Corbaccio di Giovanni Boccaccio pagina 7

Testo di pubblico dominio

carolare, il cantare, il giostrare e l'armeggiare, cose di niuno peso, ma sommamente da loro gradite? Tu medesimo, non solamente dirai che a te sconvenevoli sieno, ma con ragioni inespugnabili biasimerai i giovani che le fanno. Come è alla tua età convenevole l'andare di notte, il contrafarti, il nasconderti a ciascheduna ora che ad una femina e' piacerà; e non solamente in quella parte che forse, meno disdicevole, da te sarebbe eletta, ma in quelle che essa medesima, forse per gloriarsi d'avere uno uomo maturo a guisa d'un semplice garzone, disonesta e sconvenevole eleggerà? Come alla tua età convenevole, se bisogno il richiedesse, del quale molto sovente sono pieni gli accidenti d'amore, di pigliare l'arme, e la tua salute, e forse quella della tua donna, difendere? Certo io credo, senza più cose andar ricordando, che a tutte parimente risponderesti che male; e, quando ciò non ti paresse, a me e a ciascun altro, il quale con più discreto occhio guardasse che tu, impedito, per aventura fare non puoi, parrebbe pure che così fosse. Male è addunque la tua etade omai agl'innamoramenti decevole: alla quale non il seguire le passioni, o lasciarsi a loro sopravegnenti vincere, sta bene, ma il vincer quelle; e con opere virtuose, che la tua fama ampliassero, e con aperta fronte e lieta dare di sé ottimo esemplo a' più giovani s'appartiene. Ma alla seconda parte è da venire; la quale ne' giovani, non che ne' vecchi, fa amore disdicevole, se io non m'inganno: cioè i tuoi studii. Tu, se io già bene intesi mentre vivea, e ora così essere il vero apertamente conosco, mai alcuna manuale arte non imparasti e sempre l'essere mercatante avesti in odio; di che più volte ti se' con altrui e teco medesimo gloriato, avendo riguardo al tuo ingegno, poco atto a quelle cose nelle quali assai invecchiano d'anni, e di senno ciascuno giorno diventano più giovani. Della qual cosa il primo argomento è che a loro par più che a tutti gli altri sapere, come alquanto sono loro bene disposti i guadagni, secondo gli avisi fatti, o pure per avventura, come suole le più volte avvenire; là dove essi, del tutto ignoranti, niuna cosa più oltre sanno che quanti passi ha dal fondaco o dalla bottega alla lor casa; e par loro che ogni uomo, che di ciò gli volesse isgannare, avere vinto e confuso, quando dicono: “Di' che mi venga ad ingannare”, o dicono: “All'uscio mi si pare”, quasi in niun'altra cosa stia il sapere se non o in ingannare o in guadagnare. Gli studii addunque alla sacra filosofia pertinenti, infino dalla tua puerizia, più assai che il tuo padre non arebbe voluto, ti piacquero, e massimamente in quella parte che a poesia appartiene; la quale per avventura tu hai, con più fervore d'animo che con alteza d'ingegno, seguita. Questa, non menoma tra l'altre scienzie, ti dovea parimente mostrare che è amore e che cosa le femine sono, e chi tu medesimo sii, e che a te s'appartiene. Vedere addunque dovevi amore essere una passione accecatrice dello animo, disviatrice dello 'ngegno, ingrossatrice, anzi privatrice, della memoria, discipatrice delle terrene facultà guastatrice delle forze del corpo, nemica della giovaneza, e della vecchieza morte; genitrice de' vizii e abitatrice de' vacui petti; cosa senza ragione e senza ordine e senza stabilità alcuna; vizio delle menti non sane e somergitrice della umana libertà. O quante e quali cose sono queste da dovere, non che i savii, ma gli stolti spaventare! Vien teco medesimo rivolgendo l'antiche istorie e le cose moderne e guarda di quanti mali, di quanti incendii, di quante morti, di quanti disfacimenti, di quante ruine et esterminazioni questa dannevole passione è stata cagione! E una gente di voi miseri mortali, tra i quali tu medesimo, avendo il conoscimento gittato via, il chiamate iddio, e quasi a sommo aiutatore ne' bisogni li fate sacrificio delle vostre menti e divotissime orazioni li porgete! La qual cosa quante volte tu hai già fatto o farai, tante ti ricordo, se da te, uscito forse del diritto sentimento, nol vedi tu che tu a Dio e a' tuoi studii e a te medesimo fai ingiuria. E, se le dette cose esser vere la tua filosofia non ti mostrasse, né a memoria ti ritornasse la sperienza la quale di gran parte di quelle in te medesimo veduta hai, le dipinture degli antichi tel mosterranno, le quali lui per le mura, giovane, ignudo, con ali e con occhi velati e arciere, non sanza grandissima cagione e significazione de' suoi effetti, tutto 'l dì vi dimostrano. Dovevanti, oltre a questo, li tuoi studii mostrare (e mostrarono, se tu l'avessi voluto vedere) che cose le femine sono; delle quali grandissima parte si chiamano e fanno chiamare donne, e pochissime se ne truovano. La femina è animale imperfetto, passionato da mille passioni spiacevoli e abbominevoli pure a ricordarsene, non che a ragionarne: il che se gli uomini riguardassono, come dovessono, non altrimenti andrebbono a loro, né con altro diletto o apetito, che all'altre naturali e inevitabili oportune cose vadano; il luogo delle quali, posto giù il superfluo peso, come con istudioso passo fuggono, così loro fuggirebbono, quello avendo fatto per che la deficiente umana prole si ristora; sì come ancora in ciò tutti gli altri animali, molto meglio che gli uomini, fanno. Niuno altro animale è meno netto di lei; non il porco, quale ora è più nel loto, agiugne alla brutteza di lei. E, se forse alcuno questo negasse, riguardinsi i parti loro, ricerchinsi i luoghi secreti dove esse, vergognandosene, nascondono gli orribili strumenti li quali a tor via i loro superflui umori adoperano. Ma lasciamo stare quel che a questa parte appartiene; la quale esse ottimamente sappiendo, nel secreto loro hanno per bestia ciascuno uomo che l'ama, che le desidera o che le segue, e in sì fatta guisa ancora la sanno nascondere che da assai, stolti che solamente le croste di fuori riguardano, non è conosciuta né creduta; senza che, di quelli sono che, bene sappiendolo, ardiscono di dire ch'ella è lor pace, e che questo e quello farebbono e fanno; li quali per certo non sono da essere annoverati tra li uomini. E vegnamo all'altre loro cose o ad alcuna di quelle; per ciò che volere dire tutto non ne basterebbe l'anno, il quale è tosto per entrare nuovo. Esse, di malizia abbondanti, la qual mai non supplì, anzi sempre acrebbe difetto, considerata la loro bassa e infima condizione, con quella ogni sollecitudine pongono a farsi maggiori. E primieramente alla libertà degli uomini tendono i lacciuoli, sé, oltre a quello che la natura ha loro di bellezza o d'apparenza prestato, con mille unguenti e colori dipignendo; e or con solfo e quando con acque lavorate e spessissimamente co' raggi del sole i capelli, neri dalla cotenna produtti, simiglianti a fila d'oro fanno le più divenire; e quelli ora in treccia di dietro alle reni ora sparti su per li omeri ora alla testa ravvolti, secondo che più vaghe parer credono, compongono; e quinci con balli e talor con canti non sempre ma talor mostrandosi, i cattivelli, che attorno vanno, avendo nell'esca nascosto l'amo, prendono senza lasciare. E da questo quella e quell'altra e infinite di costui e di colui e di molti divengono mogli; e di troppa maggior quantità amiche. E, parendo loro essere salite un alto grado, quantunque conoscano sé essere nate a esser serve, incontanente prendono speranza e aguzano i disideri alla signoria; e, faccendosi umili, obbedienti e blande, le corone, le cinture, i drappi ad oro, i vai, i molti vestimenti e gli altri ornamenti varii, de' quali tutto dì si vegon splendenti, dai miseri mariti impetrano; il quale non s'accorge tutte quelle essere armi a combattere la sua signoria e vincerla. Le quali, poi che le loro persone e le loro camere, non altramenti che le reine abino, veggiono ornate e i miseri mariti allacciati, subitamente dall'essere serve divenute compagne, con ogni studio la loro signoria s'ingegnano d'occupare. E, volendo singulare esperienza prendere, se donne sono

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