Nuove storie d'ogni colore di Emilio De Marchi pagina 24

Testo di pubblico dominio

papa? Ma le donne son fatte apposta per guastare la felicità degli uomini. Il Signore—raccontava don Procolo—creò l'uomo a sua immagine e somiglianza e poi si pentì, perchè capì nella sua onniscienza che il birbone l'avrebbe bestemmiato e rinnegato. Il primo pensiero fu di ridurlo di nuovo in un pugno di fango, o di cavarne un animale meno superbo; ma questo sarebbe stato come un confessare d'aver sbagliato, e Dio, si sa, non isbaglia mai. Ebbene che cosa ha pensato il Signore per correggere il suo sproposito? Ha creata la donna e gliel'ha confitta nelle costole. La donna non è la compagna, ma la errata-corrige dell'uomo. —Fra le altre cose—raccontava Battistone—pare che questa sora Erminia i calzoni voglia portarli lei. Comanda a bacchetta, si fa accompagnare alla messa cantata, vuole che per le dieci l'ometto sia in casa…. —È stato un asinaccio….—commentava don Procolo. —Non saranno tutte vere le storie che si contano, ma è certo che, se Carlinetto potesse tornare a fare il quarto a tarocco, darebbe la sua metà di paradiso. —È un asino in piedi—-andava brontolando il prete senz'anime. —Una notte sul tardi—prese a dire una volta il Cavaliere—tornavo dal teatro Dal Verme dov'ero stato a sentire la Galletti, e venivo bel bello, come si fa, verso casa…. Il discorso fu interrotto da un gran pugno, che Battistone lasciò cadere sul tre di picche, al qual pugno segui uno schiamazzo indiavolato. Don Procolo aveva arrischiato un asso in seconda, sbagliando il conto dei tresette. Era una sera cattiva. Il Chiodini era più distratto del solito e rifiutava senz'accorgersi d'aver le mani piene di carte del gioco. Fatto un po'di silenzio, il Cavaliere riprese:—Dunque tornavo bel bello verso casa…. —-Paolo, non ci si vede stasera—gridò don Procolo, che perdeva già dodici soldi. Battistone, che sul pranzo si lasciava sempre andare con troppa voracità, sbadigliava, masticando colla bocca aperta tutte le vocali dell'alfabeto. I soliti non erano allegri. —E dunque, sto Carlinetto?—chiese il prete. —L'ho incontrato tra le dodici e le dodici e mezzo, in via di S. Vincenzino, tutto imbacuccato in un soprabito d'inverno, in mutande. Eravamo ai tanti d'agosto e c'era una splendida luna.—Dove vai, a quest'ora, da queste parti?—gli domando.—Sei tu?—risponde—A mia moglie è venuta una voglia. Vuol mangiare una carota. Dice che non può dormire, se non mangia una carota. Vado a vedere se trovo un ortolano aperto… —Oh! oh!—esclamarono i soliti. —Che cosa vuoi? che mi nasca un figliuolo con una carota al posto del naso? le donne bisogna contentarle quando sono in certe condizioni.—Così dicendo, mi salutò e svoltò per la piazza Castello in cerca della carota. O povero Carlinetto! Battistone che pativa mancanza di respiro, fu preso a questa storiella da un singhiozzo nervoso, che lo fece ballare un pezzo come un sacco di crusca sulle molli del divano. Come avviene però delle cose del mondo, belle e brutte, cull'andar del tempo anche il discorso di Carlinetto cedette il posto ad altri argomenti nella solita saletta del Paolo e quasi me lo avevano dimenticato. Ci fu nel frattempo un gran processo di assassinio, con complicazione di adulterio. Poi seguì la guerra dell'Afganistan: poi scomparve la povera Marianna senza più dare notizie di sè. Insomma Carlinetto sarebbe stato dimenticato per sempre, se la sera del diciotto dicembre, tre anni dopo il matrimonio di quell'asinaccio, Battistone non avesse domandato, spiegando un foglio sul tavolino: —Indovinate chi mi scrive. Nessuno era indovino. —È Carlinetto che scrive. —Ahi! Campane a stormo! Tutti pensarono che il povero ragazzo venisse a invocare la misericordia dei vecchi amici. —Sentite quel che dice: «Caro Battistone, Scrivo a te che vedi gli altri. Giovedì è il giorno di Natale e alla mia Erminia i parenti di Rho hanno regalato un bel tacchino e dodici bottiglie di moscato di Siracusa. A nome dunque di mia moglie, che ha una gran voglia di conoscervi, invito te, don Procolo, il Cavaliere e il Chiodini a farmi onore. Non andate a pensar scuse. Si pranza alle sei. L'uomo può prendere moglie senza perdere i caratteri indelebili dell'amicizia, i quali sono immarcescibili. Rispondete subito al vecchio Carlinetto detto 'legrìa. —Povero figliolo!—disse il prete—se la andasse a buon cuore, sarebbe il re dei re. —Credete proprio che gli si faccia un buon servizio ad accettare? —Siamo quattro bocche. —E che bocche! Ma d'altra parte egli non aveva nessun obbligo d'invitarci. Gli si farebbe torto. —Non sentite che si tratta ancora d'una voglia di sua moglie? —Sicuro. Se la sora Erminia non vede don Procolo, le potrebbe nascere un figliuolo vestito da prete. —-Eh! eh! oh! oh!—Fu una gran risata. La lettera di Carlinetto fece scattare un poco della vecchia allegria. —Andiamo tutti a consolarlo, a distrarlo un po'—disse don Procolo—Forse ha bisogno di vedere la faccia degli amici, di rifarsi il sangue, povero 'legrìa! Andiamo a liberarlo dalle fiamme del purgatorio. Si combinò una lettera collettiva, firmata da tutti e quattro, nella quale si accettava ringraziando: e si combinò che ciascuno porterebbe qualche cosa, chi il vasetto della mostarda, chi il rosolio, chi un mazzo di fiori…. —Io gli porterò il panettone—disse il Chiodini: e si lasciarono. Don Procolo si trascinò fino alla Canonica dove aveva uno stambugietto accanto al solaio della sagrestia. Battistone trovò che la sua Ludovina, una serva padrona piena di premura, gli aveva messo il trabiccolo in letto e stava riscaldandogli del latte col miele per ammorbidirgli la raucedine. Il Cavaliere fe' scricchiolare le sue scarpe su per le scale: un ragazzetto gli aprì l'uscio e portò il lume in camera. Dei quattro celibi soltanto l'avvocato si perdette per distrazione nella nebbia e nell'oscurità delle viottole e non giunse a casa che verso la mezzanotte. Provò ad aprir la porta di strada, ma aveva presa la chiave della cantina in luogo della chiave giusta, così che bisognò picchiare un pezzo per svegliare il portinaio. Il quale, da uomo che non vedeva mai un soldo di buona grazia, finse d'aver il sonno duro e non si mosse se non quando il casigliano, già fuori dei gangheri, minacciò di buttarne fuori anche la porta. Finalmente s'intese uno strascico di pianelle, il portello si aprì, nello spiraglio luminoso i due uomini mugolarono quattro parole rabbiose, e tutto ricadde nel buio e nel silenzio. —Vecchi giovinastri!—brontolò il portinaio, quando tornò sotto le coltri accanto alla sua vecchia cuffia. * * * Il giorno di Natale don Procolo e il Cavaliere, incontratisi sull'angolo di via Porlezza, si avviarono insieme verso la casa di Carlinetto, che dava sul fianco del teatro Dal Verme colla vista delle piante e della nebbia di piazza Castello. Il prete teneva in mano il suo vasetto di mostarda, non troppo grande, per non far torto all'ospite: e il Cavaliere aveva un pulcinella coi campanelli. Giunti sulla soglia di una porta di assai modesta apparenza, dettero un'occhiata al numero.—È qui—ed entrarono. Non ora un palazzo, ma una casa abbastanza pulita, col bugigattolo del portinaio, con una scaletta stretta ma chiara e con un certo odor di cuoio su tutti i pianerottoli. Fatti alcuni scalini, don Procolo si voltò verso il compagno e disse:—Non si sente odor di risotto. Il Cavaliere, che faceva tanto bene scricchiolare, le scarpe sugli scalini, si rannicchiò nel bavero di pelo, sporse il labbro inferiore, aprì le due mani, tutte smorfie che volevan dire:—Povero diavolo! —Ah donne, donne, donne!…—canterellò fino in cima il prete. E su e su, quando piacque a Gesù bambino, arrivarono all'uscio e sonarono. Di dentro rispose un abbaiare fesso e un gran raspar d'unghia contro la porta. —O Gesù d'amore acceso, anche la cagnetta!—brontolò il prete. Il Cavaliere si rannicchiò ancor di più nel pelo del bavero. Venne ad

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Argomenti: bel bello,    povero ragazzo,    quattro parole,    sonno duro,    spiraglio luminoso

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