Intrichi d'amore di Torquato Tasso pagina 36

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supplico, Signor padre, che se gli debbiano dar 50 scudi per la sua dote. MANILIO Mi contento, figlio mio. ALBERTO E io, per li servizii fattimi, li dono altri 50 scudi. LEONORA E io delli miei altri 50. FLAMINIO Che sono 150, dote competente per il Signor Giovan Luigi Napolitano, il quale stando intensamente innamorato di lei, so certo che se ne contentarà, non mirando alla sua bassa condizione. Andiamo dunque, che stando egli in casa del Signor Alessandro, saldaremo ogni cosa con bel modo. FRANCESCHETTO Aspettate, Signori. Magagna per l'allegrezza si è dimenticato. Dissero quei Signori che dicesse a voi, Signor Flavio, che non vi foste partito di casa, che loro sarebbono venuti a trovarvi con la Signora madre, con Ersilia, e con tutti... Ma eccoli che vengono fuori. Scena 14 ALESSANDRO Il punto sta se senza nota d'infamia ciascuno si può ripigliare legitimamente la sua prima moglie. Ma eccoli, che anch'essi sono in via. Vi baciamo le mani, Signori, rallegrandoci che ci avete prevenuto ad uscir prima di noi, per l'occasione d'esservi avicinati alla mia casa, dove mi sarà cosa grata ricevere così onorata e nobil compagnia. ALBERTO Signor Alessandro, già che tutti sappiamo quel che passa, per non replicare il medesimo resta solo di risolvere il punto che Vostra Signoria poco avanti diceva: cioè se senza nota d'infamia ciascuno si può legitimamente ripigliare la sua prima moglie. Onde io, come dottore consumato nelli studii delli sacri canoni, dico che dove non è peccato, non è infamia: e perchè voi e io giudicammo le mogli morte, legitimamente ne ricasammo. Così Brianda e Cornelia riputando noi, loro mariti, similmente morti, legitimamente si ricasorno. In tanto che, non vi essendo peccato, non vi resta infamia, anzi siamo tutti degni di lode: quia sicut hae mulieres, quae ad suos viros reverti nolunt, impiae sunt habendae; ita illae, quae in affectum ex Deo initum, redeunt, merito sunt laudandae. Ita iudico, ut in Titulo 34. cap. 1. quaest. 2. Ripiglisi dunque ognuno la sua moglie, che tutti onorati e senza colpa restaremo. ALESSANDRO Ringraziato Iddio, che ci ha concesso che voi foste dottore per risolvere in un tratto il dubio che mi perturbava la mente. Or che, Brianda mia, li cieli permettono, dopo tanti infortunii e pericoli di morte, io vi vegga viva e salva, ritorno a voi, desiato mio porto, come nave combattuta da varie tempeste, per riposarci insieme felicemente; e però vi abbraccio e vi stringo, e così stretta e abbracciata a pena credo che abbracciata e stretta vi tenghi, anima mia, che vi credevo in Cielo tanto lontano da noi. LEONORA O Alessandro mio caro, o marito mio carissimo! Il coltello che mi trafisse l'alma, mentre morto vi giudicai, troncando al presente i travagli passati, m'imprime nel petto la bella vostra imagine, e raviva quell'amor casto e vero che scambievolmente fu e sarà sempre tra di noi. ALESSANDRO E voi, Signora Cornelia, poi che il giusto richiede che ritorniate al primo vostro marito, godetevi insieme, tenendo per fermo che in ogni occasione averete me più che pronto, come fratello amorevole e come servitore affezionatissimo. ALBERTO E da mia parte, e da parte di lei, vi ringrazio infinitamente, Signor Alessandro. Ma perchè dentro a più bell'agio potremo consolarci, entriamo, Signori, in casa mia: e abbracciata voi, Cornelia, per quella amata consorte che mi foste prima, prego i cieli che ci concedano ogni compita felicità. CORNELIA E io, Signor Muzio mio, non potendo dir altro per l'immensa allegrezza che sento, son quell'istessa Cornelia, che con il cuore e con l'animo vi amo e amarò sempre. ALBERTO E abbraccio ancor voi, caro e da me bramato figlio, Persio mio dolce, consolazion grande di me tuo padre. CAMILLO O padre amatissimo, non posso capir tante allegrezze. FLAMINIO Entriamo dentro, Signori, che volendo qui fuori riferir tutte l'allegrezze delle quali ciascun di noi è pieno, vi correria lungo tempo; e oltre che si starebbe a disaggio, non converria a dimorar tanto in strada. GIALAISE Dice bene lo Signore Flavio. Entrate, Signori, e dintro 'ncora potremo risolvere lo negozio di Pasquina con me, Signor Giovan Luigi. MANILIO È risoluto già, che Pasquina, qual veramente si dimanda Gentilesca, è pugliese, e abbiamo ritrovato suo padre e con lui concluso che sia vostra moglie, con 150 scudi di dote in contanti; e se ben non è nobile, basta che è figlia di buon padre e buona madre. GIALAISE Vengano tornisi in contanti, ca de lo riesto poco mi curo, avendo tanta nobeltade ca la pozzo dare a cambio e a scambio; e poi in ogni modo faraggio como fanno chis<s>'autri Cavalieri, ca s'abbassano pe accommodarse. Anzi serà grandezza la mia, a 'nalzare una donna da me tanto amata; e le cose ca se fanno pe amore sono escusabili. Or dimmi mo, Pasquina, al presente Gentilesca, non vi contentate d'incorporarve co la mia nobeletade? PASQUINA Io farò quel che farà il mio Messer padre. GIALAISE E chi è vostro padre? MAGAGNA Ego, io. GIALAISE Tu, eh? Come diavolo va ssa cosa? chi mi darà la moneta? MANILIO Ve la darò io, e Messer Alberto. Contentatevi, Signor Giovan Luigi, di quel che abbiamo fatto noi. GIALAISE Di grazia, dà ccà la mano, Signora Gentilesca, ca in toccarti solamente sei fatta illustrissima. PASQUINA Ma voglio le maniglie d'oro, io. GIALAISE Autro che maniglie d'oro avarai! Spantarà Roma de chelle cose ca ti faraggio benire da Napole. PASQUINA La collana e i pendenti, la cuffia similmente d'oro, e la gonnella di scarlatto rosso. GIALAISE Quietati, ca na Principessa no' avarà tanto quanto avarai tu. E fa' cunto che 'n una bilanza mettendoti tu, e lo dono mio nell'autra, pesarà chiù l'oro, che non pesarai tu. PASQUINA E voglio ancora un'altra cosa. GIALAISE Che cosa? PASQUINA Che non vadi più alle puttane. GIALAISE Ce pensarimo a chesso. PASQUINA Se tu ci vuoi pensare, ci voglio pensare anch'io. GIALAISE Orsù, te lo prometto, pur ca chesse femmene mi promettano a non dareme fastidio con tante suppliche ca mi mandano onne iuorno. PASQUINA Entra dentro, che giustaremo i pesi e le misure. BIANCHETTA E che faremo noi, Magagna, così soli soletti e senza compagnia? MAGAGNA Che cosa vorresti che facessimo? BIANCHETTA Quel che han fatto gli altri. MAGAGNA E che han fatto gli altri? BIANCHETTA Sono entrati. MAGAGNA E noi entriamo. BIANCHETTA Sì, ma entriamo sposi come essi; e vorrei che voi prima entraste in me, come entra l'ape nella pecchia, lasciandovi il me... mele. MAGAGNA Il me... mele? Mirate che sapor di bocca, e che menar di coda, e che sorte d'inchini te fa la pecchia vecchia! BIANCHETTA Vecchia son io? me vedi vecchia nella scorza, ma nel medollo son giovane più d'ogn'altra. Ma ritiriamoci insieme, che io ho ducento scudi in contanti, e mill'altre coselle da viver sempre bene, senza invidiar altri. MAGAGNA Ducento scudi in contanti e altre cose? Orsù, che io farò come fanno gli altri Cavalieri, che si bassano ed acconciano. Entra dentro, che con la pecunia numerata si farà tra di noi la copulata.

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Argomenti: dote competente,    medesimo resta,    cielo tanto,    fratello amorevole

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