Il colore del tempo di Federico De Roberto pagina 13

Testo di pubblico dominio

già nel senso che noi possiamo influire molto efficacemente sul corso degli eventi esteriori; ma perchè «abbiamo un'influenza onnipotente su ciò che questi eventi divengono dentro di noi». Egli ci dice: «Se voi amate, non già questo amore fa parte del vostro destino, ma la coscienza di voi stesso, che avrete trovata in fondo all'amor vostro, modificherà la vostra vita. Se siete stato tradito, il tradimento non importa; importa il perdono che esso avrà fatto nascere nella vostra anima». Tutto ciò che ci accade è della stessa natura di noi stessi. «Se Giuda esce stasera, andrà verso Giuda ed avrà l'occasione di tradire; ma se Socrate apre la sua porta, troverà Socrate addormentato sulla soglia ed avrà l'occasione di essere saggio…. Le vesti, le armi e gli ornamenti del destino si trovano nella nostra vita interiore. Se Socrate e Tersite perdono il loro unico figlio, la sciagura di Socrate non sarà simile a quella di Tersite…. Pare che il dolore e la felicità si purifichino prima di battere alla porta del saggio, e che abbassino il capo prima di entrare in un'anima mediocre». Ecco perchè la filosofia del poeta non consiste, come potrebbe parere, nella semplice rassegnazione, in una specie di fatalismo. Non che rassegnarsi al destino, il saggio, secondo lui, lo governa e lo domina. «Vi sono rapporti incessanti fra l'istinto e il destino; ma quando noi sappiamo diminuire dentro di noi la forza cieca dell'istinto, diminuiamo nello stesso tempo intorno a noi la forza del destino. Se pure il destino ci colma di sciagure immeritate e incredibili, se pure ci obbliga a fare ciò che non avremmo mai fatto, dopo che la sciagura è accaduta, dopo che l'atto è stato compito, dipende da noi che resti senza influenza su ciò che accadrà nella nostra anima. Il destino non può impedire, quando colpisce al cuore un uomo di buona volontà, che la sciagura sopportata o l'errore riconosciuto dischiudano in questo cuore una sorgente di luce. Esso non può impedire che un'anima trasformi ciascuna delle sue prove in pensieri, in sentimenti, in beni inviolabili. Soltanto la nostra ignoranza e la nostra indolenza chiamano fatale ciò che la nostra energia e la nostra intelligenza debbono chiamare naturale ed umano». In quali rapporti stanno la ragione e la saggezza? «La ragione schiude le porte alla saggezza, ma la più viva saggezza non si trova nella ragione. La saggezza è più un certo appetito dell'animo che non un prodotto della ragione. C'è una gran differenza tra il dire:—questa cosa è ragionevole—e il dire:—questa cosa è saggia. Ciò che è ragionevole non è necessariamente saggio, e ciò che è saggio non è quasi mai ragionevole agli occhi della troppo fredda ragione». E la gran differenza è questa: che nella ragione non c'è amore, mentre ce n'è molto nella saggezza; anzi «la saggezza più alta non si distingue da quel che vi è di più puro nell'amore». Il Fénelon disse che la nostra ragione consiste nelle nostre idee chiare; per il Maeterlinck la saggezza, il meglio della nostra anima e del nostro carattere, si trova nelle nostre idee che non sono ancora chiare interamente. «Se ci si lasciasse guidare nella vita soltanto dalle idee chiare, presto si diverrebbe degni di poco amore, di poca stima». Le ragioni per le quali siamo buoni, giusti, generosi, sono le meno chiare di tutte. Il Maeterlinck vuole così dire, senza dubbio, che il sentimento è più importante che non l'intelligenza, che le ragioni del cuore sono più gravi che non quelle della stessa ragione. «Fortunatamente, più abbiamo idee chiare, più impariamo a rispettare quelle che non sono ancora tali». III. Sully Prudhomme, tranne che nei rari momenti quando afferma l'onnipotenza del cuore e dell'amore e la fede in un avvenire migliore, è pessimista; il Maeterlinck, che all'amore crede sempre, vede ogni cosa con occhio roseo. I Destini di Sully Prudhomme sono oscuri, tragici, ineluttabili; il Maeterlinck si duole appunto perchè alla parola destino diamo questi significati. Egli non afferma già che il destino sia giusto, che premii i buoni e punisca i malvagi. Vede anch'egli l'ingiustizia che dà tanta pena a Sully Prudhomme; ma se ne consola, perchè sull'ingiustizia è fondata la bontà. «Quale anima potrebbe ancora dirsi buona, se la ricompensa fosse sicura?» Dunque la felicità non è un premio. Per esser felice, al contrario, bisogna non cercar più la felicità. «Sarebbe necessario, di tanto in tanto, che un uomo cui il destino ha concesso una felicità splendida, invidiata, sovrumana, venisse a dirci semplicemente: Io ho ottenuto tutto ciò che voi invocate col desiderio ogni giorno; ho la ricchezza, la salute, la gioventù, la gloria, la potenza e l'amore. Oggi posso dirmi felice, non già a causa dei doni che la fortuna si è degnata di accordarmi, ma perchè questi doni mi hanno insegnato a mirare più in alto…. Con un poco più di saggezza io avrei potuto possedere tutto ciò che possiedo, senza che fosse stato necessario ottenere tanti beni. Conosco che sono più felice oggi che non ieri, perchè so finalmente che non ho più bisogno della felicità per liberare l'anima mia, pacificare il mio spirito e rischiarare il mio cuore». Bisognerà dire, pertanto, col Buddha e con Schopenhauer, che la felicità consiste nella rinunzia? Il Maeterlinck se ne guarda bene; la rinunzia è l'essenza del pessimismo. Come egli non ha voluto che la sua filosofia riposasse sulla rassegnazione, così non vuole che la sua morale sia passiva. Sully Prudhomme ha espresso un voto alla Hartmann: sentendo operare dentro di sè l'istinto della riproduzione, e pensando alla infinita moltitudine di mali che insidierebbero la vita cui egli darebbe il varco, ha voluto frenare l'istinto, vietare alla nuova vita di nascere, non farsi complice dei futuri dolori. Per il Maeterlinck questa, come ogni altra forma di rinunzia, è condannevole. «La rinunzia non è spesso altro che un parassita. Se anche non indebolisce la nostra vita interiore, la turba. Quando un animale straniero penetra in un alveare, tutte le api sospendono il loro lavoro; parimenti quando il disprezzo e la rinunzia è entrata nell'anima nostra, tutte le potenze e tutte le virtù di essa abbandonano il loro ufficio per riunirsi intorno all'ospite singolare che l'orgoglio ha condotto fra loro. E ciò perchè, fino a quando l'uomo sa che rinunzia, la felicità della sua rinunzia nasce dall'orgoglio. Ora, se si deve rinunziare a qualche cosa, conviene rinunziare prima di tutto ai piaceri dell'orgoglio, che sono i più ingannevoli e i più vuoti». Ma allora? Se le gioie non debbono essere desiderate, se non conviene neppure rinunziare ad esse, quale sarà la via da tenere? «Non già rinunziando alle gioie che ne circondano noi diveniamo saggi; al contrario, divenendo saggi rinunzieremo senza saperlo alle gioie che non si sollevano fino a noi». Non bisogna credere che soltanto il dolore c'insegni ad essere saggi; anzi «l'uomo che è saggio per essere stato infelice, somiglia all'uomo che ha amato senza essere stato amato». La saggezza del disgraziato nasconde ancora il desiderio di esser felice; la vera saggezza è quella dell'uomo felice. Quindi il Maeterlinck non loda il pensiero inerte e triste, ma il pensiero confidente, quello che accetta allegramente le leggi inevitabili, che spinge all'azione. Sopra ogni cosa egli loda l'azione. «Un pensiero può lasciarmi sino alla morte nello stesso punto dell'universo, ma un'azione mi farà quasi sempre avanzare o retrocedere di un grado nella gerarchia degli esseri. Un pensiero è una forza isolata, errante e passeggera, che si avanza oggi e che non rivedrò forse domani; ma un'azione suppone un esercito permanente d'idee e di desiderî, un esercito che ha saputo conquistare, dopo lunghi sforzi, un punto della realtà». Gli esseri deboli dei quali è pieno il mondo potrebbero, dopo ciò, credere che il dovere consista nel compiere un sacrifizio.

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Argomenti: certo appetito,    animale straniero,    pensiero inerte

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