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Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 71udivano degli urli: viva, morte. - Un momento! - esclamò allora Zacco, mettendo da parte ogni riguardo. - Affacciatevi un momento, don Gesualdo! Fatevi vedere, se no succede qualche diavolo!... C'era il canonico Lupi, che portava il ritratto di Pio Nono, il baronello Rubiera, giallo come un morto, sventolando il fazzoletto, tant'altra gente, tutti gridando: - Viva!... abbasso!... morte!... Don Gesualdo, accasciato sulla seggiola, colla chicchera in mano, seguitava a scrollare il capo, a stringersi nelle spalle, pallido come la camicia, ridotto un vero cencio. Il marchese assolutamente voleva sapere cosa cercasse quella gente, laggiù: - Eh? che cosa? - Vogliono la vostra roba! - esclamò infine il barone Zacco fuori dei gangheri. Il marchese si mise a ridere dicendo: - Padroni! padronissimi! - In quel momento passò di furia donna Agrippina Macrì, colla tonaca color pulce che le sbatteva dietro, e nella camera della moribonda si udì un gran trambusto, seggiole rovesciate, donne che strillavano. Don Gesualdo s'alzò di botto, vacillando, coi capelli irti, posò la chicchera sul tavolino, e si mise a passeggiare innanzi e indietro, fuori di sé, picchiando le mani l'una sull'altra e ripetendo: - S'è fatta la festa!... s'è fatta! III Giunse poco dopo una lettera d'Isabella, la quale non sapeva nulla ancora della catastrofe, e fece piangere gli stessi sassi. Il duca scrisse anche lui - un foglietto con una lista nera larga un dito, e il sigillo stemmato, pur esso nero, che stringeva il cuore - inconsolabile per la perdita della suocera. Diceva che alla duchessa s'era dovuto nascondere la verità per consiglio degli stessi medici, visto che sarebbe stato un colpo di fulmine, malaticcia com'era anch'essa, giusto alla vigilia di mettersi in viaggio per andare a vedere sua madre!... Terminava chiedendo per lei qualche ricordo della morta, una bazzecola, una ciocca di capelli, il libro da messa, l'anellino nuziale che soleva portare al dito... Al notaro poi scrisse per chiedere se la defunta, buon'anima, avesse lasciati beni stradotali - Si seppe poi da don Emanuele Fiorio, l'impiegato della posta, il quale scovava i fatti di tutto il paese, giacché il notaro non rispose neppure, e solo con qualche intimo, brontolone come s'era fatto coll'età, andava dicendo: - Mi pare che il signor duca sia ridotto a cercare la luna nel pozzo, mi pare! La povera morta se n'era andata alla sepoltura in fretta, fra quattro ceri, nel subbuglio della gente ammutinata che voleva questo, e voleva quell'altro, stando in piazza dalla mattina alla sera, a bociare colle mani in tasca e la bocca aperta, aspettando la manna che doveva piovere dal campanile imbandierato. Ciolla ch'era diventato un pezzo grosso alfine, con una penna nera nel cappello e un camiciotto di velluto che sembrava un bambino a quell'età, passeggiava su e giù per la piazza, guardando di qua e di là come a dire alla gente: - Ehi! badate a voi adesso! - Don Luca, portando la croce dinanzi alla bara, ammiccava gentilmente, per farsi strada fra la folla, e sorrideva ai conoscenti, come udiva lungo la via tutti quei gloria che recitava la gente alle spalle di mastro-don Gesualdo. - Un brigante! un assassino! uno che s'era arricchito, mentre tanti altri erano rimasti poveri e pezzenti peggio di prima! uno che aveva i magazzini pieni di roba, e mandava ancora l'usciere in giro per raccogliere il debito degli altri. - A strillare più forte erano i debitori che s'erano mangiato il grano in erba prima della messe. Gli rinfacciavano pure di essere il più tenace a non voler che gli altri si pigliassero le terre del comune, ciascuno il suo pezzetto. Non si sapeva donde fosse partita l'accusa; ma ormai era cosa certa. Lo dicevano tutti: il canonico Lupi armato sino ai denti, il barone Rubiera colla cacciatora di fustagno, come un povero diavolo. Essi erano continuamente in mezzo ai capannelli, alla mano e bonaccioni, col cuore sulle labbra: - Quel mastro-don Gesualdo sempre lo stesso! aveva fatto morire la moglie senza neppure chiamare un medico da Palermo! Una Trao! Una che l'aveva messo all'onore del mondo! A che l'era giovato essere tanto ricca? - Il canonico si lasciava sfuggire dell'altro ancora, in confidenza: Le stesse messe in suffragio dell'anima avevano lesinato alla poveretta! - Lo so di certo. Sono stato in sagrestia. Se non ha cuore neppure pel sangue suo!... Non mi fate parlare, ché domattina devo dir messa! - Nobili e plebei, passato il primo sbigottimento, erano diventati tutti una famiglia. Adesso i signori erano infervorati a difendere la libertà; preti e frati col crocifisso sul petto; o la coccarda di Pio Nono, e lo schioppo ad armacollo. Don Nicolino Margarone s'era fatto capitano, cogli speroni e il berretto gallonato. Donna Agrippina Macrì preparava filacce e parlava d'andare al campo, appena cominciava la guerra. La signora Capitana raccoglieva per la compera dei fucili, vestita di tre colori, il casacchino rosso, la gonnella bianca, e un cappellino calabrese colle penne verdi ch'era un amore. Le altre dame ogni giorno portavano sassi alle barricate, fuori porta, coi canestrini ornati di nastri e la musica avanti. Sembrava una festa, mattina e sera, con tutte quelle bandiere, quella folla per le strade, quelle grida di viva e di abbasso, ogni momento, lo scampanìo, la banda che suonava, la luminaria più tardi. Le sole finestre che rimanessero chiuse erano quelle di don Gesualdo Motta. Lui il solo che se ne stesse rintanato come un lupo, nemico del suo paese, adesso che ci s'era ingrassato, lagnandosi continuamente che venivano a pelarlo ogni giorno, la commissione per i poveri, il prestito forzoso, la questua pei fucili!... Lui lo mettevano in capo lista, lo tassavano il doppio degli altri. Gli toccava difendersi e litigare. I signori del Comitato che tornavano stanchi di casa sua, dopo un'ora di tira e molla, ne contavano delle belle. Dicevano che non capiva più niente, uno stupido, l'ombra di mastro-don Gesualdo, un cadavere addirittura, che stava ancora in piedi per difendere i suoi interessi, ma la mano di Dio arriva, tosto o tardi! Intanto i villani e gli affamati che stavano in piazza dalla mattina alla sera, a bocca aperta, aspettando la manna che non veniva, si scaldavano il capo a vicenda, discorrendo delle soperchierie patite, delle invernate di stenti, mentre c'era della gente che aveva i magazzini pieni di roba, dei campi e delle vigne!... Pazienza i signori, che c'erano nati... Ma non si davano pace, pensando che don Gesualdo Motta era nato povero e nudo al par di loro. - Se lo rammentavano tutti, povero bracciante. - Speranza, la stessa sua sorella, predicava lì, di faccia alla bandiera inalberata sul Palazzo di Città, ch'era giunto alfine il momento di restituire il mal tolto, di farsi giustizia colle proprie mani. Aizzava contro allo zio i suoi figliuoli che s'erano fatti grandi e grossi, e capaci di far valere le loro ragioni, se non fossero stati due capponi, come il genitore, che s'era acquetato subito, quando il cognato aveva mandato un gruzzoletto, allorché Bianca stava male, dicendo che voleva fare la pace con tutti quanti, e dei guai ne aveva anche troppi. Giacalone, a cui don Gesualdo aveva fatto pignorar la mula pel debito del raccolto, l'erede di Pirtuso, che litigava ancora con lui per certi denari che il sensale s'era portati all'altro mondo, tutti coloro che gli erano contro per un motivo o per l'altro, soffiavano adesso nel fuoco, dicendone roba da chiodi, raccontando tutte le porcherie di mastro-don Gesualdo, sparlandone in ogni bettola e in ogni crocchio, stuzzicando anche gli indifferenti, con quella storia delle terre comunali che dovevano spartirsi fra tutti quanti, delle quali ciascuno aspettava il suo pezzetto, di giorno in giorno, e ancora non se ne parlava, e chi ne parlava lo facevano uccidere a tradimento, per tappargli la bocca... Si sapeva da dove era partito il colpo! Mastro Titta aveva riconosciuto Gerbido, l'antico garzone di don Tag: don tutti gente momento giorno altri fatto roba adesso Argomenti: pezzo grosso, cappellino calabrese Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: Marocco di Edmondo De Amicis Le sottilissime astuzie di Bertoldo di Giulio Cesare Croce Confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Garibaldi di Francesco Crispi Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Cosa dare da mangiare a un gatto adulto Offerte Capodanno Caracas Il trucco giusto per gli occhi celesti Il Boa constrictor Come far durare a lungo il profumo
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