Nuove storie d'ogni colore di Emilio De Marchi pagina 28

Testo di pubblico dominio

c'è?—-disse Carlinetto, affettando un gran sussiego per soffocare la gran voglia di ridere.—È contenta ora della bella figura che ha fatto? Vada, si vergogni, alla sua età! Se io fossi il capitano, vorrei insegnarle io il rispetto. —Mi scusino….—balbettò la donna, ritirandosi. —Che scuse! quando il capitano saprà di di questa scenaccia, non sarà niente edificato. —Mi scusino….—Tornò a ripetere la donna, mentre Carlinetto la sospingeva verso l'uscio di scala. Quando però essa fu sulla soglia, volle pigliarsi la sua vendetta: e indicando un'ombrella dal manico a becco d'oca che il capitano soleva portare in viaggio, disse colla bocca amara:—Però le bugie hanno il becco d'oca. Carlinetto non la lasciò finire e chiuse l'uscio con fracasso sul muso della megera. Allora tutti si abbassarono per trarre il povero avanzo di Crimea dal suo nascondiglio. Sulle prime si ebbe compassione del suo abbattimento, ma poi una sonora risata accolse il povero risuscitato, che colla fronte bagnata e coll'aria d'uomo sfinito si abbandonò su una sedia. Lilì, che non era in grado di giudicare, cominciò ad abbaiare senza riguardo alla dignità umana. —Vede che cosa si guadagna a far dei misteri?—disse l'Erminia al capitano con un tono di benevolo compatimento. —Oportet ut scandala eveniant—predicò il prete. —Chi di voi è senza peccati scagli la prima tavoletta di torrone—gridò Carlinetto, che stava appunto intaccando il suo torrone col coltello. —Bene, non se ne parli più—comandò la gentile padrona di casa.
Capitano, mi dia la mano e mi faccia una promessa…
—Tutto quello che vuole…—sospirò l'omone cogli occhi lustri. —Carlinetto le darà un buon consiglio—soggiunse la Erminia.—E ora facciamo un brindisi Bebi… —Viva la sora Erminia! —Viva la sora Paolina! —Viva Carlinetto e la sua felicità! —Viva Bebi! —Viva la vecchia amicizia! Bebi si era risvegliato al frastuono e veniva in braccio di Immacolata a cercare il pranzo di Natale. Stese subito le piccole mani alla mamma, che lo accolse e se lo strinse al seno. Bebi era vestito d'un costumino bianco orlato di fiocchetti, un vero gomitolo anche lui come Lilì, con due buchi lucenti. —Questi bravi signori permetteranno un'opera di misericordia: dare da mangiare a chi ha fame. Erminia sedette innanzi al caminetto in maniera da voltare le spalle ai signori uomini e servì il signor Bebi della sua buona grazia. Battistone, a cui certe cose facevano l'effetto di una piuma sul cuore, abbassò il muso e s'ingrugnò in un umile silenzio. Venne il caffè che ciascuno prese come gli piacque, col rhum e senza rhum, in piedi, seduto, accanto al fuoco. Carlinetto condusse l'avvocato a contemplare la Madonna della seggiola. Anche don Procolo, dopo aver scaldata un poco la schiena al fuoco, dolcemente ispirato dal profumo del caffè, cominciò una predica dolce come la mostarda sulla santità dell'affetto materno, sulla castità sublime della madre nutrice de' suoi figli, che desta il sorriso sulle labbra degli angeli, e citò i versi dell'abate Pozzone: Se con labbro inesperto il fanciulletto
La giovin madre folleggiando appella….
Qual altro nome di più santo affetto
Ha la mortal favella?
Il Cavaliere messo in vena dal vin dolce faceva esplicite dichiarazioni alla Paolina, che rispondeva per le rime, ridendo, dando di tempo in tempo un bacio sulla testa di Lilì. —Lei mi fa invidiare la brutta bestia—diceva il vecchio galante. —Non è poi così brutta. Ce n'è di peggio…—rispondeva la briccona. Ho detto che don Procolo era in vena di predicare. Dopo che Carlinetto ebbe stappata una bottiglia di Siracusa, il vecchio teologo divenne un padre Segneri. Le citazioni latine traboccavano a proposito e a sproposito dalla memoria scossa in una giuliva ed insolita emozione, come l'acqua da una spugna che tu spremi colla mano. Alzava il calice contro la fiamma della lucerna e nell'ambra splendente del liquore rivedeva come di scorcio il fantasma della sua vita passata e trapassata, dai caldi entusiasmi della prima messa ai rosei tramonti della sua prima parrocchia di montagna, dov'era arrivato quarant'anni fa con un breviario sotto il braccio e un sacco di fede in ispalla, dove avrebbe potuto e dovuto rassegnarsi a vivere e a morire, vergine di cuore e di pensieri, fra la povera gente, se il diavolo… —Sa lei che cosa è il diavolo?—chiese a un tratto alla Paolina. —Non, l'ho mai visto…—disse la ragazza. —Io sì…—aggiunse il povero vecchio, ripigliando il filo delle reminiscenze, alzando di nuovo il bicchiere color dell'ambra a specchio della fiamma. «Il diavolo l'aveva condotto in mezzo a cento insidie e una volta che si sbaglia il primo bottone si sbaglian tutti. Si va giù alla maledetta per i gradini del disordine e il sacco della buona fede si sparpaglia per la strada. Brutta vita quella di predicar bene e razzolar male! brutto quel correr dietro ai morti colle scarpe rotte a mendicare una candela di cera vergine e le due lire e mezza del funerale! Brutti, o bisogni, che fate il vestito rattoppato, intabaccato, e le calze ragnose! Un vizio tira l'altro. Ci si attacca al tarocco, al tabacco, al vin di Stradella…. e si finisce col non capir più nemmeno il latino del papa, il quale anche lui ha il suo diavolo che lo attacca alla roba di questo mondo. E intanto le coscienze precipitano….—Don Procolo indicò anche col dito l'abisso in cui gli pareva di veder precipitare le coscienze—le pecorelle si sbandano, sitiunt animae e il pastore è ubbriaco… —No, no, non va bene, non va bene… non va bene…. Il prete che era rimasto solo davanti al caminetto seguitò un pezzo a leggere nello viscere del fuoco quest'eterna filosofia:—Sitiunt animae e il pastore è ubbriaco. Eppure si potrebbe ancora accendere colla fiaccola gli spiriti morti. Il mondo non si governa colle ciarle. Ben venga il pastor novus a predicar la carità e il mondo gli andrà dietro come un greggie solo; ma non deve aver la mitria e il piviale d'oro. Gesù poveretto sarà sempre lui il padrone del mondo… * * * Carlinetto aveva menato gli altri a vedere Bebi che poppava. Egli teneva il lume: Paolina s'era inginocchiata in terra e andava posando dei piccolissimi baci sul cucuzzolo del bambino, mentre la mammina, tra il vergognoso e il superbo, abbassava gli occhi per non vedere d'esser veduta. Don Procolo credette nella sua malinconia di veder il presepio in lontananza. Bebi era il bambino, l'Erminia la Madonna, gli altri i Re Magi e Carlinetto San Giuseppe. E lui don Procolo, lui era l'asino, a cui è stato imposto di soffiare sui figli degli altri. Se il salotto di Carlinetto era caldo e rischiarato, non bisognava dimenticare che la neve cadeva sui tetti, sulle strade, sulle campagne, a seppellire i casolari dei poveri, che non sanno come ripararsi. Perchè non mandava, almeno lui prete, un pensiero d'amore ai bisognosi, ai mendicanti, ai malati, agli orfanelli pei quali non v'è nè pane nè panettone? perchè non usciva anche lui, sacerdote e padre dell'amore e della misericordia, a bussare a tutti gli usci dei poverelli e a portare un cesto di pane a chi non ha nemmeno la mostarda per accompagnarlo? Ma la gola tira l'egoismo e tutti e due insieme fanno l'asino del presepio cocciuto contro il bene. Una soave carità scendeva a scaldare il suo cuore. Oh se egli avesse avuto le tasche piene di marenghi, avrebbe voluto attraversare Milano e sparpagliare quel bel giallo sul bianco della neve e plif e plaf….. allegri poveretti! Il Signore è nato per tutti… Il buon vecchio, trascinato a girar come un arcolaio sopra il suo pensiero, mentre, faceva l'atto di buttar marenghi nella cenere del caminetto, cantarellò a voce alta: e plif e plaf. * * * —Che cosa fa, don Procolo? animo, aiuti la balia. Così dicendo, Carlinetto collocò sulle braccia del prete il bamboccio gonfio come una mignatta, sprofondato nel cuscinetto, colle gote accese,

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Argomenti: cera vergine,    povero avanzo,    vero gomitolo,    predica dolce,    castità sublime

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