Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 26

Testo di pubblico dominio

vergognano... C'è stato un casa del diavolo! Io son venuto per tener d'occhio il trattamento... E aprì l'uscio per farglielo vedere: una gran tavola carica di dolci e di bottiglie di rosolio, ancora nella carta ritagliata come erano venuti dalla città, sparsa di garofani e gelsomini d'Arabia, tutto quello che dava il paese, perché la signora Capitana aveva mandato a dire che ci volevano dei fiori; quanti candelieri si erano potuti avere in prestito, a Sant'Agata e nell'altre chiese. Diodata ci aveva pure messi in bell'ordine tutti i tovagliuoli arrotolati in punta, come tanti birilli, che portavano ciascuno un fiore in cima. - Bello! bello! - approvò il marchese. - Una cosa simile non l'ho mai vista!... E questi qui, cosa fanno? Ai due lati della tavola, come i giudei del Santo Sepolcro, ci erano Pelagatti e Giacalone, che sembravano di cartapesta, così lavati e pettinati. - Per servire il trattamento, sissignore!... Mastro Titta e l'altro barbiere suo compagno si son rifiutati, con un pretesto!... Vanno soltanto nelle casate nobili quei pezzenti!... Temevano di sporcarsi le mani qui, loro che fanno tante porcherie!... Giacalone, premuroso, corse tosto con una bottiglia per ciascuna mano. Il marchese si schermì: - Grazie, figliuol mio!... Ora mi rovini il vestito, bada! - Di là ci sono anche le tinozze coi sorbetti! - aggiunse don Santo. Ma appena aprì l'uscio della cucina, si videro fuggire delle donne che stavano a guardare dal buco della serratura. - Ho visto, ho visto, caro parente. Lasciateli stare; non li spaventate. In quel momento si udì un baccano giù in istrada, e corsero in tempo al balcone per vedere arrivare la carrozza degli sposi. Nanni l'Orbo, a cassetta, col cappello sino alle orecchie, faceva scoppiettare la frusta come un carrettiere, e vociava: - Largo!... A voi!... Guardatevi!... - Le mule, tolte allora dall'armento, ricalcitravano e sbuffavano, tanto che il canonico Lupi propose di smontare lì dov'erano, e Burgio s'era già alzato per scavalcare lo sportello. Ma le mule tutt'a un tratto abbassarono il capo insieme, e infilarono il portone a precipizio. - Morte subitanea! - esclamò il canonico, ricadendo col naso sui ginocchi della sposa. Salivano a braccetto. Don Gesualdo con una spilla luccicante nel bel mezzo del cravattone di raso, le scarpe lucide, il vestito coi bottoni dorati, il sorriso delle nozze sulla faccia rasa di fresco; soltanto il bavero di velluto, troppo alto, che gli dava noia. Lei che sembrava più giovane e graziosa in quel vestito candido e spumante, colle braccia nude, un po' di petto nudo, il profilo angoloso dei Trao ingentilito dalla pettinatura allora in moda, i capelli arricciati alle tempie e fermati a sommo del capo dal pettine alto di tartaruga: una cosa che fece schioccare la lingua al canonico, mentre la sposa andava salutando col capo a destra e a sinistra, palliduccia, timida, quasi sbigottita, tutte quelle nudità che arrossivano di mostrarsi per la prima volta dinanzi a tanti occhi e a tanti lumi. - Evviva gli sposi! evviva gli sposi! - si mise a gridare il canonico, messo in allegria, sventolando il fazzoletto. Bianca prese il bacio della zia Cirmena, il bacio dello zio marchese, ed entrò sola nelle belle stanze, dove non era anima viva. - Ehi? ehi? bada che perdi il marito! - le gridò dietro lo zio marchese fra le risate generali. - Ci siamo tutti? - borbottò sottovoce donna Sarina. Il canonico si affrettò a risponder lui. - Sissignora. Poca brigata, vita beata! Dietro di loro saliva Alessi, colla berretta in mano, intimidito da quei lumi e da quell'apparato. Sin dall'uscio si mise a balbettare: - Mi manda la signora baronessa Rubiera... Dice che non può venire perché le duole il capo... Manda a salutare la nipote, e don Gesualdo anche... - Vai in cucina, da questa parte - gli rispose il marchese. - Di' che ti dieno da bere. Don Gesualdo approfittò di quel momento per raccomandare sottovoce a suo fratello: - Stai attento, dinanzi a tutta questa gente!... Ti metti a sedere, e non ti muovi più. Come vedi fare a me, fai tu pure. - Ho capito. Lascia fare a me! La zia Cirmena si era impadronita della sposa, e aveva assunta un'aria matronale che la faceva sembrare in collera. Dopo che ciascuno ebbe preso posto nella bella sala cogli specchi, si fece silenzio; ciascuno guardando di qua e di là per fare qualche cosa, ed ammirando coi cenni del capo. Alla fine il canonico credette di dover rompere il ghiaccio: - Don Santo, sedetevi qua. Avvicinatevi; non abbiate timore. - A me? - rispose Santo che si sentiva dar del don lui pure. - Questo è tuo cognato, - disse il marchese a Bianca. Il notaro ripigliò di lì a un momento: - Guardate! guardate! Sembra lo sbarco di Cristoforo Colombo! Vedevasi sull'uscio dell'anticamera un mucchio di teste che si pigiavano, fra curiose e timide, quasi stesse per scoppiare una mina. Il canonico fra gli altri monelli scorse Nunzio, il nipotino di don Gesualdo, e gli fece segno d'entrare, ammiccandogli. Ma il ragazzo scappò via come un selvaggio; e il canonico, sempre sorridendo, disse: - Che diavoletto!... tutto sua madre... Il marchese, sdraiato sulla sedia a bracciuoli, accanto alla nipote, sembrava un presidente, chiacchierando soltanto lui. - Bravo! bravo!... Tuo marito ha fatto le cose bene!... Non ci manca nulla in questa casa!... Ci starai da principessa!... Non hai che a dire una parola... mostrare un desiderio... - Allora ditegli che vi comperi delle altre mule - aggiunse il canonico ridendo. - È vero; sei alquanto pallida... Ti sei forse spaventata in carrozza? - Sono mule troppo giovani... appena tolte dall'armento... non ci sono avvezze... Ora usano dei cavalli per la carrozza - disse il canonico. - Certamente! certamente! - si affrettò a rispondere don Gesualdo. - Appena potrò. I denari servono per spenderli... quando ci sono. Il marchese e il canonico Lupi tenevano viva la conversazione, don Gesualdo approvando coi cenni del capo; gli altri ascoltavano: la zia Cirmena con le mani sul ventre e un sorrisetto amabile che faceva cascare le parole di bocca: un sorriso che diceva: - Bisogna pure! giacché son venuta!... Valeva proprio la pena di mettersi in gala!... - Bianca sembrava un'estranea, in mezzo a tutto quel lusso. E suo marito imbarazzato anche lui, fra tanta gente, la sposa, gli amici, i servitori, dinanzi a quegli specchi nei quali si vedeva tutto, vestito di nuovo, ridotto a guardare come facevano gli altri se voleva soffiarsi il naso. - Il raccolto è andato bene! - disse il marchese a voce più alta, perché gli altri lo seguissero dove voleva arrivare. - Io ne parlo per sentita dire. Eh? eh? massaro Fortunato? . - Sissignore, grazie a Dio!... Sono i prezzi che non dicono!... - Ci sarà tanto da fare in campagna! Nel paese non c'è più nessuno. La zia Cirmena allora non poté frenarsi: - Ho vista al balcone la cugina Sganci... credevo che venisse, anzi!... - Chissà? chissà? Quella pioggerella ch'è caduta ha ridotto la strada una pozzanghera!... Io stavo per rompermi il collo. Però dicono che fa bene alle vigne. Eh? eh? massaro Fortunato?... - Sissignore, se vuol Dio!... - Saranno tutti a prepararsi per la vendemmia. Noi soli no, donna Sarina! Noi beviamo il vino senza pregare Dio per l'acqua!... - Bisogna condurre la sposa a Giolio per la vendemmia, don Gesualdo!... Vedrai che vigne, Bianca! - Certo!... è la padrona!... certo!... - Un momento!... - esclamò il canonico balzando in piedi. - Mi pare di sentir gente!... Santo, che stava all'erta, cogli occhi fissi sul fratello, gli fece segno per sapere se era ora d'incominciare il trattamento. Ma il canonico rientrò dal balcone quasi subito, scuotendo il capo. - No!... Son villani che tornano in paese. Oggi è sabato e arriva gente sino a tardi. - Io l'avevo indovinato! - rispose la Cirmena. - Ho l'orecchio fine!... Chi aspettate, voi? - Donna Giuseppina Alòsi, per bacco!... Quella almeno non manca mai! - L'avrà trattenuta il cavaliere... - si lasciò scappare

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