Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 17

Testo di pubblico dominio

insieme!... Lo saprò!... Ti sorprenderò con loro nel vallone, qualche volta!... Essa sorrideva sempre allo stesso modo, di quel sorriso dolce e contento, allo scherzo del padrone che sembrava le illuminasse il viso, affinato dal chiarore molle: gli occhi come due stelle; le belle trecce allentate sul collo; la bocca un po' larga e tumida, ma giovane e fresca. Il padrone stette un momento a guardarla così, sorridendo anch'esso, e le diede un altro scapaccione affettuoso. - Questa non è roba per quel briccone di Brasi, o per Nanni l'Orbo! no!... - Oh, gesummaria!... - esclamò essa facendosi la croce. - Lo so, lo so. Dico per ischerzo, bestia!... Tacque un altro po' ancora, e poi soggiunse: - Sei una buona ragazza!... buona e fedele! vigilante sugli interessi del padrone, sei stata sempre... - Il padrone mi ha dato il pane, - rispose essa semplicemente. - Sarei una birbona... - Lo so! lo so!... poveretta!... per questo t'ho voluto bene! A poco a poco, seduto al fresco, dopo cena, con quel bel chiaro di luna, si lasciava andare alla tenerezza dei ricordi. - Povera Diodata! Ci hai lavorato anche tu!... Ne abbiamo passati dei brutti giorni!... Sempre all'erta, come il tuo padrone! Sempre colle mani attorno... a far qualche cosa! Sempre l'occhio attento sulla mia roba!... Fedele come un cane!... Ce n'è voluto, sì, a far questa roba!... Tacque un momento intenerito. Poi riprese, dopo un pezzetto, cambiando tuono: - Sai? Vogliono che prenda moglie. La ragazza non rispose; egli non badandoci, seguitò: - Per avere un appoggio... Per far lega coi pezzi grossi del paese... Senza di loro non si fa nulla!... Vogliono farmi imparentare con loro... per l'appoggio del parentado, capisci?... Per non averli tutti contro, all'occasione... Eh? che te ne pare? Ella tacque ancora un momento col viso nelle mani. Poi rispose, con un tono di voce che andò a rimescolargli il sangue a lui pure: - Vossignoria siete il padrone... - Lo so, lo so... Ne discorro adesso per chiacchierare... perché mi sei affezionata... Ancora non ci penso... ma un giorno o l'altro bisogna pure andarci a cascare... Per chi ho lavorato infine?... Non ho figliuoli... Allora le vide il viso, rivolto a terra, pallido pallido e tutto bagnato. - Perché piangi, bestia? - Niente, vossignoria!... Così!... Non ci badate... - Cosa t'eri messa in capo, di'? - Niente, niente, don Gesualdo... - Santo e santissimo! Santo e santissimo! - prese a gridare lui, sbuffando per l'aia. Il camparo al rumore levò il capo sonnacchioso e domandò: - Che c'è?... S'è slegata la mula? Devo alzarmi?... - No, no, dormite, zio Carmine. Diodata gli andava dietro passo passo, con voce umile e sottomessa: - Perché v'arrabbiate, vossignoria?... Cosa vi ho detto?... - M'arrabbio colla mia sorte!... Guai e seccature da per tutto... dove vado!... Anche tu, adesso!... col piagnisteo!... Bestia!... Credi che, se mai, ti lascerei in mezzo a una strada... senza soccorsi?... - Nossignore... non è per me... Pensavo a quei poveri innocenti... - Anche quest'altra?... Che ci vuoi fare! Così va il mondo!... Poiché v'è il comune che ci pensa!... Deve mantenerli il comune a spese sue... coi denari di tutti!... Pago anch'io!... So io ogni volta che vo dall'esattore!... Si grattò il capo un istante, e riprese: - Vedi, ciascuno viene al mondo colla sua stella... Tu stessa hai forse avuto il padre o la madre ad aiutarti? Sei venuta al mondo da te, come Dio manda l'erba e le piante che nessuno ha seminato. Sei venuta al mondo come dice il tuo nome... Diodata! Vuol dire di nessuno!... E magari sei forse figlia di barone, e i tuoi fratelli adesso mangiano galline e piccioni! Il Signore c'è per tutti! Hai trovato da vivere anche tu!... E la mia roba?... me l'hanno data i genitori forse? Non mi son fatto da me quello che sono? Ciascuno porta il suo destino!... Io ho il fatto mio, grazie a Dio, e mio fratello non ha nulla... In tal modo seguitava a brontolare, passeggiando per l'aia, su e giù dinanzi la porta. Poscia vedendo che la ragazza piangeva ancora, cheta cheta per non infastidirlo, le tornò a sedere allato di nuovo, rabbonito. - Che vuoi? Non si può far sempre quel che si desidera. Non sono più padrone... come quando ero un povero diavolo senza nulla... Ora ci ho tanta roba da lasciare... Non posso andare a cercar gli eredi di qua e di là, per la strada... o negli ospizi dei trovatelli. Vuol dire che i figliuoli che avrò poi, se Dio m'aiuta, saranno nati sotto la buona stella!... - Vossignoria siete il padrone... Egli ci pensò un po' su, perché quel discorso lo punzecchiava ancora peggio di una vespa, e tornò a dire: - Anche tu... non hai avuto né padre né madre... Eppure cosa t'è mancato, di'? - Nulla, grazie a Dio! - Il Signore c'è per tutti... Non ti lascierei in mezzo a una strada, ti dico!... La coscienza mi dice di no... Ti cercherei un marito... - Oh... quanto a me... don Gesualdo!... - Sì, sì, bisogna maritarti!... Sei giovane, non puoi rimaner così... Non ti lascierei senza un appoggio... Ti troverei un buon giovane, un galantuomo... Nanni l'Orbo, guarda! Ti darei la dote... - Il Signore ve lo renda... - Son cristiano! son galantuomo! Poi te lo meriti. Dove andresti a finire altrimenti?... Penserò a tutto io. Ho tanti pensieri pel capo!... e questo cogli altri!... Sai che ti voglio bene. Il marito si trova subito. Sei giovane... una bella giovane... Sì, sì, bella!... lascia dire a me che lo so! Roba fine!... sangue di barone sei, di certo!... Ora la pigliava su di un altro tono, col risolino furbo e le mani che gli pizzicavano. Le stringeva con due dita il ganascino. Le sollevava a forza il capo, che ella si ostinava a tener basso per nascondere le lagrime. - Già per ora son discorsi in aria... Il bene che voglio a te non lo voglio a nessuno, guarda!... Su quel capo adesso, sciocca!... sciocca che sei!... Come vide che seguitava a piangere, testarda, scappò a bestemmiare di nuovo, simile a un vitello infuriato. - Santo e santissimo! Sorte maledetta!... Sempre guai e piagnistei!... V Masi, il garzone, corse a svegliare don Gesualdo prima dell'alba, con una voce che faceva gelare il sangue nelle vene: - Alzatevi, vossignoria; ch'è venuto il manovale da Fiumegrande e vuole parlarvi subito!... - Da Fiumegrande?... a quest'ora?... - Mastro-don Gesualdo andava raccattando i panni tastoni, al buio, ancora assonnato, con un guazzabuglio nella testa. Tutt'a un tratto gridò: - Il ponte!... Deve essere accaduta qualche disgrazia!... - Giù nella stalla trovò il manovale seduto sulla panchetta, fradicio di pioggia, che faceva asciugare i quattro cenci a una fiammata di strame. Appena vide giungere il padrone, cominciò a piagnucolare di nuovo: - Il ponte!... Mastro Nunzio, vostro padre, disse ch'era ora di togliere l'armatura!... Nardo vi è rimasto sotto!... Era un parapiglia per tutta la casa: Speranza, la sorella, che scendeva a precipizio, intanto che suo marito s'infilava le brache; Santo, ancora mezzo ubbriaco, ruzzoloni per la scaletta della botola, urlando quasi l'accoppassero. Il manovale, a ciascuno che capitava, tornava a dire: - Il ponte!... l'armatura!... Mastro Nunzio dice che fu il cattivo tempo!... Don Gesualdo andava su e giù per la stalla, pallido, senza dire una parola, senza guardare in viso nessuno, aspettando che gl'insellassero la mula, la quale spaventata anch'essa sparava calci, e Masi dalla confusione non riusciva a mettergli il basto. A un certo punto gli andò coi pugni sul viso, cogli occhi che volevano schizzargli dall'orbita. - Quando? santo e santissimo!... Non la finisci più, peste che ti venga! - Colpa vostra! Ve l'avevo detto! Non sono imprese per noialtri! - sbraitava la sorella in camicia, coi capelli arruffati, una furia tale e quale! Massaro Fortunato, più calmo, approvava la moglie, con un cenno del capo, silenzioso, seduto sulla panchetta, simile a una macina di mulino. - Voi non dite nulla! state lì come un allocco! Adesso Speranza inveiva contro suo marito: -

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Argomenti: povero diavolo,    sei venuta,    bel chiaro,    sorriso dolce,    capo sonnacchioso

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