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Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 15testimonio Dio e i santi, piagnucolando, bestemmiando, e finì per accettare, racconsolato tutto a un tratto, cambiando tono e maniera. - Compare Lio, avete udito? affare fatto! Un buon negozio per don Gesualdo... pazienza!... ma è detta! Quanto a me, è come se fossimo andati dal notaio! - E se ne tornò indietro, colle mani in tasca. - Sentite qua, mastro Lio, - disse Gesualdo tirando in disparte Pirtuso. - Burgio s'allontanò colla mula discretamente, sapendo che l'anima dei negozi è il segreto, intanto che suo cognato diceva al sensale di comprargli dei sommacchi, quanti ce n'erano, al prezzo corrente. Udì soltanto mastro Lio che rispondeva sghignazzando, colla bocca sino alle orecchie: - Ah! ah!... siete un diavolo!... Vuol dire che avete parlato col diavolo!... Sapete quel che bisogna vendere e comprare otto giorni prima... Va bene, restiamo intesi... Me ne torno a casa ora. Ho quelle quattro fave che m'aspettano. Burgio non si reggeva in piedi dall'appetito, e si mise a brontolare come il cognato volle passare dalla posta. - Sempre misteri... maneggi sottomano! Don Gesualdo tornò tutto contento, leggendo una lettera piena di sgorbi e suggellata colla midolla di pane: - Lo vedete il diavolo che mi parla all'orecchio! eh? M'ha dato anche una buona notizia, e bisogna che torni da mastro Lio. - Io non so nulla... Mio padre non m'ha insegnato a fare queste cose!... - rispose Burgio brontolando. - Io fo come fece mio padre... Piuttosto, se volete venire a prendere un boccone a casa... Non mi reggo in piedi, com'è vero Dio! - No, non posso; non ho tempo. Devo passare dal Camemi, prima d'andare alla Canziria. Ci ho venti uomini che lavorano alla strada... i covoni sull'aia... Non posso... E se ne andò sotto il gran sole, tirandosi dietro la mula stanca. Pareva di soffocare in quella gola del Petrajo. Le rupi brulle sembravano arroventate. Non un filo di ombra, non un filo di verde, colline su colline, accavallate, nude, arsicce, sassose, sparse di olivi rari e magri, di fichidindia polverosi, la pianura sotto Budarturo come una landa bruciata dal sole, i monti foschi nella caligine, in fondo. Dei corvi si levarono gracchiando da una carogna che appestava il fossato; delle ventate di scirocco bruciavano il viso e mozzavano il respiro; una sete da impazzire, il sole che gli picchiava sulla testa come fosse il martellare dei suoi uomini che lavoravano alla strada del Camemi. Allorché vi giunse invece li trovò tutti quanti sdraiati bocconi nel fossato, di qua e di là, col viso coperto di mosche, e le braccia stese. Un vecchio soltanto spezzava dei sassi, seduto per terra sotto un ombrellaccio, col petto nudo color di rame, sparso di peli bianchi, le braccia scarne, gli stinchi bianchi di polvere, come il viso che pareva una maschera, gli occhi soli che ardevano in quel polverìo. - Bravi! bravi!... Mi piace... La fortuna viene dormendo... Son venuto io a portarvela!... Intanto la giornata se ne va!... Quante canne ne avete fatto di massicciata oggi, vediamo?... Neppure tre canne!... Per questo che vi riposate adesso? Dovete essere stanchi, sangue di Giuda!... Bel guadagno ci fo!... Mi rovino per tenervi tutti quanti a dormire e riposare!... Corpo di!... sangue di!... Vedendolo con quella faccia accesa e riarsa, bianca di polvere soltanto nel cavo degli occhi e sui capelli; degli occhi come quelli che dà la febbre, e le labbra sottili e pallide; nessuno ardiva rispondergli. Il martellare riprese in coro nell'ampia vallata silenziosa, nel polverìo che si levava sulle carni abbronzate, sui cenci svolazzanti, insieme a un ansare secco che accompagnava ogni colpo. I corvi ripassarono gracidando, nel cielo implacabile. Il vecchio allora alzò il viso impolverato a guardarli, con gli occhi infuocati, quasi sapesse cosa volevano e li aspettasse. Allorché finalmente Gesualdo arrivò alla Canziria, erano circa due ore di notte. La porta della fattoria era aperta. Diodata aspettava dormicchiando sulla soglia. Massaro Carmine, il camparo, era steso bocconi sull'aia, collo schioppo fra le gambe; Brasi Camauro e Nanni l'Orbo erano spulezzati di qua e di là, come fanno i cani la notte, quando sentono la femmina nelle vicinanze; e i cani soltanto davano il benvenuto al padrone, abbaiando intorno alla fattoria. - Ehi? non c'è nessuno? Roba senza padrone, quando manco io! - Diodata, svegliata all'improvviso, andava cercando il lume tastoni, ancora assonnata. Lo zio Carmine, fregandosi gli occhi, colla bocca contratta dai sbadigli, cercava delle scuse. - Ah!... sia lodato Dio! Voi ve la dormite da un canto, Diodata dall'altro, al buio!... Cosa facevi al buio?... aspettavi qualcheduno?... Brasi Camauro oppure Nanni l'Orbo?... La ragazza ricevette la sfuriata a capo chino, e intanto accendeva lesta lesta il fuoco, mentre il suo padrone continuava a sfogarsi, lì fuori, all'oscuro, e passava in rivista i buoi legati ai pioli intorno all'aia. Il camparo mogio mogio gli andava dietro per rispondere al caso: - Gnorsì,Pelorosso sta un po' meglio; gli ho dato la gramigna per rinfrescarlo. LaBianchetta ora mi fa la svogliata anch'essa... Bisognerebbe mutar di pascolo... tutto il bestiame... Il mal d'occhio, sissignore! Io dico ch'è passato di qui qualcheduno che portava il malocchio!... Ho seminato perfino i pani di San Giovanni nel pascolo... Le pecore stanno bene, grazie a Dio... e il raccolto pure... Nanni l'Orbo? Laggiù a Passanitello, dietro le gonnelle di quella strega... Un giorno o l'altro se ne torna a casa colle gambe rotte, com'è vero Dio!... e Brasi Camauro anch'esso, per amor di quattro spighe... - Diodata gridò dall'uscio ch'era pronto. - Se non avete altro da comandarmi, vossignoria, vado a buttarmi giù un momento... Come Dio volle finalmente, dopo un digiuno di ventiquattr'ore, don Gesualdo poté mettersi a tavola, seduto di faccia all'uscio, in maniche di camicia, le maniche rimboccate al disopra dei gomiti, coi piedi indolenziti nelle vecchie ciabatte ch'erano anch'esse una grazia di Dio. La ragazza gli aveva apparecchiata una minestra di fave novelle, con una cipolla in mezzo, quattr'ova fresche, e due pomidori ch'era andata a cogliere tastoni dietro la casa. Le ova friggevano nel tegame, il fiasco pieno davanti; dall'uscio entrava un venticello fresco ch'era un piacere, insieme al trillare dei grilli, e all'odore dei covoni nell'aia: - il suo raccolto lì, sotto gli occhi, la mula che abboccava anch'essa avidamente nella bica dell'orzo, povera bestia - un manipolo ogni strappata! Giù per la china, di tanto in tanto, si udiva nel chiuso il campanaccio della mandra; e i buoi accovacciati attorno all'aia, legati ai cestoni colmi di fieno, sollevavano allora il capo pigro, soffiando, e si vedeva correre nel buio il luccichìo dei loro occhi sonnolenti, come una processione di lucciole che dileguava. Gesualdo posando il fiasco mise un sospirone, e appoggiò i gomiti sul deschetto: - Tu non mangi?... Cos'hai? Diodata stava zitta in un cantuccio, seduta su di un barile, e le passò negli occhi, a quelle parole, un sorriso di cane accarezzato. - Devi aver fame anche tu. Mangia! mangia! Essa mise la scodella sulle ginocchia, e si fece il segno della croce prima di cominciare, poi disse: - Benedicite a vossignoria! Mangiava adagio adagio, colla persona curva e il capo chino. Aveva una massa di capelli morbidi e fini, malgrado le brinate ed il vento aspro della montagna: dei capelli di gente ricca, e degli occhi castagni, al pari dei capelli, timidi e dolci: de' begli occhi di cane carezzevoli e pazienti, che si ostinavano a farsi voler bene, come tutto il viso supplichevole anch'esso. Un viso su cui erano passati gli stenti, la fame, le percosse, le carezze brutali; limandolo, solcandolo, rodendolo; lasciandovi l'arsura del solleone, le rughe precoci dei giorni senza pane, il lividore delle notti stanche - gli occhi soli ancora giovani, in fondo a quelle occhiaie livide. Così raggomitolata sembrava proprio una ragazzetta, al busto esile e svelto, Tag: occhi dio viso dietro tutto casa sotto capelli qua Argomenti: due ore, petto nudo, camparo mogio, fiasco pieno, vento aspro Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: La via del rifugio di Guido Gozzano Il fiore di Dante Alighieri La famiglia dell'antiquario di Carlo Goldoni La trovatella di Milano di Carolina Invernizio Le smanie per la villeggiatura di Carlo Goldoni Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Trattamento delle rughe con il laser Come fare i capelli con treccia francese Crema occhi La Mer Eye Cream Cura dei capelli per la stagione estiva Cura della pelle a casa con trattamenti viso
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