi si rivolse inviperita a suo marito, nera, magra al par di un chiodo, cogli occhi di carbone, tanto di bocca aperta, quasi volesse mangiarsi la gente: - Voi non dite nulla?... A voi non bolle il sangue?... Burgio, più pacifico, cercava di svignarsela, facendo le spalle grosse, chinando il testone di bue. - Ecco!... Nessuno si dà pensiero dei guai che ci càpitano!... Io sola mi mangio il fegato! Il fratello Gesualdo, colla bocca amara, le andava cantando: - Lascia stare, Speranza! Lasciami stare, che ne ho abbastanza, anche senza la tua predica! - Non volete sentire neppure la predica? Non volete che mi lamenti? Tanti denari persi!... Che non li guadagnate i vostri denari, voi?... Egli, per fuggire quella vespa, andava cercando in cucina qualcosa da mettere sotto il dente, dopo una giornata simile. Frugava nel cassone del pane. Speranza sempre dietro, come il gastigo di Dio. - Fra poco, seguitando di questo passo, non ce ne sarà più del pane nel cassone, no!... e non ci sarà neppure il cassone, non ci sarà!... La casa se ne andrà tutta al diavolo!... Santo, che tornava affamato dal bighellonare in piazza tutta la giornata, al trovare il fuoco spento diede nelle furie, come un vero animale. I ragazzi che strillavano; tutti i vicini alle finestre per godersi la scena; tanto che Gesualdo infine perse la pazienza: - Sapete cosa vi dico? che mi fate fare uno sproposito! Tante volte ve l'ho predicato!... ora lo fo sul serio, com'è vero Dio! L'asino quando non ne può più si corica, e buona notte a chi resta! E se ne andò nella stalla, mentre Speranza gli strillava dietro: - Scappate anche? per andare a trovare Diodata? Vi pare che non l'abbia vista? Mezza giornata che vi aspetta, quella sfacciata!... Egli sbatacchiò l'uscio. Da prima non voleva neppur mangiare, digiuno com'era da ventiquattr'ore, con tutti quei dispiaceri che gli empivano lo stomaco. Diodata andò a comprargli del pane e del salame, bagnata sino alle ossa al par di lui, colla gola secca. Lì, sulla panchetta della stalla, dinanzi a una fiammata di strame, almeno si inghiottiva in pace un po' di grazia di Dio. - Ti piace, eh, questa bella vita? Ti piace a te? - domandava egli masticando a due palmenti, ancora imbroncito. Essa stava a vederlo mangiare, col viso arrossato dalla fiamma, e diceva di sì, come voleva lui, con un sorriso contento adesso. Il giorno finiva sereno. C'era un'occhiata di sole che spandevasi color d'oro sul cornicione del palazzo dei Trao, dirimpetto, e donna Bianca la quale sciorinava un po' di biancheria logora, sul terrazzo che non poteva vedersi dalla piazza, colle mani fine e delicate, la persona che sembrava più alta e sottile in quella vesticciuola dimessa, mentre alzavasi sulla punta dei piedi per arrivare alle funicelle stese da un muro all'altro. - Vedi chi vogliono farmi sposare? - disse lui. - Una Trao!... e buona massaia anche!... m'hanno detto la verità... E rimase a guardare, pensieroso, masticando adagio adagio. Diodata guardava anche lei, senza dir nulla, col cuore grosso. Passarono le capre belando dal vicoletto. Donna Bianca, come sentisse alfine quegli occhi fissi su di lei, voltò il viso pallido e sbattuto, e si trasse indietro bruscamente. - Adesso accende il lume, - riprese don Gesualdo. - Fa tutto in casa lei. Eh, eh,... c'è poco da scialarla in quella casa!... Mi piace perché è avvezza ad ogni guaio, e l'avrei al mio comando... Tu di', che te ne pare? Diodata volse le spalle, andando verso il fondo della stalla per dare una manciata di biada fresca alla mula, e rispose dopo un momento, colla voce roca: - Vossignoria siete il padrone. - È vero... Ma veh!... che bestia! Devi aver fame anche tu... Mangia, mangia, poveretta. Non pensar solo alla mula. VI Don Luca il sagrestano andava spegnendo ad una ad una le candele dell'altar maggiore, con un ciuffetto d'erbe legato in cima alla canna, tenendo d'occhio nel tempo istesso una banda di monelli che irrompevano di tratto in tratto nella chiesa quasi deserta in quell'ora calda, inseguiti a male parole dal sagrestano. Donna Bianca Trao, inginocchiata dinanzi al confessionario, chinava il capo umile; abbandonavasi in un accasciamento desolato; biascicando delle parole sommesse che somigliavano a dei sospiri. Dal confessionario rispondeva pacatamente una voce che insinuavasi come una carezza, a lenire le angosce, a calmare gli scrupoli, a perdonare gli errori, a schiudere vagamente nell'avvenire, nell'ignoto, come una vita nuova, un nuovo azzurro. Il sole di sesta scappava dalle cortine, in alto, e faceva rifiorire le piaghe di sant'Agata, all'altar maggiore, quasi due grosse rose in mezzo al petto. Allora la penitente risollevavasi ansiosa, raggiante di consolazione, aggrappandosi avidamente alla sponda dell'inginocchiatoio, con un accento più fervido, appoggiando la fronte sulle mani in croce per lasciarsi penetrare da quella dolcezza. Veniva un ronzìo di mosche sonnolenti, un odor d'incenso e di cera strutta, un torpore greve e come una stanchezza dal luogo e dall'ora. Una vecchia aspettava accoccolata sui gradini dell'altare, simile a una mantellina bisunta posata su di un fagotto di lavandaia, e quando destavasi borbottando, don Luca le dava sulla voce: - Bella creanza! Non vedete che c'è una signora prima di voi al confessionario?... quelle non sono le quattro chiacchiere che avete da portarci voi al tribunale della penitenza!... discorsi di famiglia, cara voi!... affari importanti! Nell'ombra del confessionario biancheggiò una mano che faceva il segno della croce, e donna Bianca si alzò infine, barcollando, chiusa nel manto sino ai piedi, col viso raggiante di una dolce serenità. Don Luca, vedendo che la vecchia non si risolveva ad andarsene, toccò la mantellina colla canna. - Ehi? ehi? zia Filomena?... È tardi oggi, è tardi. Sta per suonare mezzogiorno, e il confessore deve andarsene a desinare. La vecchia levò il capo istupidito, e si fece ripetere due o tre volte la stessa cosa, testarda, imbambolata. - Sicuro, sto per chiudere la chiesa. Potete andarvene, madre mia. Oggi?... neppure!... ci ha la trebbia al Passo di Cava padre Angelino. Giorni di lavoro, cara mia! - Bel bello riescì a mandarla via, borbottando, trascinando le ciabatte. Poi, mentre il prete infilava l'uscio della sagrestia, don Luca dovette anche dar la caccia a quei monelli, rovesciando banchi e sedie, facendo

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Argomenti: bel bello,    tempo istesso,    sorriso contento,    torpore greve

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