Corbaccio di Giovanni Boccaccio pagina 22

Testo di pubblico dominio

fatica, sempre cose piacevoli ragionando, si trasse dietro; sopra le sommità delle quali poi che pervenuti fumo, quivi il cielo aperto e luminoso vedere mi parve e sentire l'aere dolce e soave e lieto e vedere le piante verdi e' fiori per le campagne; le quali cose tutto il petto, della passata noia afflitto, riconfortaro e ritornarono nella prima allegreza. Laonde, sì come allo spirito piacque, io mi volsi indietro a riguardare il luogo donde tratto m'avea; e parvemi non valle ma una cosa profonda infino in inferno, oscura e piena di notte con dolorosi ramarrichii. E, avendomi detto me essere libero e potere di me fare a mio senno, tanto fu la letizia ch'io senti' che, vogliendomeli a' piedi gittare e grazie renderli di tanto e tale beneficio, esso e 'l mio sonno ad una ora si partiro. Risvegliato adunque e tutto di sudore bagnato trovandomi, non altramenti che sieno gli uomini faticati o che se col vero corpo la montagna salita avessi che nel sogno mi parve salire, maravigliatomi forte, sopra le vedute cose cominciai a pensare; e, mentre meco ad una ad una ripetendo l'andava et essaminando se possibile fosse così essere il vero, come mi pareva avere udito, assai ne credetti verissime; come che poi quelle, che per me allora conoscere non potei, da altrui poi informatomene, essere non meno vere <che> l'altre trovai. Per la qual cosa, non altramenti che spirato da Dio, a dovere con effetto della misera valle uscire mi dispuosi. E, veggendo già il sole essere levato sopra la terra, levatomi, agli amici, coi quali nelle mie afflizioni consolare mi solea, andatomene, ogni cosa veduta e udita per ordine raccontai; li quali ottimamente esponendomi ogni particella del sogno, nella mia disposizione medesima tutti concorrere gli trovai; per che sì per li loro conforti e sì per lo conoscimento, che in parte m'era tornato migliore, al tutto al dipartire dal nefario amore della scelerata femina mi dispuosi. Alla quale disposizione fu la divina grazia sì favorevole che infra pochi dì la perduta libertà racquistai; e, come io mi soleva, così mi sono mio. Grazie e lode n'abbia Colui che fatto l'ha. E sanza fallo, se tempo mi fia conceduto, io spero sì con parole gastigar colei, che, vilissima cosa essendo, altrui schernire co' suoi amanti presume, che mai lettera non mosterrà, che mandata le sia, che della mia e del mio nome con dolore e con vergogna non si ricordi. E voi vi rimanete con Dio. Piccola mia operetta, venuto è il tuo fine e da dare è omai riposo alla mano; e perciò ingegnera'ti d'essere utile a coloro, e massimamente a' giovani, i quali con gli occhi chiusi, per li non sicuri luoghi, troppo di sé fidandosi, senza guida si mettono; e del beneficio, da me ricevuto dalla genitrice della salute nostra, sarai testimone. Ma sopra ogni cosa ti guarda di non venire alle mani delle malvagie femine, e massimamente di colei che ogni demonio di malvagità trapassa e che della presente tua fatica è stata cagione: per ciò che tu saresti là mal ricevuta, et ella è da pugnere con più acuto stimolo che tu non porti con teco; il quale, concedendolo Colui che d'ogni grazia è donatore, tosto a pugnerla, non temendo, le si faccia incontro.

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Argomenti: vero corpo,    nefario amore,    acuto stimolo

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