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Nuove storie d'ogni colore di Emilio De Marchi pagina 5cominciò a sudare come un cavallo e a soffiare come un mantice. Era stata scelta la sciabola senza guardia, buoni tutti i colpi, e il duello doveva finire soltanto quando uno dei combattenti fosse nell'impossibilità di continuare; ma i padrini erano d'accordo di non lasciar andare le cose troppo in là e d'impedire una catastrofe con una di quelle motivazioni che salvano capra e cavoli. Alla prima scalfitura che fosse toccata a Massimo o al primo riposo, noi avremmo fatto appello al cuore generoso dell'onorevole Dassi, che si contentava d'ogni piccola vittoria. Si poteva contare anche un poco sulla svogliatezza cinica del suo rivale, che quella mattina era più grigio del solito. Ma il caso volle che la lentezza di Massimo irritasse il suo avversario, che si vide impedito il primo bel colpo da un giuoco freddo e pesante. A questo si aggiunse che il primo sfregio lungo qualche centimetro andasse a cadere proprio sull'occhio del deputato, un dito sopra il ciglio, in modo che il sangue, spruzzando come da un fontanile, gl'innondò la faccia, rigandola come una maschera e togliendogli la vista. I padrini arrestarono il duello. Il Dassi cominciò a bestemmiare in dialetto romagnolo, non tanto per il male quanto per il dispetto di non vincere subito. Ci vollero le belle e le buone per indurlo a lasciarsi lavare il viso coll'acqua tiepida, e a lasciarsi mettere un fiocco di bambagia sulla ferita e una fascia in giro. Quel diavolo a quattro non capiva più la ragione e tanto meno la volle intendere il colonnello, che nel suo primo aveva in giuoco la rinomanza della sua scuola. Con una eloquenza fredda e rigida, precisa come un logaritmo, il Barcone ci dimostrò che una conciliazione in queste circostanze non aveva ragione d'essere, a meno che il signor Massimo lasciasse mettere a verbale… —Ma che verbale!—gridò Massimo inorgoglito un po' troppo della sua fortuna; e si preparò ad attendere il secondo assalto. Questo fu ripreso subito, prima ancora che i padrini fossero al loro posto. Massimo, avendo riscaldato il ferro e sentendosi più rianimato dall'esercizio, fece tre o quattro mosse stupende in cui brillò ancora una volta il suo vigore giovanile e la vecchia foga del volontario. Dassi ad ogni colpo gridava come un ossesso. Lo scontro si fece vivo, ardente, bellissimo. Il deputato pagò subito il suo debito con una puntata, che Massimo cercò di parare, ma il filo della sciabola, scorrendo sul braccio, ne lacerò tutta la carne, producendo una ferita superficiale, ma per la sua ampiezza molto sanguinolenta. Il sangue, cadendo e dilatandosi nella stoffa della manica bianca di bucato, si sparse in grandi macchie che fecero comparire il danno più grave che non fosse. Bisognò fermarsi ancora. I medici esaminarono la ferita e non trovarono che fosse tale da impedire a un uomo come il signor Massimo la continuazione del duello. Quindi la teologia cavalleresca stabilì che dopo cinque minuti di riposo si ripigliasse il terzo assalto. Io n'ero quasi stufo e mi ricordo d'aver detto qualche parola vivace, forse senza senso, che fece sogghignare il colonnello, mentre i due dottori con una pazienza da santi e con una abilità di suora infermiera cercavano di togliere al ferito la camicia per poter lavare e dare un punto alla lacerazione. Bisognò che tagliassero la pezza col bistori. Il petto di Massimo, messo a nudo, uscì tutto a chiazze di sangue. Mentre il dottore giovine dava in fretta in fretta quattro punti alla pelle, l'altro, il barbone illustre, con una spugna passava sul corpo e andava via via spremendo il sangue in una catinella. Proprio davvero: due suore di carità non avrebbero potuto essere più amorose di quei due buoni scienziati, che dedicavano la loro vita al bene della sofferente umanità. Dopo aver sogghignato, il colonnello mi indicò il foglio del processo verbale, dichiarando che per conto suo si lavava le mani in quella catinella. Ho ancora nelle orecchie la sua voce fredda, acuta; e capisco che le cose si fanno o non si fanno. Ritornati al terzo assalto, la stanchezza, l'irritazione, l'odio che esce dal sangue, dettero al duello un carattere più brutale, voglio dire meno artistico; non pareva più un duello, ma una partita a coltelli, tanto che i padrini e lo stesso Barconi dovettero farsi avanti e gridare un perdio! che ricacciò i combattenti nelle regole delle cose pulite. Ammazzarsi è nulla, ma lo si faccia con garbo, perdio! se non altro per rispetto ai medici che assistono. Non so se i due combattenti intendessero le nostre ragioni. I poveretti avevano certi visi stravolti, certi occhi cattivi, certe bocche sguaiate, che non parevano più uomini civili. Una ferita di poco conto toccò ancora a Massimo fra la spalla destra e il collo: il Bassi ripetè il colpo con una traversata. La sciabola nel tornare dal sangue me ne spruzzò alcune goccie sullo sparato bianco della camicia. Anche il terreno era segnato di spesse orme sanguigne, che andavano allargandosi, perchè nella furia le due parti giravano, s'inseguivano, venivano a mezza lama, rendendo il terreno, dove il sangue si mescolava alla polvere del mattone, sempre più lubrico e sporco. I padrini e i due dottori erano come affascinati da quel terribile giuoco d'armi e lo stesso Barconi non potè che ammirare, come mi confessò più tardi, una magnifica finta di Massimo, che pochi maestri, tanto della scuola napoletana come della scuola francese, avrebbero saputo eseguire con più eleganza. Il Barconi cercava allo schermitore principalmente l'eleganza. La scherma è un'arte, come la danza, come la musica, come la pittura: e il ferro bisogna saper adoperarlo come il pittore adopera il pennello, come il musico adopera la bacchetta, con grazia, con semplicità, con armonia. Peccato che sul terreno le parti non sappiano sempre mantenere il contegno che si deve…! Ma i medici dimostrano alla loro volta che lo stato patologico degli avversari ha una certa influenza, per cui l'irritazione nervosa, disturbando le disposizioni callisteniche dei soggetti, li porta ad inconscie ed atavistiche ferità brutali. Si continuava da un poco a combattere fuori di ogni legge callistenica, quando risuonò sul pianerottolo un grido sinistro di donna e dietro al grido una voce stridula, che contrastava accanitamente colla voce fessa e turbata dell'oste; e poi si sentì un grande urto e un seguito di colpi violenti nell'uscio con un diabolico scassinamento del catenaccio. Massimo, che aveva il viso in fiamma, divenne smorto come un cadavere, mi lanciò un'occhiata supplichevole e mi comandò:—Non lasciare entrare quella donna.—Aveva riconosciuto la voce di sua madre. La povera donna, messa in sospetto dal contegno misterioso del figlio, era discesa dal letto, aveva dalla finestra vedute le carrozze e siccome non era la prima volta che Massimo partiva per queste spedizioni, si vestì, corse, interrogò il portinaio che non seppe mentire, poi era salita in una carrozza di piazza; ma aveva perduto del tempo nell'inseguirci su qualche falso indizio. Finalmente colla furia e colla divinazione d'una madre spaventata aveva scoperto il luogo. Scese di carrozza, entrò come un fulmine nell'osteria e colla forza con cui soleva una volta muovere un cesto di castagne, prese la mano d'Iside e parlando col solo respiro, disse:—Menami dove l'ammazzano!—Iside fu quasi trascinata da quella mano di ferro ai piedi della scaletta. Dal cortile si udivano i colpi, i passi, i gridi dei combattenti. Dunque era salita, era piombata su quell'uscio dove stava il sor Fabrizio in sentinella e cominciò di fuori un altro duello. E certamente la donna colla forza che vien dalla disperazione avrebbe finito col buttare il vecchio uscio in terra, se al comando compassionevole di Massimo non fossi corso a mettere le mani sulla maniglia del catenaccio e a puntellare l'uscio colla spalla. —Cani, cani, cani!—gridava la donna dando terribili scosse al paletto. —Non lasciarla entrare, Cesare.—Massimo mise tanto Tag: massimo sangue duello due tanto ferita volta donna voce Argomenti: vecchio uscio, mise tanto, cuore generoso, sfregio lungo, vigore giovanile Altri libri consultabili online del sito affini al contenuto della pagina: L'arte di prender marito di Paolo Mantegazza Corbaccio di Giovanni Boccaccio Diario del primo amore di Giacomo Leopardi Fermo e Lucia di Alessandro Manzoni Fior di passione di Matilde Serao Articoli del sito affini al contenuto della pagina: Mixed wrestling e bondage Significato dell'azalea La struttura narrativa (parte seconda) Offerta capodanno alle Hawaii Passaggio Pedonale di Breslavia
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