Corbaccio di Giovanni Boccaccio pagina 3

Testo di pubblico dominio

malvagia fortuna, qual malvagio destino t'ha nel presente diserto condotto? Dove è il tuo avedimento fuggito, dove la tua discrezione? Se tu hai sentimento quanto solevi, non discerni tu che questo è luogo di corporal morte e perdimento d'anima, che è molto peggio? Come ci se' tu venuto? qual trascuranza t'ha qui guidato? Io, costui udendo e parendomi ne' suoi sembianti assai di me pietoso, prima ch'io potessi alla risposta avere la voce, dirottamente, di me increscendomi, cominciai a piangere. Ma, poi che alquanto sfogata fu la nuova passione per le lagrime, raccolte alquanto le forze dello animo in uno, con rotta voce e non senza vergogna, rispuosi: – Sì come io penso, il falso piacere delle caduche cose, il quale più savio ch'io non sono già trasviò molte volte e forse a non minor pericolo condusse, qui, prima che io m'accorgessi dov'io m'andassi, m'ebbe menato: là dove <in> amaritudine incomportabile e senza speranza alcuna, da poi che io mi ci vidi, che è sempre stato di notte, dimorato sono. Ma, poi che la divina grazia, sì come credo, e non per mio merito, mi t'ha inanzi parato, io ti priego, se colui se' il quale già molte volte in altra parte veder mi parve, che tu – per quello amore che alla comune patria dèi e appresso per quello Dio, per lo quale ogni cosa si dee, e se in te è alcuna umanità – che di me t'incresca; e, se sai, m'insegni com'io de luogo, di tanta paura pieno, partir mi possa; dalla quale già sì vinto mi sento che a pena conosco s'io o vivo o morto mi sono –. Parvemi allora, nel viso guardandolo, ch'egli alquanto delle mie parole ridesse con seco stesso e poi dicesse: – Veramente mi fa il qui vederti e le tue parole assai manifesto, se altrimenti nol conoscessi, te del vero sentimento essere uscito e <non> conoscere se vivo ti sii o morto; il quale se da te non avessi cacciato, ricordandoti quali occhi fossero quelli e di cui, la cui luce, secondo il vostro parlare, t'aperse il camino che qui t'ha condotto, e fecetelo parere così bello, e conoscendo quanto fossero a me, tu non aresti avuto ardire di pregarmi per la tua salute; ma, veggendomi, ti saresti ingegnato di fuggire per téma di non perderne alquanta che ancora t'è rimasa. E, se io fossi colui che io già fui, per certo non aiuto ti presterrei ma confusione e danno, sì come a colui che ottimamente l'hai meritato. Ma, per ciò che io, poi che dalla vostra mortale vita sbandito fui, ho la mia ira in carità transmutata, non sarà alla tua domanda negato il mio aiuto. Alle cui parole stando io attento quanto poteva, quando io udi': “poi che dalla vostra mortale vita fui sbandito”, riconoscendo non costui essere quello che io estimava ma la sua ombra, così uno repente freddo mi corse per l'ossa e tutti i peli mi si cominciarono ad aricciare; e, perduta la voce, mi parve, se io avessi potuto, volere lui fuggire. Ma, sì come sovente avviene a chi sogna, che li pare ne' maggiori bisogni per niuna condizione del mondo potersi muovere, così a me sognante parve avvenisse; e parvemi che le gambe mi fossero del tutto tolte, e divenire immobile. E di tanto potere fu questa nuova paura, ch'io non so pensare qual cosa fosse quella che sì forte facesse il mio sonno ch'egli allora non si rompesse; e per questa téma, senza alcuna cosa rispondere o dire, stare mi parve: la qual cosa veggendo lo spirito, esso ridendo mi disse: – Non dubitare: parla sicuramente meco e della mia compagnia prendi fidanza; ché per certo io non sono venuto per nuocerti, ma per trarti di questo luogo, se fede intera presterai alle mie parole. Il che udendo io e tornandomi nella memoria quello che negli uomini possano gli spiriti mi rendero la sicurtà partita; e, verso lui alzando il viso, il pregai umilemente che di trarmene s'avacciasse, prima che altro pericolo ne sopravenisse; et egli allora disse: – Io non aspetto altro, a dover fare quello che domandi, che tempo; per ciò che tu dèi sapere che, quantunque l'entrare di questo luogo sia apertissimo a chi vuole entrarci con lascivia e con matteza, egli non è così agevole il riuscirne; ma è faticoso, e conviensi fare e con senno e con fortezza. – Le quali avere non si possono senza l'aiuto di Colui col volere del quale egli era quivi venuto. Allora mi parve che io dicessi: – Poi che tempo n'è prestato di ragionare né sì sùbita può essere la nostra partita, se grave non ti fosse, volentieri d'alcune cose ti domanderei. Al quale esso benignamente rispuose: – Sicuramente ciò che ti piace domanda, infino a tanto ch'io verrò a te domandare d'alcune cose, e alcune dittene intorno a quelle –. Io allora con voce assai esperta dissi: – Due cose con pari desiderio mi stimolano, ciascuna ch'io prima di lei domandi; e per ciò in somma domanderò d'amendue: e priegoti che ti piaccia di dirmi che luogo questo sia e se a te per abitazione è stato dato o se, per se stesso, alcuno che c'entri ne può mai uscire: e appresso mi facci chiaro chi colui sia, col piacere del quale qui venisti ad atarmi. Alle quali parole esso rispuose: – Questo luogo è da varii variamente chiamato; e ciascuno il chiama bene: alcuni il chiamano ‘il laberinto d'Amore’, altri ‘la valle incantata’, e assai ‘il porcile di Venere’, e molti ‘la valle de' sospiri e della miseria’; e oltre a questi, chi in uno modo e chi in uno altro il chiamano, come meglio a ciascun pare. Né a me per abitazione è dato; per ciò che da potere più in così fatta prigione intrare la morte mi tolse, alla quale tu corri. È il vero che men dura stanza che questa non ho, ma di meno pericolo; e dèi sapere che, chi per lo suo poco senno ci cade, mai, se lume celestiale non nel trae, uscir non ci può; e allora, com'io già ti dissi, con senno e con fortezza. Al quale io allora dissi: – Deh, se Colui che può i tuoi più caldi disii ponga in pace, avanti che <a> altro da te si proceda, sodisfammi a una cosa. Tu di' che hai per abitazione luogo più duro che questo, ma meno pericoloso; e io già, per le tue parole medesime e per la mia ricordanza, conosco che tu al nostro mondo non vivi: quale luogo addunque possiedi tu? Se' tu in quella prigione etterna nella quale, senza speranza di redenzione, e s'entra e si dimora? o se' in parte che, quando che sia, speranza vera ti prometta salute? Se tu se' nella prigione etterna, senza dubbio più dura dimora credo che vi sia che qui non è; ma come può ella essere con meno periglio? E, se tu se' in parte che ti prometta ancora riposo, come può ella essere <più dura> che questa non è? – Io sono – rispuose lo spirito – in parte che mi promette sanza fallo salute. E in tanto è di minore periglio che questa, che quivi non si può peccare, per che a peggio temere si possa di pervenire; il che continuamente qui si fa. E tanto molti in ciò perseverano, faccendo che essi caggiono in quello carciere cieco nel quale mai il divino lume con grazia o con misericordia si vede, ma con inrevocabile e severa giustizia continuo, con grave danno di chi, sentendo, il conosce, si vede acceso. Ma sanza dubbio la mia stanza, com'io già dissi, ha troppo più di dureza che questa: in tanto che, se lieta speranza, che certa di migliore vi si porta, non aiutasse e me e gli altri che vi sono a sostenere pazientemente la graveza di quella, quasi si porìa dire che gli spiriti, li quali sono immortali, ne morrebbono. E, acciò che tu parte ne 'ntenda, sappi che questo mio vestimento, il quale t'ha, poscia che 'l vedesti, fatto maravigliare, per ciò che mai per avventura simile, quando io era tra voi, nol mi vedesti, e che solamente vi pare che a coloro che ad alcuno onore sono elevati, più che ad altrui, si convenga d'usare, non è panno manualmente tessuto, anzi è un fuoco dalla divina arte composto, sì fieramente cocente che 'l vostro è come ghiaccio, a rispetto di questo, freddissimo; e mugnemi sì e con tanta forza ogni umore da dosso che a niuno carbone o a niuna pietra divenuta calcina mai nelle

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Argomenti: mortale vita,    malvagio destino,    amaritudine incomportabile,    comune patria,    vero sentimento

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