Il colore del tempo di Federico De Roberto pagina 22

Testo di pubblico dominio

non possono prender parte a questi convegni. «È probabile che i nostri legislatori, diminuendo quanto è possibile il numero delle occasioni che possono mettere in presenza uomini e donne, abbiano agito nell'interesse della famiglia». E nelle conversazioni cinesi «le persone bene educate non parlano di politica». Che dire dell'abito europeo? Il colonello non capisce come noi possiamo vestirci con la orribile marsina, con la marsina livellatrice, comune ai servi ed ai signori. Sarà forse perchè in Europa regnano i principî liberali e democratici? «Io domando ancora a me stesso, dopo dieci anni di soggiorno a Parigi, dopo tanti studî pazienti, quale può essere, nelle istituzioni del mondo occidentale, il principio veramente degno d'esser chiamato democratico e liberale. Mi hanno parlato del suffragio universale: ma è una rosa dei venti, un principio senza principî…. Cosa strana: nessuno potrebbe proporre l'elezione degli accademici per mezzo del suffragio universale senza coprirsi di ridicolo; e poi si ammette che il suffragio universale debba esso scegliere i legislatori. Crederei che scegliere i legislatori sia più difficile che non scegliere gli accademici…». In Cina, invece, solo lo studio e gli esami e i concorsi che provano il profitto negli studî, portano gli uomini a tutti i gradi della scala sociale; e tutti i cittadini, indistintamente, hanno il diritto di concorrere; e i più umili, gl'infimi, possono arrivare alle più alte cariche dello Stato. «Noi siamo più di 400 milioni di abitanti in Cina», dice ancora il colonello, «e non abbiamo nè notai, nè avvocati; e i titoli di proprietà, gli atti, i contratti, in una parola tutte le cose che riguardano gli affari, non sono perciò meno regolari che in Europa». E nondimeno egli non chiede che i Cinesi siano lasciati a godersi questa loro civiltà; nè, tanto meno, che l'Europa prenda esempio dalla Cina; chiede soltanto, e in verità non potrebbe essere più discreto, che, se gli Europei vogliono diffondere in Cina ciò che hanno trovato di buono, adoperino la persuasione, e non già la forza. E riferisce un aneddoto per difendere i proprî connazionali dell'accusa di essere refrattarî alla civiltà europea. «In Francia, si narra, il popolo non volle sul principio mangiar le patate, perchè gli furono imposte. Avevano reso la patata obbligatoria; il popolo non ne volle, non volle neppure assaggiarla. Fu necessario l'esempio della Corte; fu anche necessario, se la storia non mente, proibire le patate; e allora tutti ne mangiarono. Ecco la vera civiltà, quella che si fonda sulla conoscenza del cuore umano, il quale è lo stesso sotto tutte le latitudini». E il buon Cinese aggiunge un motto che dimostra come egli abbia studiato anche i per finire dei giornali spiritosi: «Quante patate, quanti pomi di terra (ricordiamoci che scrive in francese) non ci farebbero mangiare, con le belle maniere! Ma non hanno finora importato fra noi altro che il pomo della discordia!» II. La vera grandezza del popolo cinese, il suo massimo titolo al nostro rispetto,—e forse anche a qualche cosa di più,—è la sua morale. Un libretto dove il signor di Lanessan, già governatore generale dell'Indo-Cina, ha raccolto con molta pazienza ed accorgimento tutte le massime dei libri sacri del Celeste Impero e dell'Annam, riassume chiaramente il pensiero etico e filosofico della razza gialla. La filosofia, in Cina, non è privilegio di pochi studiosi: per una sessantina di lauree, i candidati sono laggiù da dieci a dodicimila. Tutti indistintamente i Cinesi ricevono un'educazione filosofica; le sentenze più importanti dei libri classici sono incise con caratteri d'oro sulle pagode erette ai genî, sulle case dei letterati; sono spiegate ai figli dei contadini come a quelli dei Mandarini, nelle scuole aperte a tutti, frequentate da tutti, nelle città sterminate come nei più miseri villaggi. E che dicono queste sentenze? Dicono, prima di ogni cosa, e contrariamente alle credenze dei popoli occidentali e cristiani, che la natura dell'uomo non è macchiata da peccati originali. La natura umana, nativamente buona, può bensì corrompersi, e appunto perciò occorre dirigerla e sostenerla, sin dai primi anni, con l'educazione. Chi sarà virtuoso sarà felice; felicità e virtù sono, secondo i moralisti cinesi, tutt'uno. Nè essi credono all'eguaglianza degli uomini, Gli uomini sono tutti originariamente buoni; ma la natura dell'uno differisce da quella dell'altro. Alcuni di essi arrivano, «senza soccorso straniero», senza bisogno di meditare, di riflettere lungamente, a comprendere la legge del perfezionamento umano: sono gli uomini santi. Vengono poi, in seconda linea, gli uomini, saggi, i quali hanno bisogno di studiare molto, di sforzarsi, di vegliare assiduamente su sè stessi per comprendere ciò che è bene. Saggi e santi formano insieme la categoria degli «uomini superiori», i quali si distinguono profondamente, anche nell'apparenza, dagli «uomini volgari». Ma, per la loro stessa superiorità, essi hanno molti doveri: primo fra tutti è quello di servire d'esempio agli altri. «Gli errori dell'uomo superiore sono come lo eclissi del sole e della luna: se egli commette uno sbaglio, tutti lo vedono; se si corregge, tutti lo contemplano». E non basta neppure che egli dia il buon esempio: bisogna anche che lavori direttamente a istruire gli altri uomini. In Cina l'istruzione non è obbligatoria, ma l'ignoranza è generale argomento di sdegno e di spregio. «Quelli che pensano soltanto a mangiare e a bere tutto il giorno, senza impiegare la loro intelligenza a qualche oggetto degno di essa, fanno pietà. Non vi è il mestiere di barcaiuolo? Lo esercitino: saranno saggi, a paragone di prima… Gli uomini hanno dentro di loro il principio della ragione; ma se, soddisfacendo gli appetiti, vestendosi di panni caldi, costruendosi comode case, mancano di istruzione, allora si avvicinano ai bruti». Così, per effetto della diversa istruzione, gli uomini nativamente non eguali si allontanano ancora più gli uni dagli altri; ma ciascuno può, a forza di volontà e di perseveranza, divenire «saggio», arrivare alla categoria degli «uomini superiori». Meng-Tseu dice: «Chi si mette a fare una cosa somiglia a chi scava un pozzo. Se, dopo averlo scavato fino a settantadue piedi, non continua fino alla sorgente, è lo stesso come non averlo cominciato». Le persone i cui studî progrediscono poco, i cui sforzi per migliorarsi non riescono prontamente, non debbono scoraggiarsi: «Ciò che gli altri farebbero in una volta, esse lo faranno in dieci; ciò che gli altri farebbero in cento, esse lo faranno in mille». Questa possibilità dell'eguaglianza nell'istruzione, nella conoscenza dei doveri, è la ragione dei costumi politici della razza gialla, i quali sono più democratici di quelli dei paesi più democratici d'Europa e di America; con questo, però: che la democrazia non degenera mai in demagogia. Gli uomini del popolo, sanno che, volendo, col lavoro, con lo studio, con la buona condotta, avrebbero potuto sollevarsi, prender posto tra i «saggi,» tra i reggitori; perciò non li odiano, non si ribellano ad essi. La gerarchia è scrupolosamente osservata: ciascuno sa obbedire e rispettare i superiori, e comandare e compatire i sottoposti. Ogni uomo deve attendere a migliorare sè stesso; per compiere questo dovere bisogna studiare «l'essenza delle cose» e «i principî delle azioni»; così si arriva a conoscere la propria «destinazione». Nel Ta-Hio è detto: «L'uccello giallo mien-män dal canto lamentoso stabilisce la sua dimora nelle folte cavità delle montagne. Il filosofo ha detto: nel fissar lì la propria dimora, esso dà prova di conoscere il luogo della sua destinazione; e l'uomo sarà da meno dell'uccello?» La «destinazione» dell'uomo è indicata dalle inclinazioni naturali; perchè ciascuno consegua la propria, bisogna «non snaturare le inclinazioni rette, come quella

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