Il colore del tempo di Federico De Roberto pagina 4

Testo di pubblico dominio

passaggio dalla concezione della vita personale e animale alla concezione sociale, e da questa alla divina». Una simile certezza dovrebbe essere di conforto grandissimo. Se il miglioramento, se la purificazione della vita non si opera tanto presto quanto sarebbe pure desiderabile, la lentezza è forse una buona ragione per marchiare col ferro rovente tutta quanta l'umanità? Non le si deve tenere nessun conto dei lunghi sforzi sostenuti per uscire dalla vita animale? Invece il Tolstoi non le perdona niente. Gli uomini, dice, «vivono contrariamente alla coscienza già da lungo tempo». Vuol dire che prima vivevano meglio? Allora, invece di progredire, non si torna indietro? Ma siccome, soggiunge, «è impossibile che l'uomo sia messo senza volerlo in una situazione contraria alla coscienza», così bisogna dedurne che gli uomini si apprendono al male volontariamente, deliberatamente. «Perchè il nostro ordine sociale, contrario alla coscienza degli uomini, fosse sostituito da un ordine ad essa conforme, bisognerebbe che la vecchia e logora opinione pubblica desse luogo a un'opinione giovane e piena di vita». E ancora: «Perchè gli uomini mutino il loro modo di vivere e di sentire, bisogna che mutino il loro modo di pensare.» Certo; ma, per pensare in altro modo, che cosa occorre? Non potrebbe darsi che, tanto per vivere e sentire, quanto per pensare e giudicare in altro modo, occorresse semplicemente cambiare tutta la natura umana? Per agire nella vita secondo «la ragione e la coscienza», come vuole il Tolstoi, e come infatti si dovrebbe, bisognerebbe che fra coscienza e ragione vi fosse accordo costante e perfetto; ora, pur troppo, i dissidî fra le due sono lunghi, gravi e frequenti. «Il dovere che incombe ad ogni uomo di prender parte alla lotta contro la natura, per assicurare la propria vita e l'altrui, sarà sempre il primo». Ciò è innegabile; ma fra la propria vita e l'altrui, o per lo meno fra l'interesse proprio e l'altrui, bisogna troppo spesso, e quasi sempre, scegliere; e per un martire o un eroe, che sacrifica agli altri sè stesso, milioni e milioni d'uomini procacciano prima d'ogni altra cosa l'utile proprio; e insomma: alla lotta degli uomini contro la natura ne succede un'altra: quella degli uomini fra loro. Il Tolstoi lo sa, lo vede: «Tutta la nostra esistenza è ordinata in modo che ogni godimento personale si acquista a prezzo di sofferenze umane». Soltanto, ciò non accade per il capriccio di pochi, di molti o di tutti; ma è l'effetto di una legge, d'una necessità, d'una fatalità. E se c'è questa fatale lotta per l'esistenza, sarà una «menzogna» la disuguaglianza degli uomini? Poichè una parte degli uomini vince, e l'altra è vinta, ciò vuol dire che essi non sono eguali; ma alcuni più forti ed abili, altri più deboli e inabili. In realtà fra gli uomini vi sono tante differenze, che non se ne trovano neppure due soli interamente eguali. Ma, se questo è un fatto innegabile, quantunque negato, è pure un altro fatto, altrettanto innegabile e negato, che, mentre questi uomini sono tanto diseguali, sono anche simili del tutto. Simiglianza e diversità stanno insieme, e poichè sono cose contraddittorie e incompatibili e reciprocamente lesive, così dal loro contrasto, dalla loro coesistenza, che sembra assurda, ma che pure è un fatto, nascono una moltitudine di danni. Chi guarda alla diseguaglianza afferma la legge della lotta, riconosce il diritto della forza; chi guarda alla simiglianza sostiene la legge dell'amore, predica il dovere della solidarietà. Ma nessuna delle due dottrine, se non tiene conto dei fatti sui quali riposa la dottrina contraria, è accettabile. Come conciliarle? II. Il Tolstoi si rivolge alla religione di Cristo; non già alle chiese ufficiali, ma alla vera dottrina cristiana. «Non solamente non c'è nulla di comune fra le Chiese e il cristianesimo, eccetto il nome; ma i loro principî sono opposti ed ostili». Nei primi secoli egli crede che il cristianesimo fosse puro e purificasse il genere umano; un migliaio e mezzo di anni ci hanno fatto indietreggiare. Ancora una volta: dove se ne va allora il progresso? Il vero insegnamento di Gesù, dice il Tolstoi, è questo: «non resistere al malvagio»; cioè non opporgli mai la violenza, ma unicamente l'amore. «Tutta la dottrina di Gesù ha un solo scopo: dare il regno di Dio agli uomini, la pace». E, certo, alla legge naturale della lotta per l'esistenza si oppone la legge morale della pace e dell'amore; ma le due leggi sono tanto discordi e inconciliabili, che lo stesso Gesù disse: «Il mio regno non è di questo mondo». Il Tolstoi afferma che il cristianesimo, nella sua vera significazione, «distrugge lo Stato»; ma il figlio di Dio non disse anche: «Date a Cesare quel che è di Cesare»? Lo Stato, l'ordinamento sociale, secondo il Tolstoi, sono iniqui, sempre, qualunque cosa facciano, su qualunque sentimento si fondino. La giustizia è iniqua: il giudice non esita a imprigionare una vedova e a separarla dai figli, se costei vende vino senza permesso e froda l'erario di 25 rubli. I poteri pubblici, tutti quanti, sono altrettanti strumenti di violenza e d'oppressione: essi debbono sparire, e non già per cedere il luogo ad altri, ma senza più sostituzione di sorta. Il patriottismo è una schiavitù, un vestigio cruento di altri tempi, un pretesto per tenere in piedi gli eserciti, che servono veramente ai pochi potenti contro i molti oppressi: «i veri cristiani debbono rifiutarsi al servizio militare». E il denaro è anch'esso una nuova forma di schiavitù impersonale sostituita all'antico servaggio individuale. La scienza e l'arte non si salvano neppure. «Le scienze e le arti esisterono sempre, e finchè esisterono veramente, furono necessarie e accessibili a tutti gli uomini. Noi invece produciamo ora certe cose chiamate arti e scienze; ma si vede che le nostre produzioni non sono nè necessarie, nè accessibili agli uomini». Ancora un'altra volta, dunque, il Tolstoi nega quel progresso che aveva già affermato. Egli bolla anche gli scienziati, perchè «passano i loro migliori anni a disabituarsi dalla vita, cioè dal lavoro»; come se passare le intere giornate al microscopio, al crogiuolo o alla tavola anatomica sia darsi bel tempo; e come se gli scienziati «veri» possano coltivare la scienza e zappare la terra tutt'in una volta… Istupiditi e fossilizzati, i dotti «acquistano una presunzione che impedisce loro di poter mai tornare alla semplice vita del lavoro». Ma allora perchè non dire, più brevemente, che quella passata zappando la terra è la miglior vita, la più degna, la sola lodevole? Ma no: «la scienza e l'arte sono necessarie all'uomo quanto il cibo, la bevanda e il vestimento». Intanto la fisiologia, la psicologia, la biologia, la sociologia non riescono «se non a mettere il pensatore in contraddizione perpetua con gli altri e con sè stesso». Ahimè, questo effetto ha pure la filosofia in generale e il tolstoismo particolarmente!… «L'attività scientifica e artistica è feconda solo quando non attribuisce a sè stessa diritti, ma unicamente doveri». Doveri e diritti non sono invece correlativi, non vanno insieme, come luce e ombra? Imporre soltanto doveri non è tanto assurdo quanto pretendere solamente diritti? E con la scienza, con l'arte, col denaro, col patriottismo, con la giustizia, se ne va anche l'amore. Nel sommario della filosofia tolstoiana compilato dall'Ossip-Lourié è trascurato un punto essenziale, sono omessi tutti quei luoghi delle opere del Tolstoi dove questi dice che astenersi dall'amor sessuale è meglio che amare; che Gesù Cristo istituì il matrimonio, ma gli preferì la castità, e la predicò e ne diede l'esempio. La castità, universalmente praticata, porterebbe alla fine del genere umano; e il Tolstoi non se ne inquieta: anzi ha detto che, se il genere umano finirà, esso si uniformerà così alla legge naturale secondo la quale i mondi debbono finire. Il

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