Intrichi d'amore di Torquato Tasso pagina 19

Testo di pubblico dominio

Cornelia, Cornelia, che non da matrigna, ma da propria madre t'ho servita e onorata sempre, s'era tale il tuo disegno, me lo dovevi dire: che tu contenta e io contentissima restava in un tratto, bastandomi solo il mio Camillo nell'istessa casa, dove se non come marito, l'averei almeno come Signore servito. Ahi, che è vero, che nessuna matrigna fu buona! MAGAGNA Orsù, non più parole. Fermati, che io alzo. ERSILIA Aspetta un poco, per pietà, insin che dichi due altre parole. MAGAGNA Ma siano brevi, e presto, che io in tanto passeggio. ERSILIA In che orrendo spettacolo ti vedi, Ersilia infelicissima! Oh, cara mia madre, s'ora mi vedessi! E o Alonso, mio carissimo padre, dove sei? Che ricasandoti con Cornelia, morendo poi mi lasciasti piccola, raccommandata tanto a questa crudel Medea! Vedi, vedi che ora mi fa condurre al macello, e in man di chi? in man d'un vilissimo servo! Deh, spietata mia sorte, poi che volesti che io morisse di mala morte, dovevi far almeno che io morisse o per man del mio Camillo, o d'altri della qualità mia. Giorno infelice, che io nacqui! Perchè non mi affogai nella culla, poi che per amor io moro? Nè perchè mora mi doglio, ma perchè ferendosi questo petto s'offenderà la bell'imagine del mio bellissimo Camillo, che vivamente vi sta impressa. Perdonami, Camillo, se per me pati questa offesa, e ti prego a ricordarti che quanto maggiormente si puote amar, t'ho amato io. MAGAGNA Troppo sei lunga, non accade più aspettare. Io mi risolvo in ogni modo di darti. ERSILIA Deh, Magagna, che crudeltà è questa? Che ti ho fatto io? Ricordati pure che tu eri servo di mia madre, pensa all'affezion grande che ti portava mio padre, considera che tu m'hai cresciuta sopra coteste braccia: e ora sarai omicidiale quasi di te stesso, quasi del tuo sangue? MAGAGNA È troppo il vero, ahimè! ERSILIA Non sai che sempre t'ho sovenuto? Non ti ricordi che ti ho difensato? Chi riparava a' tuoi danni, se non io? La borsa non ti fu sempre aperta? Che m'hai cerco, che non ti ho dato? Insino alle camicie ti ho conce di mia mano. MAGAGNA È troppo il vero. Uh, uh, uh! ERSILIA Io ti facevo magnar per tempo, ti serbavo anco le reliquie della tavola, ti ho riputato da fratello, ti ho amato da sorella: e ora tu che dovevi essere il riparo della mia vita, il difensore della mia persona, hai animo di uccidere me, povera innocente, infelice pupilla? Ahimè! come non piangi per compassione? MAGAGNA Non pianger più, che mi tiri l'anima dall'antiporta del cuore! Io me ne pento. Ecco qua il pugnale, uccidimi tu, perchè il torto è mio, la ragione è tua; overo mettiamo mano al rimedio per salvar l'uno e l'altro. ERSILIA Il rimedio è facile. Lasciami andare, ch'io ti prometto partirmi di qua, con proposito di non ritornarvi mai più. MAGAGNA Aspetta, pensa, e poi fa, dice il proverbio. Come faremo, che io mi trovo promesso alla Signora di portarli la vostra testa con li vestiti insanguinati? E se io non esequisco a punto quanto mi ha detto, oltre il pericolo d'esser cacciato, perdo l'occasione di copularmi con essa. Perchè, per dirla, s'era appuntato fra di noi che uccisa Ersilia, io, arso per amarla, entravo al suo arsenale, cioè che me la pigliavo per mogliera. ERSILIA Or lascia fare a me. Non conosci tu quel sarto che pratica di continuo in casa, ed era tanto amico della buona memoria di mio padre? MAGAGNA Conosco. ERSILIA Costui tiene un figliuolo che scolpe al naturale. Andremo a casa sua, e con bell'arte faremo accommodare una testa che rassomigli naturalmente alla mia, con la quale e con le mie vesti insanguinate mostrarai alla Signora di avermi uccisa; che li bastarà solamente di veder quella testa, e poi la nasconderai dove ti piacerà. E io dall'altro canto mi vestirò da uomo tingendomi il volto e le mani da moro per non esser conosciuta. E così tu averai l'intento tuo, e io ancora il mio; perchè sotto quell'abito finto cercarò di servire e di seguire dovunque andrà il mio dolcissimo Camillo. MAGAGNA Buona, buona! Mi piace, a fè. Il negozio è riuscibile. Andiamo in casa del sarto; e acciò non siamo conosciuti per strada, alzati la veste, levati questo manto, mettiti la berretta e la cappa mia; che io, mettendomi il tuo manto, parrò vedova sconsolata in veste negra, e voi Marfisa in abito succinto. Scena 8 LEANDRO In questo principio mi riesce il pensiero di Alessandro, che avendo io con bel modo persuaso la Signora Cornelia d'introdurli in casa l'astrologo, se n'è contentata di sorte che li par mill'anni di vederlo, e perciò mi manda all'infretta a chiamarlo. Ma che? Considero poi che molte imprese si perdono per negligenza, e molte per troppo diligenzia. Dicolo a fine che la gran diligenzia del mio padrone, spronata dall'acuto sprone della gelosia, gli farà perder l'onore, e forse la vita di più. Egli doveva starsi, e lasciar star questi capricci, da' quali non ne potrà evenir altro che danno, altro che vergogna. Perchè molte volte la donna si mette in via di far male con la guida de' nostri vani sospetti e dalla poca fede che mostriamo d'averle. Quanto a me, ho fatto l'offizio che dovevo fare, e per mia difesa bastarà di dir quel proverbio: attacca l'asino dove vuol il padrone. Dall'altra parte considero che Cornelia non è così sciocca nè così imprudente che alla voce non debba conoscere il marito: e perciò, s'alcuna cosa corresse tra essa e Camillo, non abbia da dissimulare e mostrar tutto il contrario, per farsi conoscer tale quale io la reputo. Ma dubito di no, perchè Alessandro dice di volersi mettere in bocca non so che palle piccole, per farsi balbuziente, e così fingerà la voce e la favella. Dubito anco che Cornelia da vero non sia innamorata di Camillo, poichè l'ho conosciuto a certi segni esteriori: che nominandolo divien pallida e sospira profondamente, pensando d'averlo discacciato; e quel che importa, tenta che ritorni in casa. Io preveggo una gran rovina, e vorrei star lontano, ma non posso, perchè bisogna servire a chi sono obligato. Pur nondimeno, gli avenimenti delle cose sono varii, e non si può far pieno giudizio. Chi sa che sarà? Voglio andare in ogni modo a condurlo, che, come si dice, le cose importanti l'aiuta Dio con li Santi. Scena 9 CAMILLO Non posso comprendere, Bianchetta, a che fine hai voluto che io mi rivestisse da Camillo e lasciassi quei panni da sc<h>iavo, quali veramente mi si convenivano, poichè dalle fasce mi furon dati in sorte. Io godevo della mia risoluzione fatta già di partirmi da Roma, vestito con quell'abito molto conveniente alle mie pene, che per tant'anni m'han combattuto sempre, e tu m'hai tratto da quel pensiero senza dirmi la causa. Perchè? FLAMINIO Nè anco io posso imaginarmi, Bianchetta, a che fine hai voluto che, spogliandomi da schiavo, mi rivestisse da Cosmo e ritornasse a servire il Napolitano, interrompendo il pensiero fatto per me di cercare luochi solitarii ed ermi, per non veder più, nè sentir la crudeltà che mi usa la crudelissima Lavinia. BIANCHETTA Signor Camillo e Signor Flavio, sete giovani, e la gioventù non ha freno, ma vi lascia correre disordinatamente. Attaccatevi sempre a' consigli de' vecchi, se volete star bene. Queste che voi chiamate disgrazie, a rispetto dell'altre ch'abbiam patito noi povere vecchie, sono a punto come il piscio del gatto a una gran pioggia; e noi che patite l'abbiamo, avemo anco il rimedio: che sapete pur quel proverbio: vanne al patito, e non al medico. State dunque di buon animo, e lasciate fare a me, che alla fine la pratica vince. Io vorrei che qui fosse il Signor Flaminio, che sentisse anch'egli il mio disegno; ma si partì senza farmi motto. CAMILLO Il Signor Flaminio, rivestito che s'ebbe secondo l'ordine vostro, vidde passar per strada non so che amico suo, e gli andò appresso, lasciandone detto che l'aspettassimo in questa strada. Ma poichè egli tarda, potrete incominciar pian piano a discoprire il disegno vostro. BIANCHETTA Primieramente voi m'assicurate che

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Argomenti: orrendo spettacolo

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