Il colore del tempo di Federico De Roberto pagina 11

Testo di pubblico dominio

giovane ascolta, con indicibile delizia, il canto divino degli uccelli. Quaggiù i gorgheggi dell'usignolo e lo stesso canto della sua compagna gli procuravano, benchè dolcissimi, un indefinibile tormento, un'amarezza secreta; in quel nuovo mondo la soavità dell'armonia è assoluta, la voce dell'amata fa dimenticare all'amante tutto il passato, lo immerge in una beatitudine senza nome, tanto più grande, quanto che Stella, lasciando la forma terrena conservata da principio per poter essere riconosciuta, prende una veste più pura, più bella, più conveniente a quell'eliso. E allora, mentre nuove voci dalla terra chiedono invano aiuto, i due giovani cadono nelle braccia l'uno dell'altra, e la loro felicità non ha più limite. Ma è un inganno. Passa qualche tempo, e Fausto ci fa sapere che quella felicità non è, come pareva, intera. Egli vive, sì, in un astro più prospero della terra; ma quello che era il maggiore argomento del suo cruccio, quaggiù, sussiste ancora: come sulla terra, egli ignora anche lassù il perchè delle cose; anche lassù, come sulla terra, cerca invano di penetrare, di conoscere le origini e i fini dell'universo. In quel mondo, dove c'è tanta libertà e tanta bellezza, non si sa una sillaba di più di quel che si sapeva sulla terra. Fausto, quando sente rinascere l'antica ansia, non può far altro che dare una ripassata a tutte le teorie della filosofia terrestre. Naturalmente egli riconosce ancora una volta che questa filosofia è impotente. L'unica scienza umana era dovuta ai pazienti sperimentatori; pertanto, dopo le teorie filosofiche, l'ansioso rammenta tutti i ritrovati scientifici, per concludere una seconda volta che la scienza è, come la filosofia, incapace di risolvere il problema delle cause finali. Ma Stella, che comincia a inquietarsi dell'agitazione dell'amante, cerca persuaderlo dell'inutilità di tutte quelle ricerche: À quoi bon, le regard péniblement tendu
Et le front consommé par de stériles fièvres,
Soumettre au froid scalpel le cher tissu des lèvres
Quand le baiser donné nous est deux fois rendu?
E Fausto, subitamente convertito: Tout aimer suffit pour éteindre
La soif de tout savoir: aimons!
Ma ecco che ad un tratto il giovane ode finalmente quelle voci terrestri per tanto tempo perdutesi invano nell'immensità degli spazi; e siccome esse gli ricordano i dolori degli uomini, egli che, in conclusione, quantunque risorto in un mondo migliore, non è guari più lieto di loro, pensa di riscendere in questo basso mondo per confortare gli antichi simili. Che specie di aiuto possa dare questo disgraziato a disgraziati suoi pari sarebbe molto importante vedere; se non che, sulla terra dove Stella vuole seguirlo e dove la Morte li ritrasporta dopo averneli tratti, non si trovano più uomini: l'umanità è finita. Il contrattempo sarebbe imbarazzante senza la prontezza di spirito di Stella, la quale propone lì per lì a Fausto di ripopolare il deserto pianeta, di cominciare una nuova umanità, della quale essi saranno l'Adamo e l'Eva… Da questa intenzione l'Arbitro supremo giudica che essi hanno entrambi ben meritato, e senz'altro ordina alla Morte di ritrasportarli in un altro mondo, nel soggiorno veramente glorioso, dove si gode il riposo perfetto e si mira a faccia a faccia la Causa del tutto…. Così, riprendendo la terza volta il problema che tanto lo inquieta, Sully Prudhomme non conferma l'ultima soluzione, al contrario: ne dà una terza, diversa dalle due prime. Egli deve aver sentito che nessuna delle due poteva essere definitiva. La sola scienza, dopo il sacrifizio della fede, non gli bastò; il temperamento della scienza con la fede non deve averlo neppure persuaso, poichè l'ultima parola di questo Bonheur è l'affermazione di un supremo Arbitro, di una Causa universale, di un Premio eterno. Ma possiamo noi crederla? Egli arriva a questa conclusione attraverso le contraddizioni, le stranezze e diciamo anche le stravaganze che abbiamo viste. Non è questo il segno che la conclusione non è naturale, sincera, sicura? Dopo tanti pentimenti, non si pentirà egli un'altra volta ancora? La sua curiosità non può esser finita. Non vorrà egli sapere dov'è il soggiorno glorioso, qual è la causa del tutto, chi è l'Arbitro dell'universo? E quando vorrà e non potrà sapere queste cose, non ricomincerà a dubitare? LA FILOSOFIA DI UN POETA Quando l'arte di Carlo Baudelaire fu detta, prima ancora che dal Nordau, oscura ed immorale, una voce potente sorse a difenderla: la voce di Vittor Hugo. Il gran poeta affermò che l'autore dei Fleurs du mal aveva arricchito il campo delle commozioni artistiche di un frisson nouveau. Indubbiamente altrettanto si può dire di Maurizio Maeterlinck, dei suoi versi e dei suoi drammi. E se i simboli dentro i quali egli ha chiuso il proprio pensiero non sono intelliggibili ai più, se gli ammiratori del poeta vogliono intendere tutta quanta la sua filosofia, eccola per disteso spiegata nel suo nuovo libro: La Sagesse et la Destinée. Questi titoli ci rammentano quelli dei poemi di Sully Prudhomme: Les Destins, La Justice, Le Bonheur. Dopo aver visto che cosa è la poesia di un filosofo, non sarà fuor di luogo vedere che cosa è la filosofia di un poeta. Il dissidio che inquieta e contrista questo nostro secolo ci apparirà più evidente. I. Come la poesia di Sully Prudhomme è, nella forma, troppo filosofica e scientifica, procede cioè per via di definizioni e di nomenclature, così Maurizio Maeterlinck significa le sue idee con forma troppo poetica, ricorrendo troppo spesso alle metafore ed ai simboli. Un mattino, dall'alto di una collina, egli vede «un ruscelletto cieco» che, «brancolando, dibattendosi, inciampando e vacillando continuamente in fondo a una valle oscura, cerca la via del lago dormiente, dall'altro lato della foresta, nella pace dell'aurora. Qui un masso di basalto lo obbliga a quattro lunghi giri, laggiù le radici di un vecchio albero, più lungi ancora il semplice ricordo di un ostacolo per sempre scomparso, lo fanno risalire verso la sorgente ribollendo invano, e lo allontanano indefinitamente dalla mèta e dalla fortuna. Ma, in un'altra direzione, e quasi perpendicolarmente al rivolo affannoso, disgraziato ed inutile, una forza superiore alle forze istintive aveva tracciato, attraverso la campagna e le valanghe di pietre e l'obbediente foresta, una specie di lungo canale, solido, verdeggiante, noncurante, pacifico, procedente senza esitazione, con passo calmo e chiaro, dalle profondità di un'altra sorgente nascosta all'orizzonte verso lo stesso lago luminoso e tranquillo…». Questo ruscello e questo canale non sono un ruscello e un canale reali, ma le immagini dei due destini offerti agli uomini. Altrove lo scrittore paragona le ore convulsive della storia alle tempeste del mare: «La gente viene dal fondo delle pianure, accorre sulla spiaggia, guarda dall'alto delle ripide rive, aspetta qualche cosa, interroga gli enormi cavalloni con una specie di curiosità puerilmente appassionata. Eccone uno più alto e furioso degli altri. Si avanza come un mostro dai muscoli trasparenti. Si svolge precipitosamente dal fondo dell'orizzonte, apportatore, da quel che pare, di una rivelazione urgente e decisiva. Scava dietro di sè un solco così profondo, che rivelerà senza dubbio uno dei secreti dell'Oceano; ma, come tra le più pigre ondulazioni dei giorni senza soffio di vento e senza velo di nubi, così anche ora i fiotti limpidi e impenetrabili scorrono sopra i fiotti limpidi e impenetrabili. Non un essere vivente, non un'erba, non un sasso sorge…». Questo periodo,—stavo per dire questa strofe,—è molto significante. Il Maeterlinck ha un bel proporsi di ragionare e di discutere: il poeta si desta, suggerisce al filosofo similitudini delle quali questi potrebbe giovarsi, se non fosse che, appena una prima immagine appare, tosto un intero quadro si svolge nella fantasia del poeta, con i più minuti

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