Intrichi d'amore di Torquato Tasso pagina 23

Testo di pubblico dominio

segno a strale, è forza che io mi espona a quest'altro pericolo; che se bene l'uomo misero non crede a gran speranza, dopo la notte ne viene il giorno, appresso il torbido il sereno: e in fine, che non può far un cuor continuo amando? Entrarò pure. Scena 3 FRANCESCHETTO Così si fanno le belle burle! Camillo si credeva d'aver colto il pero, ma io glie l'ho tratto dalle mani. Come lo viddi entrare in camera con la Signora madre, pensai subito alle triste miserie, che se ben son figliuolo, nacqui con li denti in bocca, e m'avverto d'ogni cosa. Càncaro, che dolci bascini si davano l'un l'altro! E allora pian piano volevano serrar l'uscio, ma mi misi a piangere e gridar forte, in tanto che la Signora uscì fuora, per saper la causa del mio pianto. Ma io tutto malizioso piangendo, fuggendo, ed ella appresso, mi ridussi sotto la cantina, dove presto presto gettai un sasso nella cisterna, e poi subito con un salto passai da quell'altra porta, lasciando mia madre gridando: “figlio mio, che sei caduto nel pozzo!” E facendomi sopra di novo, serrai destro destro la camera dove stava Camillo disteso sul letto: io lo serrai con questa chiave che porto meco. Adesso che il merlo è in gabbia, non potrà entrare in selva, e mi risolvo di riferir il tutto a quell'uomo che trovai con Leandro, perchè mi parlò un'altra volta in piazza, promettendomi un cappello con le piume e mill'altre cose, pur che io le dicessi quanto si fa in casa. Alla fè, ora che sta sotto le reti li voglio schiacciare il capo, e io averò il cappello con le piume bianche, e mia madre possa perder l'anche. Scena 4 PASQUINA Oh che bel colpo! In un taglio troncarò doi rami, la superbia di Lavinia e l'importunità di Giovan Luigi. Quella impararà non batter più le serve, e questo di non travagliar le donne da bene. Così pate chi prosume troppo, così merita chi disturba i fatti altrui. La vecchia traditora ha ordito la bella tela, ma io gli ho rotto il subbio nelle mani, di modo che non lo potrà più avolgere. Intesi già tutto il concerto allora, quando mi trovai a tempo in la finestra: che ora ho messo il cardine su la porta della camera, dove prima era entrata Lavinia in loco mio e dove appresso è entrato il gentil molinaro, di modo che non potranno uscir fuora mentre che io vado a chiamar la madre, il padregno e il fratello, per far castigar l'uno e l'altro. Dice ben quel proverbio di messer Alberto: chi noce altrui, paga con il tempo i falli sui. Vado di qua, che la strada è più corta. Scena 5 FLAMINIO Tu sai, Magagna, che da corsaro a corsaro non si perde altro che li barili; e per ciò t'inganni se pensi passarla con le burle, a non farmi vedere quel che porti sotto. Anzi, quanto più ricusi, tanto più mi inciti a saperlo. Risolviti dunque, e lasciami vedere, poi che l'animo mi predice non so che. MAGAGNA Non è niente, non importa niente a Vostra Signoria. Per l'anima di Marella mia figlia, son certe cose, come a dire certe coselle di femine; e sapete che le femine voglion le cose coperte, servendosi di quel proverbio: a latte coperto non vi cadeno mosche. FLAMINIO Parole! Son risoluto già, non ti credo. Leva via quella cappa. Che hai? Che porti sotto? MAGAGNA Aspetta, Signor Flaminio. Vedi, che non s'assaltano così gli uomini da bene in strada; vedi, che in Roma si fa la giustizia. Vedi, che te ne potrai pentire. Vedi tu, vedi che io... Vedi, che io mi farò sentire. Vedi, che tu hai che perdere, che se ben io son povero e tu sei ricco, la giustizia val per tutti. FLAMINIO Vedi che io ti romparò la testa, se mi replichi, forfantone che sei! Levati di là, passa di qua! Scopri, lascia che io veda. MAGAGNA L'uomo incappa sempre dove non vuole. Orsù, facciamo conto che l'avessi veduta. Che ti gioverà a veder li fatti d'altri? Lasciami andar, di grazia, che sarà meglio per te. FLAMINIO In somma, è perduta la cortesia che s'usa con villani. Vederò da me stesso che fardello hai sotto. Queste son vesti di lutto, e mi paiono quelle della Signora Ersilia. Come stanno così bagnate? Ohimè! Le mani me si tingono di sangue: che sangue è questo? MAGAGNA Signor, è sangue... è sangue, Signore. E così, per buona sorte è sangue. FLAMINIO Io so molto bene che è sangue. Ma di chi? E donde è causato? MAGAGNA È causato, verbi gratia, io... tu... perchè... avendo... il quale... Ahimè! non so che dire. FLAMINIO Tu non mi darai più la burla, scuopri via, scuopri via! Tu tremi? Che bacile è questo? Ohimè! tristo me! sconsolato me! Che veggio? Questo è il capo di Ersilia mia! Ed è pur esso, meschino me! Che cosa è questa? Chi mi t'ha tolto? Chi t'ha separato da quel bellissimo corpo, anima mia? Ersilia mia cara! Magagna traditore, che tradimento è questo? Chi l'ha uccisa? MAGAGNA Quello che è spirto, e sparte, e sponta, e sprezza, e spezza. FLAMINIO Deh, vita mia! Tu viva e crudele causavi la mia dolce morte, adesso morta e dispettosa cagioni l'amara vita mia; allora desiderando di vivere e sperando che col tempo si riscaldasse il tuo giaccio, ma ora che fredda ti tocco, vorrei morire e non posso. Anima bella, so che sei in parte dove discopri il vero: tu già discopri che mi fosti spietata, che io soffriva amando, e che pietà e non vendetta cerco. Chi dunque si vendica di te, s'io ero l'offeso, e ti pregai sempre la vita? Chi mi t'ha morta, o vita mia? Come vive chi è stato causa della tua morte? E tu, boia infame, perchè l'uccidesti? Dimmi, e dammi conto del perduto mio bene. MAGAGNA Parla onesto, Signor Flaminio, che io non sono nè boia, nè infame, ma gentiluomo come tutti gli altri gentiluomini, se bene mi vedi così misero per mia volontà: e s'altri pretendono di esser nobili di quarti, io son nobile di tùmolo, che importa più. E senti la ragione. FLAMINIO Non mi curo di sentirla. Ma dimmi l'origine, l'autore, l'esecutore d'un fatto così empio, così scelerato, MAGAGNA L'origine della casa mia, qual è Stoppiello, principiò in Magagna Stoppiello seniore. Da Magagna nascè Muccio, e si fece un quarto. Da Muccio venne Stuccio, e furon tre Stoppielli. Stuccio generò Succimuccio, ed eccoti un mezzetto. A Succimuccio successe Miccio, e sono cinque Stoppielli. Miccio sfoderò Sticcio, ed ecco tre quarti. Da Sticcio uscì Cacamiccio, e avemo sette Stop<p>ielli. Cacamiccio cacò me, ed eccoti un tùmolo. Ora vedi mo se allo Regno di Napoli ci è una casa così principale come è la mia. FLAMINIO Sia come si voglia! Io pretendo solamente sapere chi è stato il crudele che uccise Ersilia. MAGAGNA Anzi il Petrarca ne fa menzione di questa casata, quando disse: «Giunto Alessandro alla famosa tomba...»: tomba, cioè tùmolo. FLAMINIO Or poichè non mi vuoi dire il vero, e te ne stai burlando a tempo che il caso è lagrimevole, e il luogo così publico nol ricercano, intendo partirmi e portar meco questa reliquia, acciò possa farti castigare dalla giustizia: che se ben io avevo determinato vendicarmi con questa spada, non però pretendo saper primieramente li complici e fautori. MAGAGNA Ah, ah, ah, ah! FLAMINIO Tu te ne ridi? E perchè? MAGAGNA Come non vuoi che io rida, se io ti vedo far proprio come fa il cocodrillo? FLAMINIO Io non t'intendo. MAGAGNA Il cocodrillo dopo aver ammazzato l'uomo, se lo mette a piangere. FLAMINIO Lo so, ma nè anco t'intendo. MAGAGNA Ah, ah, ah! Ora mi è sovenuto un garbuglio grande per ricuperar la testa, e per levarmi dinanzi Camillo. FLAMINIO Con chi parli? Perchè ridi? Che dicesti di Camillo? MAGAGNA Camillo e tu sarete molto ben castigati: e a questo fine io portavo copertamente le vesti e il capo d'Ersilia al Governatore, per farvi castigare e punire come omicidiarii delle povere femine, che prima le uccidete, e poi le state a piangere. FLAMINIO Che sento? Che dici? Camillo dunque l'ha uccisa? MAGAGNA Camillo e tu, uomini da bene che sete! Bell'onore vi avete acquistato in uccidere questa povera figliuola, che era un pane di zuccaro, una semplice colomba, e una

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Argomenti: garbuglio grande

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