Il colore del tempo di Federico De Roberto pagina 17

Testo di pubblico dominio

prima condizione di ogni superiorità è di svilupparsi conformemente alla propria natura». L'uomo si è dunque sviluppato nel senso della potenza muscolare e cerebrale, che è la sua dote; la donna nel senso della maternità. Per credere che le donne debbano, o soltanto possano, fare la concorrenza dell'uomo, dice egli, «bisogna negare, o quasi, un fatto, l'esistenza e l'importanza del quale ci sembrano notorie. Questo fatto è lo stesso sesso, con tutte le sue conseguenze, con le sue obbligazioni, con la sua ripercussione nell'essere intero». E ancora: «Il principio della divisione del campo dell'attività umana fra le due serie di esseri che vi si muovono è stato senza dubbio male interpretato, esagerato in un certo senso, disconosciuto nell'altro; ma non per ciò vien meno la sua alta importanza, tanto a cagione della funzione materna della donna, quanto delle attitudini che ne derivano in lei. Se sarebbe assurdo respingere la cooperazione sociale della donna fuori della famiglia, cooperazione che del resto è sempre esistita, altrettanto assurdo sarebbe pretendere che l'attività produttrice di lei, nel senso stretto di questa espressione, non debba essere limitata da lei stessa, divenuta cosciente e libera come comporta e quanto comporta la natura sua propria, e francamente subordinata all'ufficio che il sesso le assegna nella vita». Per queste ragioni «è nell'ordine naturale che l'uomo,—individuo o consorzio,—lavori in una certa misura al posto della donna che procrea ed alleva. E checchè si possa dire sotto l'impero del paradosso, o per una reazione nelle idee,—reazione che del resto si spiega,—questa cooperazione, prima divisione del lavoro, è normale. Essa resterà, con forme e gradi diversi, secondo il diverso momento dell'evoluzione. La propaganda femminista, o piuttosto una certa propaganda, non arriverà a sopprimerla». Ora, se è così, se gli uomini dedicano parte delle loro forze alle donne, se le donne debbono essere mantenute o protette dagli uomini, diremo che uomini e donne sono eguali? Egualmente necessarî riguardo alla vita, sì; ma diseguali le une dinanzi agli altri. Come tra uomini e uomini c'è somiglianza e diversità ad un tempo, così, anzi a più forte ragione, tra uomini e donne c'è equivalenza e diseguaglianza insieme. Dice l'Albert che «nei primi tempi, quando la lotta per la vita era dura, l'uomo dovette imporsi alla donna come provveditore della famiglia». Dovette imporsi: perchè? Perchè, senza dubbio, la donna, la madre, non era capace di provvedere alla famiglia, o provvedeva ad essa poco e male; e perchè l'uomo aveva questa capacità, o ne aveva una maggiore e migliore. Allora, continua l'Albert, «con l'aiuto del diritto del più forte e della brutalità antica, si stabilì la diseguaglianza dei sessi». Questa diseguaglianza sarebbe dunque una cosa artificiale? Ma se l'uomo esercitò il diritto del più forte, ciò deve voler dire che egli aveva questa maggior forza; e se aveva una forza maggiore, ciò deve importare che egli non era eguale alla donna. La storia del genere umano dimostra da un capo all'altro del mondo questa superiorità virile. Tutte le mitologie, l'assira, la babilonese, l'egiziana, la greca, deificano l'uomo e la donna, ma il principio maschile è preminente. Giunone è sottoposta a Giove, Iside a Osiride, raggiante simbolo della luce. Nessuna donna può, in Egitto, sacrificare agli Dei nè alle Dee: solo gli uomini sono capaci del sacerdozio. Gli uomini hanno due vesti, le donne una sola. Ecco: essi cominciano ad abusare della loro maggior forza per farsi la parte più bella; ma già nei papiri di ventidue secoli prima di Cristo si legge il consiglio di moderazione che oggi la nostra morale diffonde: «Se tu sei saggio, ama la donna tua; senza discordie, senza litigi, nutriscila, adornala, rendi felici tutti i giorni della sua vita: ella è un bene, e il suo possessore deve stimarne il valore…». La funzione della maternità, la possibilità di dare al marito figli non suoi, rende oggi come cinque mila anni addietro l'infedeltà della moglie più grave che non quella dell'uomo: gli onori funebri resi alle donne egiziane erano proporzionati alla loro virtù coniugale, alla fedeltà verso lo sposo; come oggi i Turchi, così un tempo gli Assiri, chiudevano le donne in un luogo della casa dove nessuno poteva penetrare. Questa era ed è una prepotenza; ma, per opporsi alle prepotenze assurde e ridicole, i femministi avanzano oggi pretese non meno ridicole e assurde. Le vedove non debbono essere condannate a una vedovanza eterna, come nella Grecia più remota, o a morire incenerite sullo stesso rogo del morto marito, come tra gl'Indiani antichi e moderni; ma la fedeltà della moglie sarà sempre più apprezzata, più doverosa che non quella del marito. «Se l'adulterio della donna è punito come una colpa grave,» dice l'Albert, «e se il codice scusa insino l'uccisione della colpevole in caso di flagranza, mentre l'adulterio dell'uomo è considerato come una bagattella, e punito soltanto in circostanze speciali difficili ad osservarsi, ciò accade semplicemente per evitare che eredi illeggittimi s'introducano nella famiglia». Ma il giorno che non vi sarà più nè proprietà nè denaro, e che la famiglia non sarà creata per trasmettere queste cose, anche quel giorno l'adulterio della moglie, della compagna, della donna, sarà più grave; perchè ella potrà, come ora, concepire adulteramente, e l'attribuzione di figli non proprî dispiacerà all'uomo come e quanto gli dispiace ora. Se diversa dev'essere, come abbiamo visto che l'Albert vuole che sia, la cooperazione sociale dei due sessi, attesa la diversità delle loro funzioni, diversa sarà anche la loro responsabilità. III. Il nodo della quistione è questo: poichè gli uomini sono superiori alle donne, come più intelligenti, più attivi, più liberi, così c'è da parte loro una tendenza a trascurarle, a sottoporle, ad opprimerle, e talvolta anche a sopprimerle; ma poichè le donne, rispetto alla specie, valgono altrettanto quanto gli uomini, e uomini e donne sono egualmente necessarî alla continuazione della vita, così c'è un'altra tendenza a considerare nulli e vani i vantaggi maschili ed a parificare in tutto e per tutto i due sessi. In China la nascita delle femmine è considerata come una calamità; spesso le figlie sono buttate via, muoiono abbandonate per le strade; così pure in India: in certi villaggi indiani, non molti anni addietro, si contava una sola fanciulla sopra cento ragazzi. L'abuso della supremazia maschile non potrebbe essere dimostrato meglio che da questa infamia. Se i Chinesi e gl'Indiani riuscissero a sopprimere tutte le donne, si troverebbero in una situazione piuttosto difficile. Se volessero soltanto ridurne il numero, le difficoltà della scelta e l'asprezza della lotta sessuale crescerebbero, e il danno sarebbe tutto loro. Da noi le bambine non si lasciano morire, ma son accolte con minor festa: come più civili, noi sostituiamo ad una infamia una sciocchezza. La funzione vitale è ugualmente importante, la dignità umana è ugualmente grande nei due sessi; ma, se ripetiamo troppo spesso questa verità, ecco alcune donne, e i femministi con esse, pronti ad abusarne. In ogni tempo, ma specialmente nel nostro, il pensiero umano procede in questo modo: per esagerazioni. Nell'antico Egitto i figli maschi non dovevano mantenere i vecchi genitori; quest'obbligo incombeva alle figlie. In un gran numero di società barbare e selvagge gli uomini non lavorano: obbligano le donne a lavorare per essi. Quando ciò accade perchè essi sostengono le più gravi fatiche della guerra contro i nemici o contro le forze naturali, nulla di più giusto: le cose, allora, stanno press'a poco come nelle società civili, dove le donne lavorano per gli uomini in casa, e gli uomini per le donne fuori di casa, attendendo, invece che alla guerra, ai commerci, alle industrie, alle professioni. «Non è

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Argomenti: due serie,    supremazia maschile,    lotta sessuale,    pensiero umano,    cooperazione sociale

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