Il colore del tempo di Federico De Roberto pagina 9

Testo di pubblico dominio

tutto il bene: c'è qualche cosa di più e di meglio: Non, le meilleur être possible
N'est pas un lutteur invincible,
Un amant au bonheur fatal!
C'est un ignorant qui découvre,
Un captif à qui le ciel s'ouvre,
Un pèlerin de l'idéal.
Ma finora, lasciando parlare il genio benefico, lasciandolo operare contrariamente al Male, il poeta non esprime la sua opinione personale. Il Bene si è venuto purificando: prima consisteva nel piacere, poi nel sapere, da ultimo in un amore diverso da quello dei sensi, nell'amor mistico, nell'amore del sacrifizio, nell'amore secondo il Tolstoi. Ma quando il Bene è così perfetto, quando il poeta si trova dinanzi al Bene massimo ed al Male estremo, egli osserva, come il Tolstoi e il Nietzsche, che le prosperità sono impossibili senza i disastri, i piaceri senza i dolori, e che la vita e la morte lavorano insieme, una in faccia all'altra. Car le Bien et le Mal se prospèrent l'un l'autre.
Qu'on rêve le meilleur ou le pire univers,
Tous deux, en vérité, n'en font qu'un, c'est le nôtre,
Contemplé tour à tour par l'endroit ou l'envers.
Notre regard captif, jouet de l'apparence,
Par ses courts horizons se laisse décevoir,
Mais des biens et des maux la vaine différence
S'effacera pour lui s'il doit un jour tout voir.
Contre les ancìens dieux l'âme humaine aguerrie
N'attend certes plus d'eux ni fléaux ni bienfaits,
Mais n'est-ce pas un reste obscur d'idolâtrie
De maudire ou bénir des sorts bons ou mauvais?
Fra le contrarie voci del Bene e del Male il poeta ne ode ora un'altra: quella della Natura: e la Natura dice che ella è la stessa ragione, che i destini dell'universo si svolgono infallibilmente; che non avendo esso avuto principio nè dovendo aver fine, così non è stato giovane ne può invecchiare; che l'equilibrio delle leggi e la costanza delle cause gli conferiscono un ordine contro del quale il tempo non può nulla; che solamente le forme apparenti delle cose cambiano. E la Natura non accetta dagli uomini nè voti ne sacrifizî; pregare è insultare le leggi naturali, dubitare della loro forza inevitabile. La Natura, come diceva quel vescovo australiano del quale parlammo, non ode le preghiere: «N'attends de mes decrets ni faveurs ni caprices;
Place ta confiance en ma seule raison».
E se questo è l'ordine che dà la Natura, il poeta lo accetta integralmente. Il suo appoggio, il suo asilo è nella ferma ragione naturale: egli non griderà, non si lagnerà, accetterà anzi tutti i dolori, se i dolori suoi sono necessarî. Pour nourrir une fleur de tout mon sang dispose,
Si quelque fleur au monde aspire un suc pareil;
Tu peux tuer un homme au profit d'une rose,
Toi qui, pour créer l'homme, éteignis un soleil.
Qui tanta è la forza della persuasione, tanta la sincerità del sentimento, che la stessa forma diventa veramente poetica: è difficile esprimere più poeticamente il concetto scientifico secondo il quale la terra, già ardente, diventò abitabile quando i suoi fuochi si spensero. E così alla scienza egli sacrifica la fede; o per meglio dire, la scienza, la ragione, diventa la sua stessa fede. Anche nel Zenith canta: Les paradis s'en vont; dans l'immuable espace
Le vrai monde élargi les pousse ou les dépasse.
Nous avons arraché sa barre à l'horizon,
Résolu d'un regard l'empyrée en poussières,
Et chassé le troupeau des idoles grossières,
Sous le grand fouet d'éclairs que brandit la Raison.
È vero che, dal primo suo giorno, il genere umano ha dischiuso come un calice il cuore verso il cielo, e che nel cielo Plane son grand espoir, de sa raison vainqueur; ma il filosofo sa che non si può dare la scalata al cielo per andare a leggere negli stessi occhi di Dio; e il poeta narra pertanto la semplice impresa degli areonauti, i quali arrischiano la vita per osservare qualche fatto e prendere qualche nota: La cause et la fin sont dans l'ombre;
    Rien n'est sûr que le poids, la figure et le nombre:
Nous allons conquérir un chiffre seulement…
III. Eppure Sully Prudhomme non è fermo in questa conclusione. Se egli credesse di avere così composto il dissidio fra la ragione e la fede, non lo riprenderebbe nella Giustizia. Quando l'anima era semplice, dice egli nella Giustizia, si slanciava verso il cielo e vi spaziava, sostenuta dall'estasi e dalla speranza; oggi la scienza ha spogliato la natura di tutte le illusioni che la facevano bella; il poeta non vede più in essa un'anima divinamente umana; e come l'orfano si rivolge alla giustizia quando non spera più nulla dalla bontà, così egli, disperando della fede, vuole interrogare la Sfinge per conoscere se almeno una legge d'equità governi l'universo. Car le poète, lui! cherche dans la science
Moins l'orgueil de savoir qu'un baume à sa douleur…
En vain de ce qui souffre il connait la structure,
Il ne croit rien savoir tant qu'un doute odieux
Plane sur le secret des maux que l'être endure,
Tant que rien de mieux n'a remplacé les dieux.
Allora comincia dentro di lui una lotta fra la mente e il cuore, durante la quale questo combatte coraggiosamente lo scetticismo, l'ironia, lo sconforto che il freddo ragionamento genera nell'animo del cercatore. Le specie sono in continua guerra fra loro, la prosperità dell'una costa il deperimento dell'altra, le deboli soccombono dinanzi alle più forti. In una stessa specie lotte egualmente accanite si accendono fra gl'individui; l'egoismo è la gran legge alla quale ciascuno obbedisce; l'amore, altro inganno, si riduce all'istinto; la stessa Bellezza ha un fondamento materiale del suo impero giudicato divino: essa lavora all'integrità dello stampo della razza, additando i modelli migliori. Ciò che succede fra le specie e nella specie si ripete fra gli Stati e nello Stato: e, come aveva già detto Corneille, La justice n'est pas une vertu d'État. Si rifugerà essa dunque in un altro pianeta, poichè sulla terra è introvabile? Ma la materia non è per ogni dove identica? La stessa legge di gravitazione non regna in tutto il creato? Un rigoroso e fatale determinismo non si nasconde dietro l'apparente libero arbitrio, illusion du choix dans la necessité? Un atomo è l'immagine dell'universo; tutto ciò che in questo si compie, deve compiersi fatalmente; è quindi da stolti chiedere la giustizia al Destino. Così conclude la Ragione trionfante. Ma il poeta, che già si era acquetato a questa conclusione, ora non l'accetta più. Egli che si rassegnava personalmente al dolore, che quasi lo chiedeva pur di cooperare con la Natura impassibile, ora si commuove e si ribella all'idea del dolore altrui. Voleva affidarsi alla sola ragione, ora s'accorge che non gli basta. Il cuore ha ragioni che la ragione ignora. Elle informe, elle instruit: serait-ce lui qui juge?
Que dis-je! La Justice, au lieu de fuir mes pas,
N'aurait-elle qu'en moi, dans mon coeur, son refuge?
Infatti: la legge della giustizia è umana, si rivela tra gli uomini, non nella Natura. Costei considera impassibilmente la propria opera attraverso l'occhio ignorante del bruto; la pietà e il terrore, il bisogno e la sete della giustizia sorgono e operano nella coscienza umana. Ma che cosa è questa coscienza? Dapprima il poeta aveva considerata la propria coscienza come uno specchio che non doveva far altro se non riflettere lo spettacolo della Natura, senza giudicarlo. Ora la sua coscienza, la coscienza di tutti gli uomini, è un giudice, è anzi il solo giudice. E qui il pensiero di Sully Prudhomme si oscura. Se la coscienza è giudice, se questo giudice deve rendere giustizia, come mai torna egli a rassegnarsi? Egli dice: «I mali che credevo ingiusti sono forse, non già i capricci folli o colpevoli d'un padrone, sibbene i mezzi fatali, le necessarie condizioni d'un ordine che ignoriamo». Questo è un ritorno alla rassegnazione di prima! Ed egli non

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