Corbaccio di Giovanni Boccaccio pagina 12

Testo di pubblico dominio

tante di lei con cotanta solennità ti raccontò. Ma, non avendole egli bene per le mani, come ebbi io, mi piace con più ordine di contarleti. E, acciò che io dalla sua principale cominci, affermo, per lo dolce mondo che io aspetto e se egli tosto mi sia conceduto, che nella nostra città né fu né è o sarà donna (o femina che vogliamo dire, ché diremo meglio), in cui tanta di vanità fosse che quella di colei, di cui parliamo, di grandissima lunga non l'avanzasse. Per la qual cosa costei estimando che l'avere bene le gote gonfiate e vermiglie, e grosse e sospinte in fuori le natiche (avendo forse udito che queste sommamente piacciono in Alessandria, e perciò fossono grandissima parte di belleza in una donna), in niuna cosa studiava tanto quanto in fare che queste due cose in lei fossono vedute pienamente: nel quale studio queste cose pervenieno alle spese di me, che talor digiunava per risparmiare. Primieramente, se grossi capponi si trovavano, de' quali ella molti con gran diligenzia faceva nutricare, convenia che innanzi tutti le venissono; e le pappardelle col formaggio parmigiano similemente: le quali non in iscodella ma in un catino, a guisa del porco, così bramosamente mangiava, come se pure allora per lungo digiuno fosse della Torre della fame uscita. Le vitelle di latte, le starne, i fagiani, i tordi grassi, le tortole, le suppe lombarde, le lasagne maritate, le frittellette sambucate, i migliacci bianchi, i bramangieri, de' quali ella faceva non altre corpacciate che facciano di fichi o di ciriege o di poponi i villani quando ad essi s'avvengono, non curo di dirti. Le gelatine, la carne e ogn'altra cosa acetosa o agra, perché si dice che rasciugano, erano sue nimiche mortali. Son certo che, s'io ti dicessi come ella era solenne bevitrice e investigatrice del buono vino cotto, della vernaccia da Corniglio, del greco o di qualunque altro vino morbido e acostante, tu nol mi crederesti, perché impossibile ti parrebbe a credere di Cinciglione. Ma, se tu avessi un poco le sue gote vedute, quando vivea, e alquanto berlingare l'avessi udita, forse mi daresti leggiermente fede, tanto, senza le mie parole, pure per quelle di lei te ne parrebbe avere compreso. E pienamente di divenire paffuta e naticuta le venne fatto. Non so io se ella per li molti digiuni fatti per la salute mia se l'ha smenomate dopo la mia morte: così te l'avess'ella in sul viso e io ti dovessi fare carta di ciò che tu vedessi, com'io nol credo –. A questa parola dich'io che, con tutto il dolore e la compunzione ch'io sentia delle mie colpe, dinanzi agli occhi postemi dalle vere parole dello spirito, io non pote' le risa tenere. Ma egli, senza aspetto mutare, seguitò: – Né era la mia cara donna, anzi tua, anzi del diavolo, contenta d'aver carne assai solamente, ma le volea lucenti e chiare; come se una giovinetta di pregio fosse, alla quale, essendo per maritarsi, convenisse colla bellezza supplire la poca dota. La qual cosa acciò ch'avenisse, appresso la cura del ben mangiare e del ben bere e del vestire, sommamente a distillare, a fare unzioni e trovar sangue di diversi animali et erbe e simili cose s'intendeva: e, senza che la casa mia era piena di fornelli e di lambecchi e di pentolini e d'ampolle e d'alberelli e di bossoli, io non avea in Firenze speziale alcuno vicino, né in contado alcuno ortolano, che infaccendato non fosse, quali a fare ariento solimato, a purgar verderame, a far mille lavature, e quali ad andare cavando e cercando radici salvatiche et erbe mai più non udite ricordare, se non a lei; e senza che, insino a' fornaciai a cuocere guscia d'uova, gromma di vino, marzacotto, e altre mille cose nuove n'erano impacciati. Delle quali confezioni essa ugnendosi e dipignendosi, come sé a vendere dovesse andare, spesse volte avvenne che, non guardandomene io e basciandola, tutte le labbra m'invischiai; e meglio col naso quella biuta che con gli occhi sentendo, non che quello che nello stomaco era di cibo preso, ma appena gli spiriti ritenea nel petto. Or, s'io dicessi di quante maniere ranni il suo auricome capo si lavava, e di quante ceneri fatto, e alcuno più fresco e alcuno meno, tu ti maraviglieresti; e vie più, se io ti disegnassi quante e quali solennità si servavano nello andare alla stufa e come spesso: dalle quali io credea lei lavata dovere tornare, ed ella più unta ne venìa che non v'era ita. Erano sommo suo desiderio e recreazione grandissima certe feminette, delle quali per la nostra città sono assai, che fanno gli scorticatoi alle femine, e pelando le ciglia e le fronti e col vetro sottigliando le gote e del collo assottigliando la buccia e certi peluzi levandone; né era mai che due o tre non se ne fossono con lei a stretto consiglio trovate, come che altri trattati spesse volte tenessono; sì come quelle che, oltre a quella loro arte sotto titolo della quale baldanzose l'altrui case vicitassero e le donne, sono ottime sensali a fare che messer Maza rientri in Vallebruna, donde dopo molte lagrime era stato cacciato fuori. Egli non si verrebbe a capo in otto dì di raccontare tutte le cose ch'ella a così fatto fine adoperava, tanta gloria di quella sua artificiata belleza, anzi spiacevoleza, pigliava: a conservazione della quale troppa maggiore industria s'adoperava; per ciò che il sole, l'aere, il dì, la notte, il sereno e 'l nuvolo, se molto non venieno a suo modo, fieramente l'offendeano; la polvere, il vento, il fummo avea ella in odio a spada tratta. E quando i lavamenti erano finiti, se per sciagura le si ponea una mosca in sul viso, questo era sì grande scandelezo e sì grande turbazione che, a rispetto, fu a' cristiani perdere Acri un diletto. E dirottene una pazia forse mai più non udita. Egli avvenne fra l'altre volte ch'una mosca in sul viso invetriato le si puose, avendo ella una nuova maniera di liscio adoperata; la quale essa, fieramente turbata, più volte s'ingegnò di ferire con mano; ma quella presta si levava, come tu sai ch'elle fanno, e ritornava; per che, non potendo ferirla, tutta accesa d'ira, presa una granata e per tutta la casa or qua or là discorendo, per ucciderla l'andò seguitando; e porto ferma opinione che, se alla fine uccisa non l'avesse, o quella o un'altra la quale avesse creduto essere quella, ella sarebbe di stizza e di veleno scoppiata. Che pensi ch'avesse fatto, se alle mani le fosse venuto uno delli scudi di quelli suoi antichi cavalieri e una di quelle spade dorate? Per certo ella si sarebbe messa con lei alla schermaglia. E che più? Questo avveniva il dì, che si poteva con meno noia sostenere; ma, se per forte disavventura una zenzara si fosse per la casa udita, che che ora si fosse stata di notte, convenia che 'l fante e la fante e tutta l'altra famiglia si levassi; e co' lumi in mano si metteano alla inchesta della malvagia e perfida zenzara, turbatrice del riposo e del buono e del pacefico stato della lisciata donna; e, avanti che a dormir si tornassono, convenia che morta o presa la presentassono davanti a colei che lei diceva in suo dispetto andare sufolando e appostando di guastare il suo bel viso amoroso. Che più? Sopra tutte l'altre cose, a cui caluto non ne fosse era da ridere l'averla veduta quando s'acconciava la testa, con quanta arte, con quanta diligenza, con quanta cautela ciò si facesse: in quello per certo pendevano le leggi e' profeti. Essa primieramente negli anni più giovani (quantunque più vicini a quaranta che a trenta fossono, posto che ella, forse non così buona abbachiera, li dicesse ventotto), fatti – lasciamo stare l'aprile e 'l maggio, ma il dicembre e il gennaio – di sei maniere d'erbette verdi o d'altrettante di fiori, donde ch'ella se li avesse, apparechiare, e, di quelle, certe sue ghirlanduze composte, levata per tempissimo e fatta la fante levare, poi che molto s'era il viso e la gola e 'l collo con diverse lavature strebiata e quelli vestimenti messi che più all'animo l'erano, a sedere postasi in alcuna parte della nostra camera,

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