Corbaccio di Giovanni Boccaccio pagina 11

Testo di pubblico dominio

le sale o lasciarle stare; non ti domanderanno danari né per liscio né per bossoli né per unguenti. Esse con angelica voce ti narranno le cose dal principio del mondo state infino a questo giorno; e sopra l'erba e sopra i fiori alle dilettevoli ombre teco sedendo, a lato a quel fonte le cui ultime onde non si videro già mai, ti mostreranno le cagioni de' variamenti de' tempi e delle fatiche del sole e di quelle della luna; e qual nascosa virtù le piante nutrichi, e insieme faccia li bruti animali amichevoli; e d'onde piovano l'anime negli uomini; e l'essere la divina bontà etterna e infinita; e per quali scale ad essa si salga, e per quali balzi si traripi alle parti contrarie; e teco, poi ch'e' versi di Omero, di Virgilio e degli altri antichi valorosi aranno cantati, i tuoi medesimi, se tu vorrai canteranno. La lor belleza non ti inciterà al disonesto fuoco anzi il caccerà via; e i lor costumi ti fieno inreprobabile dottrina alle virtuose opere. O che dunque, potendo così fatta compagnia avere, quando tu la vogli e quanto tu la vogli, vai cercando sotto i mantelli delle vedove, anzi de' diavoli, dove leggiermente potresti trovare cosa che ti putirebbe? Ahi, quanto giustamente farebbono queste eloquentissime donne, se dal loro bellissimo coro te, sì come non degno, cacciassono, quante volte tu dietro alle femine l'appetito dirizi, quante volte, fetido e maculato da esse partendoti, tra loro, che purissime sono, ti vai a rimescolare, non vergognandoti della tua bestialità! E certo, se tu non te ne rimani, e' mi pare avvedere che ti averrà e meritamente. Esse hanno bene il loro sdegno, così come queste altre che donne si chiamano, non essendo: e chente e quale vergogna questo ti sia, dove questo avenga, tu medesimo e pensare e conoscere il puoi. Ma, per ciò ch'assai detto aver mi pare intorno a quello che a te apparteneva di considerare, quando follemente il collo sotto lo incomportabile giogo di colei sottomettesti, alla quale una gran salmista pare essere, acciò che tu non creda dall'altre lei devariare, oltre a quello ch'io ti promisi, ciò che tu non potevi ben per te medesimo vedere, intendo di dimostrarti particularmente chi sia colei e chenti i suoi costumi (di cui tu, follemente divenuto servidore, ora ti duoli), e vedrai dove e nelle cui mani il tuo peccato e la tua troppa sùbita credenza t'aveano condotto. La prima notizia di questa femina di cui noi parliamo, la quale molto più dirittamente drago potrei chiamare, mi diedono le noze sue: per ciò che, essendo io per morte abbandonato da colei che prima a me era venuta e di cui io molto meno mi potea scontentare che di questa, non so se per lo mio peccato o per celeste forze che 'l si facesse, avvenne che, essendo e volere e piacere de' miei amici e parenti, a costei, mal da me conosciuta, fui ricongiunto. La qual, già d'altro marito essendo stata moglie e assai bene già l'arte dello 'ngannare avendo appresa, non partendosi dal loro universal costume, in guisa d'una mansueta e semplice colomba entrò nelle case mie; e, acciò che io ogni particularità raccontando non vada, ella non vide prima tempo alle occulte insidie, e forse lungamente serbate, poter discoprire, ch'ella, di colomba, subitamente divenne serpente: di che io m'avidi la mia mansuetudine, troppo rimessamente usata, essere d'ogni mio male certissima cagione. Io dirò il vero: io tentai alquanto di volere porre freno a questo indomito animale; ma perduta era ogni fatica, già tanto s'era il male radicato, che più tosto sostenere che medicare si potea. Per che, aveggendomi che ogni cosa, che intorno a ciò facea, non era altro che agiugnere legne al fuoco o olio gittare sopra le fiamme, piegai le spalle, nella fortuna e in Dio me e le mie cose rimettendo. Costei addunque, con romori e con minaccie e con battere alcuna volta la mia famiglia, corsa la casa mia per sua e in quella fiera tiranna divenuta, quantunque assai leggier dote recata v'avesse, come io non pienamente a sua guisa alcuna cosa fatta o non fatta avessi, soprabbondante nel parlare e magnifica dimostrantesi, come se io stato fossi da Capalle ed ella della casa di Soave, così e la nobilità e la magnificienzia de' suoi mi cominciò a rimproverare, quasi come se a me non fosse noto chi essi furono, o sieno pure ora al presente; bench'io sia certissimo che essa niuna cosa ne sa: altro ch'essa, come vana, credo che spesso vada gli scudi, che per le chiese sono appiccati, anoverando; e della vecchieza di quelli e della quantità argomenta sé essere nobile, poi tanti cavalieri sono suti tra' suoi passati e ancor più. Ma, se per dieci cattivi della sua schiatta, più aventurata in crescere in numero d'uomini che in valore o in onore alcuno, fosse stato uno solo scudo apiccato e spiccatone uno di quelli per la cui cavalleria apiccati vi furono, a' quali ella così bene e così convenientemente stette come al porco la sella, non dubito punto che, dove degli scudi de' cattivi centinaia apparirebbono, niuno se ne vedrebbe de' cavalieri. Estimano i bestiali, tra' quali ella è maggior bestia che uno leofante, che ne' vestimenti foderati di vaio e nella spada e nelli sproni dorati, le quali cose ogni piccolo artefice, ogni povero lavoratore leggiermente potrebbe avere, e un pezo di panno e uno scudicciuolo da fare alla sua fine nella chiesa apiccare, consista la cavalleria; la quale veramente consiste in quelli che oggi cavalieri si chiamano, e non in altro. Ma quanto essi sieno dal vero lontani Colui il sa, che quelle cose, che a loro appartengono e per le quali ella fu creata, alle quali tutte essi sono più nimici che il diavolo delle croci, conosce. Addunque con questa stolta maggioranza e arroganza incominciando, sperando io sempre, quantunque io avessi per lo meno male, sì come vile, giù l'armi poste, che essa alcuna volta riconoscer si dovesse e della presa tirannia rimuoversi, pervenne a tanto che sanza pro conobbi che, dov'io pace e tranquillità mi credea avere in casa recata, conoscendo che guerra, fuoco e mala ventura recata v'avea, cominciai a desiderare ch'ella ardesse; e ciascuno luogo della nostra città, qual che si fosse più di litigi e di quistioni pieno, m'incominciò a parere più quieto e più riposato che la mia casa; e, così, veggendo venire la notte che al tornare mi vi constrignea, mi contristava, come se uno noioso prigioniere e possente e a dovere ad una prigione rincrescevole e oscura m'avesse constretto. Costei addunque, donna divenuta del tutto e di me e delle mie cose, non secondo che la natura arebbe voluto al mio stato avendo rispetto, ma come il suo appetito disordinato richiedea, prima nel modo del vivere e nella quantità suo ordine puose; e il simigliante fece ne' suoi vestimenti, non quelli ch'io le facea, ma quelli che le piacevano faccendosi: e da qualunque d'alcuna mia possessione avea il governo essa convenia che la ragione rivedesse e' frutti prendesse e distribuisse secondo il parer suo; e in somma ingiuria recandosi perché io così tosto, come ella arebbe voluto, d'alcuna quantità di danari, ch'io avea, mia tesoriera e guardiana non la feci, mille volte essere uomo senza fede, e massimamente verso di lei, mi rimproverò, insino a tanto che a quello pervenne ch'ella desiderava, sé d'altra parte di lealtà sopr'a Fabrizio e a qualunque altro leale uomo stato commendando. E, a non volere ogni cosa distinguere e narrare, in cose infinite mi si puose al contrario né mai in tal battaglia, se non vincitore, puose giù l'arme. E io, misero e male in ciò aveduto, credendomi, sofferendo, diminuire l'angoscia e l'affanno, più tiepido che l'usato divenuto, seguiva il suo volere; la qual tiepideza il vestimento, che vermiglio mi vedi, come già dissi, ora con mia gravissima pena riscalda. Ma più davanti è da procedere. In cotal maniera addunque essa donna e io servidore divenuto, con più ardita fronte, non veggendosi alcuna resistenzia, cominciò a mostrare e a mettere in opera l'alte virtù che il tuo amico

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Argomenti: leale uomo,    disonesto fuoco,    incomportabile giogo,    semplice colomba,    povero lavoratore

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