Il colore del tempo di Federico De Roberto pagina 29

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centri di coordinazione dei movimenti. Il solo senso del colore produce un Mackart, cioè un uomo che sa combinare abilmente le tinte piacevoli come le sanno combinare il clamidodera, il ptilonorinco ed altri uccelli australiani costruttori di pergole multicolori. Un Beethoven o un Raffaello egli concede che si distinguano dai cani ammaestrati: ma saranno da considerare come veri genî? No. «Se il genio è giudizio e volontà a un grado di perfezione straordinario, che cosa farò dei genî emozionali, dei poeti e degli artisti? Ho ancora il diritto di ammettere che i poeti e gli artisti possano essere genî? Ebbene: questo diritto mi pare per lo meno contestabile…». I genî di prim'ordine, i soli veramente degni del nome sono i grandi capitani, i grandi legislatori, i grandi ordinatori degli Stati: con la massima lucidità di giudizio essi hanno una volontà talmente forte da sottoporre e disciplinare tutti gli altri uomini. Poi vengono i grandi inventori e scopritori, nei quali la volontà è meno geniale, perchè non lotta contro le vive forze dei simili, ma contro le resistenze passive della natura. In terzo luogo vengono i genî di solo giudizio, senza corrispondente sviluppo della volontà, cioè i pensatori, i filosofi. Finalmente, nella quarta categoria, quasi come una concessione, il Nordau comprende i poeti e gli artisti. «Questa gerarchia è la sola naturale, perchè poggiata su basi organiche», perchè determinata «dalla dignità dei tessuti e degli organi»; in altre parole: perchè le facoltà del giudizio e della volizione che formano i genî delle tre prime classi sono facoltà esclusivamente umane, senza riscontro nell'inferiore mondo dei bruti; mentre i genî di quarto ordine, i poeti e gli artisti, riconoscono la loro eccellenza dalle facoltà sensitive, le quali non sono del tutto nostre, ma comuni a noi ed agli animali. Ora, prima di ogni altra cosa, un evoluzionista come il Nordau si vanta di essere può sostenere senza contraddizione che il giudizio e la volontà appartengano esclusivamente all'uomo, che siano apparsi in lui di punto in bianco, che non si riscontrino in grado embrionale, rudimentale, infinitamente piccolo anche nei bruti? Vuol egli mettere da parte tutta una scienza, la psicologia comparata? Certo, la distanza tra le facoltà mentali degli uomini e quelle dei bruti è enorme; ma altrettanto enorme è la distanza dalle facoltà sensitive e sentimentali nostre a quelle degli animali. Nessuno ancora ha visto un animale piangere o ridere; e l'artista che eccita in noi questi moti non li eccita automaticamente; anch'egli si serve del giudizio e della volontà. Certo le capacità si diversificano, si sviluppano variamente e si specificano in un senso o nell'altro; non abbiamo bisogno di ripetere ciò che già dicemmo ragionando dei rapporti della scienza e dell'arte; ma, perchè esse sono distinte, diremo che l'artista non ha nessuna delle facoltà umane dello scienziato, e viceversa; mentre sappiamo che sapienti e poeti furono un tempo, da Empedocle a Leonardo, e possono ancora essere, sebbene troppo raramente, un genio solo? Diremo, col Nordau, che il genio artistico «non è altro che un organetto» capace solo di ripetere meccanicamente certi pezzi di musica, mentre il genio scientifico crea liberamente? Dice egli sul serio quando afferma che il genio scientifico, filosofico, politico è «affrancato» dalle commozioni, dai sentimenti? Dove sono queste separazioni così profonde tra uomini ed uomini? Non sarà creazione, se il Nordau non vuole, quella del poeta; ma allora chi al mondo ha creato mai nulla? C'è qualcosa di nuovo sotto il sole? La creazione, se questa parola si può adoperare, non è tanto degli ordinatori di popoli, quanto degli speculatori di dottrine, quanto dei trovatori di immagini? La classificazione dei genî non si deve pertanto fondare sulla «dignità» dei loro diversi attributi, i quali sono tutti degni egualmente; potrà solo dipendere dall'utilità delle loro opere. Un legislatore sarà maggiormente venerato che un filosofo, perchè l'opera sua maggiormente importa alla maggior parte degli uomini; uno scienziato avrà più lodi che un artista, perchè le sue scoperte sono più feconde di risultati positivi. Ma l'artista non lavora proprio ad altro che a procurarci un momento di piacere? Non può anch'egli parlare al nostro giudizio? E dato pure che non produca null'altro che sensazioni piacevoli, queste sono del tutto sterili e senza importanza notevole? La poesia non ha la sua utilità nella vita; non è, a giudizio di tanta parte del genere umano, ciò che le dà sapore e prezzo? Dice il Nordau: «Se in una tribù di Pelli Rosse sorgesse un Descartes o un Newton, sarebbe considerato come un membro inutile all'orda: ogni fortunato cacciatore d'orsi, ogni guerriero che porti già le cuti di molti cranî di nemici alla cintura, gli sarà anteposto». Certamente; ma questo esempio ha un significato contrario a quello che il Nordau gli vuole attribuire. In mezzo a Pelli Rosse non sorgono e naturalmente non possono sorgere altro che cacciatori e guerrieri; lo stesso autore ha bene osservato che in una città abitata tutta quanta da ciechi un solo veggente chiederebbe invano che si illuminassero di sera le vie. Ora, se le strade sono illuminate in tutte le città del mondo, ciò accade perchè la gente non è cieca; e se gli artisti che il Nordau tratta con tanta irriverenza sono apprezzati ed amati, ciò accade precisamente perchè la gente è capace d'intenderli. Essi non ci sono già piovuti dalla luna; escono anzi dalle vive viscere di questa nostra società dove non usa più portare alla cintura il cuoio capelluto dei nemici uccisi in guerra, ma si provano nuovi bisogni morali che chiedono urgentemente di essere appagati. E se lo stesso Nordau riconosce che soltanto per un ricordo dei tempi selvaggi e barbari si accorda anche oggi «il posto supremo al soldato», come poi vuole che Alessandro e Cesare e Bonaparte siano da chiamare genî più alti, più puri, più esclusivamente umani di Platone, di Dante, di Shakespeare? Non si potrebbe sostenere con fortuna precisamente l'opposto? E la stessa idea di questa classificazione, di questa gerarchia, non è poco felice? Se il paragone non fosse, come dice il motto, odioso, non sarebbe inutile? Quando avremo dimostrato che Washington vale più di Vittor Hugo, forse non leggeremo più la Leggenda dei Secoli, o dovremo mettere la statua del suo autore sopra un piedistallo dieci centimetri più basso? E se, per confessione del Nordau, i filosofi dell'avvenire non stimeranno le dottrine del Darwin «più di quanto noi stimiamo oggi le teorie filosofiche di Parmenide o d'Aristotile», se il tempo distrugge le leggi come i quadri, le statue come i regni, le dottrine come gli edifizî, se tutte le cose umane sono egualmente caduche, perchè queste distinzioni? Ma io dimentico che uno dei libri più singolari di Max Nordau porta un titolo molto significante. Si chiama Paradossi, e da quanto pare non è ancora finito. CRITICA E CREAZIONE Nemico dell'arte, Max Nordau non si contenta di fare il critico, il sociologo, il filosofo, il polemista; egli fa anche l'artista. Il caso è ancora più notevole che dapprima non paresse. Dei suoi romanzi di un tempo non mette conto parlare; bisogna invece leggere l'ultimo, quello che egli ha pubblicato dopo la Degenerazione e la Psico-fisiologia del genio, cioè dopo i libri dove ha peggio trattato gli artisti e la stessa arte. I. Il nuovo romanzo di Max Nordau, che nella traduzione italiana s'intitola Battaglia di Parassiti, porta nell'originale tedesco il titolo di Drohnenschlacht, che vorrebbe più precisamente significare battaglia di fuchi, e alluderebbe ai maschi delle api, i quali sono uccisi quando la loro funzione è compita. Uno dei principali personaggi, Augusta Hausblum, chiarisce questa allusione. Rovinata da un giovanotto scapestrato quando era una modesta e zelante istitutrice, spinta al

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Argomenti: terzo luogo,    genio artistico,    genio scientifico,    membro inutile,    fortunato cacciatore

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