Mastro don Gesualdo di Giovanni Verga pagina 62

Testo di pubblico dominio

venne poi a discorrere della dote con quest'ultimo fu un altro par di maniche. Lui non voleva lasciarsi mangiar vivo. Neanche un baiocco! Il suo denaro se l'era guadagnato col sudore della fronte, la vita intera. Non gli piaceva di lasciarsi aprir le vene per uno che doveva venire da Palermo a bersi il sangue suo. - Di dove volete che venga dunque, dalla luna? Caro mio, queste son parole al vento. Sapete com'è? Vi porto un paragone a modo vostro, per farvi intendere ragione: La grandine che vi casca nella vigna... Una disgrazia che vi capita nell'armento... Bisogna mandare alla fiera la giovenca che si è rotte le corna, e chiudere gli occhi sul prezzo. Bisogna chinare il capo, per amore o per forza. Del resto non avete altri figliuoli... Almeno sapete di farla una signorona!... Il marchese nel tempo istesso andava a far visita alla nipotina. La pigliava colle buone, col giudizio che ci vuole per toccare certi tasti: - Hai ragione! Piangi pure che hai ragione! Sfogati con me che capisco queste cose... Un brucio, una cosa che sembra di morire! Tuo padre non ne capisce nulla, poveretto. È stato sempre in mezzo ai suoi negozi, ai suoi villani... un po' rozzo anche, se vogliamo... Ma ha lavorato per te, per farti ricca. Tu, col nome di tua madre, e coi quattrini di lui, puoi rappresentare la prima parte anche in una grande città, quando vorrai... Non qui, in questo buco... Qui mi sembra di soffocare anche a me. Sono stato giovane; me li son goduti anch'io i begli anni... Appunto ti dicevo... Capisco quello che devi averci adesso nel tuo cuoricino. Quando si è giovani pare che al mondo non ci debba essere altro che quello... Tuo padre ha preso la via storta... Ma se lui si ostina a non darti nulla, neanche quel giovane, poveretto, ne ha... E allora... se ti tocca scopar la casa... se lui deve tirare il diavolo per la coda... Sarà un affar serio, intendi? Vengono le quistioni, i pentimenti, i musi lunghi. I musi lunghi imbruttiscono te e lui, mia cara. Perché poi? con qual costrutto? Se tuo padre ha detto di no, sarà di no, che non lo sposerai. Morirai qui, in questa specie d'ergastolo; ci consumerai i tuoi begli anni. Corrado rimarrà in esilio, ad arbitrio della polizia, finché vorrà tuo padre; egli ha le braccia lunghe adesso... Nemmeno a chi vuoi bene gioveresti, se ti ostini. Tuo cugino ha bisogno d'aver la testa quieta, di lavorare in pace, per guadagnarsi da vivere onestamente... Invece potresti sposare un gran signore, e s'è vero che quel giovane ti vuol tanto bene dovrebbe esser contento lui pel primo. Quello si chiama amore... Un gran signore, capisci! Per ora non dirne nulla colle tue compagne... qui nel monastero, sai, creperebbero d'invidia... Ma so che c'è per aria il progetto di farti sposare un gran signore. Saresti principessa o duchessa! Altro che donna tal di tali! Carrozze, cavalli, palco a teatro tutte le sere, gioielli e vestiti quanti ne vuoi... Con quel bel visetto so io quante teste farai girare in una gran città! Quando si entra in una sala di ballo, scollacciata, coperta di brillanti, tutti che domandano: - Chi è quella bella signora?... - E si sente rispondere: la duchessa tale o la principessa tal'altra!... - Via, vieni a veder tua madre ch'è ancora ammalata, poveretta! L'ha finita quel colpo! Sai ch'è di poca salute!... Anche tuo padre t'aspetta a braccia aperte. È un buon uomo, poveraccio! Un cuor d'oro, uno che s'è ammazzato a lavorare per farti ricca!... Adesso torna a casa... Poi si vedrà... Quando finalmente lo zio marchese condusse dai genitori la pecorella smarrita, fu una scena da far piangere i sassi. Isabella cadde ginocchioni dinanzi al letto della mamma, che trovava così mutata, singhiozzando e domandandole perdono; mentre sua madre, poveretta, passava da uno svenimento all'altro, tanta era la consolazione. Poi arrivò don Gesualdo, e stettero zitti tutti quanti. Egli infine prese la parola, un po' turbato anche lui, cogli occhi gonfi, ché il sangue infine non è acqua, e il cuore non l'aveva di sasso. - Me l'hai fatta grossa! Questa non me la meritavo. Ci siamo tolto il pan di bocca, io e tua madre, per farti ricca!... Vedi com'è ridotta, poveraccia?... Se chiude gli occhi è un cadavere addirittura!... Ma sei il sangue nostro, la nostra creatura, e ti abbiamo perdonato. Ora non se ne parli più. Però Isabella ne parlava sempre collo zio marchese, colla zia Mèndola, colla zia Macrì, con tutti i parenti; da tutti cercava aiuto, fin dal suo confessore, come una pazza, desolata, lavando dal piangere le pietre del confessionario. Tutti le dicevano: - Che possiamo farci, se tuo padre non vuole? Lui è il padrone. Lui deve mettere fuori i denari della dote. Lo fa pel tuo meglio; cerca il tuo vantaggio. Tutte quante si maritano come vogliono i genitori! - Il confessore stesso tirava fuori la volontà di Dio. Anche la zia Cirmena, quando aveva visto che non era bastata nemmeno la fuga a cavare i denari della dote dalle mani di don Gesualdo, s'era stretta nelle spalle: - Che vuoi, mia cara? Io ho fatto il possibile. Ma senza denari non si canta Messa. Corrado non ha nulla; tu non hai nulla neppure, se tuo padre si ostina a dir di no... Fareste un bel matrimonio! Vedi com'è andata a finire? Che quel povero giovane ci ha rimesso anche la libertà, pel capriccio di tuo padre! Lascialo stare in pace almeno, perché adesso, alle lettere che scrive ai parenti ogni giorno, tutte che piangono guai e vorrebbero denari, in conclusione, è un affare serio!... Il marchese Limòli poi gliela cantava su un altro tono: - Figliuola mia, quando uno non è ricco, non può darsi il gusto di innamorarsi come vuole. Voialtri siete giovani tutti e due, e avete gli occhi chiusi. Non vedete altro che una cosa sola! Bisogna vedere anche quello che verrà poi, la pentola da mettere al fuoco, le camice da rattoppare... Sarà un bel divertimento! Tu sei nata bene, per parte di madre, lo so anch'io. Ma vedi tua madre, cos'ha dovuto fare, e tuo zio don Ferdinando, e io stesso!... Siamo tutti nati dalla costola di Adamo, figliuola mia!... Anche Corrado è della costola d'Adamo. Ma i baiocchi li tiene tuo padre! Se non vuol darvene, andrete a scopar le strade tutti e due, e dopo un mese vi piglierete pei capelli. Invece puoi fare un gran matrimonio, sfoggiarla da gran signora, in una gran città!... Dopo, quando avrai il cuoco in cucina, la carrozza che t'aspetta, e le tue buone rendite garantite nell'atto dotale, potrai darti il lusso di pensare alle altre cose... Verso la Pasqua giunse in paese il duca di Leyra, col pretesto di dar sesto ai suoi affari da quelle parti, ché ne avevano tanto di bisogno. Era un bell'uomo, magro, elegante, un po' calvo, gentilissimo. Si cavava il cappello anche per rispondere al saluto dei contadini. Aveva lo stesso sorriso e le medesime maniere cortesi per tutti i seccatori dai quali fu tosto assediato, fin dal primo giorno. Nel paese fu l'argomento di tutti i discorsi: Quel che aveva detto; quel che era venuto a fare; quanto tempo si sarebbe fermato lì; quanti anni aveva. Le signore asserivano che non dimostrava più di quarant'anni. Il giorno della processione del Cristo risuscitato ci fu il Caffè dei Nobili pieno zeppo di signore. Le Zacco con certi cappellini che facevano male agli occhi; la signora Capitana stecchita nel suo eterno lutto che la ringiovaniva, e la faceva chiamare ancora la bella vedovella - da dieci anni, dacché era morto suo marito. - Le Margarone in gran gala, verdi, rosse, gialle, svolazzanti di piume, di nastri, di ricciolini diventati neri col tempo, grasse da scoppiare, color di mattone in viso. Tutte che cicalavano, e si davano un gran da fare per dar nell'occhio ai signori forestieri. Il duca s'era tirato dietro lo zio balì, onde sembrar più giovane - dicevano le male lingue: un vecchietto grasso e rubicondo che doveva lasciargli l'eredità, e intanto faceva la corte alle signore - come non sanno farla più al giorno d'oggi! - osservò la Capitana. Sul più

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Argomenti: tempo istesso,    eterno lutto,    vecchietto grasso

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