Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi pagina 24

Testo di pubblico dominio

atto di disperazione, e chiese: — Aveva famiglia? — Chi? — L'asino? Rispose uno: — Aveva dei parenti, ma son tutti benestanti, e non dimanderanno sussidi; stia pur tranquillo! E alla Camera del Lavoro il segretario esilarò i compagni, che vi riposavano e conversavano, esclamando: — Poco male se a Sugnazza gli è morto l'asino. Con i quattrini che ha risparmiato a far il crumiro si comprerà un camion! Quanto al cliente che fin dal mattino aspettava la sabbia da Sugnazza, non vedendolo arrivare e imparando il perchè, fece quel che avrebbero fatto tutti nel suo caso: andò in cerca d'un altro birocciaio che, come quello, non stesse alla tariffa della Lega. Nè il divertimento, dal ponte e dalla riva, cessò prima di sera. Verso sera venne anche una guardia municipale recando seco il nuovo regolamento d'igiene. — Sissignore: seppellire i morti — borbottò Sugnazza. — Aspettate ancora un poco. Ancora un poco.... Allo spasimo della fame gli era seguito un senso di ondeggiamento in cui gli pareva di sentirsi trasportar dall'anima. Ma la pena era adesso nelle visioni dell'inedia: torbide, tristi; di pianto. Bieca e cattiva più che ogni altra l'affannava l'imagine dell'uomo che era stato causa della sua rovina: a quando a quando il Biondino entrava evidente in quel turbine e gli diceva con un ghigno: — Muori? Sì: moriva dopo venti anni di miseria, spossato nel cuore e nel petto, bruciato dall'acquavite; moriva d'inedia. E per lui! Un breve amore; l'invidia che la donna sposasse l'altro; la gelosia e la provocazione dell'altro; la lite e la ferita — da niente — una scalfittura seguita dall'infezione per cui all'altro — il Biondino — s'era dovuto amputare il braccio; e il processo; e la condanna; ecco ciò che era avvenuto in gioventù ad Andrea Porta non ancora detto Sugnazza; ecco come l'odio aveva per venti anni avvelenato due esistenze; ecco perchè il vinto or vagellava in una torbida, turbinosa tristezza, in un'insania spaventosa, mentre l'imagine dell'odio, del Biondino poi detto il Monco, gli diceva ghignando: — Muori? Ed egli, il vinto, ora per la prima volta si sentiva l'anima. Ondeggiava così leggera, così desiderosa di luce e di quiete! Per vedere se fuori di lui, nel mondo silenzioso, fosse già buio, Sugnazza si voltò supino, con fatica estrema. Quante stelle! E chiuse gli occhi senza più rivoltarsi, come alla rivelazione di una cosa orribile. Tanto bello era il cielo! e il mondo.... Nessuno aveva avuto compassione di lui che moriva. Nessuno! Nessuno! — Ohe! Andrea! Sugnazza trasalì. Da vent'anni non aveva mai più udito chiamarsi col suo nome. Piegò a pena il viso; e diresse lo sguardo verso dove veniva la voce; lontana lontana o lì presso? — Ascolta, Andrea — seguitava. — T'ho sentito oggi quando hai detto quello che hai detto. Ma non son ragioni. Chi vuoi che ti regali un altr'asino? Sugnazza udiva; e scampava, con lo sguardo, all'orrore di quella voce. Quante lucciole sulla costa! Nel silenzio, palpitavano di luce quasi in una gara instancabile; ed erano così fitte che elevandosi e ricadendo e volteggiando, ciascuna sembrava immobile. — Credi d'esser disgraziato sol tu? — seguitava l'intollerabile voce. — A te ti è morto l'asino; io ho la donna all'ospedale, e non c'è speranza che si rimetta; e sai che lavorava lei per me, e guadagnava molto; da sarta. Io vado a ranocchi; ma adesso tutti son signori, e non ne vogliono. Maledetto! Era proprio il Biondino! — Mi ascolti, Andrea? Sugnazza non avrebbe voluto vederlo, eppure era costretto a cercarlo con lo sguardo estremo. E una luce rossa, gettatagli contro, gli raccolse lo sguardo. Allora lo vide, il suo nemico, illuminato in faccia dalla lanterna che aveva aperta per osservar lui — la lanterna con la quale affascinava i ranocchi —; e la luce rossa si diffuse nell'acqua intorno all'asino morto. — Dunque — soggiunse il Biondino d'un tempo, ora il Monco —; dunque senti che pensiero ho fatto. Noi siamo stati disgraziati tutti e due, uno per causa dell'altro. Destino! tu hai rovinato me, io te. Ma io ho qualche risparmio, della donna, e ti posso aiutare; e tu, me. Ti compero io la bestia; e conduciamo il lavoro insieme. Io ti guido la bestia e tu mi dai biroccia e braccia: entriamo nella Lega per guadagnar di più; e il guadagno a mezzo. Ci stai? Sugnazza voleva rispondere: — Tu, solo tu hai avuto compassione di me! — Ma per rispondere sospirò, e in quell'istante, in quel sospiro si sentì rapir lieve lieve via, fra una infinità di luci: lucciole o stelle. IL DIAVOLO NELL'AMPOLLA. Nella nobile città di Burgfarrubach un piccolo spirito maligno faceva da un pezzo questo curioso scherzo: quando un sacerdote, chiamato per scacciarlo dalla casa che metteva a soqquadro, procedeva nell'esorcismo, non ne aspettava il compimento; scappava via troppo presto, lasciando l'esorcista con un palmo di naso. E appena era al nuovo luogo e un altro esorcista arrivava con le benedizioni, le maledizioni e gli scongiuri — fst! —, esso ripeteva il giuoco. Così nessuno aveva mai potuto rimandarlo una buona volta, per sempre, all'inferno. Il destino però ha tale possanza da prevalere anche alle bizzarrie diaboliche, e, se non a castigarlo come si meritava, pervenne almeno ad arrestare l'instabile diavoletto di Burgfarrubach. Dove? Come? In quella stessa città dimorava un certo avvocato, astutissimo nell'imbrogliare la giustizia e il prossimo. Un giorno che costui se ne stava nel suo studio esplorando un'aggrovigliata matassa, senza che gli riuscisse di trovarne il bandolo per dipanarla come di solito a suo profitto, e bestemmiava, e si rodeva dentro, eccoti, per la porta aperta, ecco apparirgli una fiammella vivida; una sulfurea fiammella che roteava a mezz'aria e si dirigeva, pari a una freccia, verso di lui. In un istante, per istintiva difesa, egli afferrò di su la scrivania ciò che gli venne alle mani, e fu l'ampolla dell'acqua con cui allungava le chiacchiere da inzeppare i clienti; e il caso volle che seguendo a un punto il sollevamento della boccia inclinata e l'obliquo arrivo del globulo di fuoco, questo s'infilasse dentro di quella. Sfriggolò, sobbalzò: invano; vi rimase, perchè l'avvocato, più svelto del diavolo, appose all'ampolla il tappo e lo rigirò e suggellò ben stretto; e poi, senza paura, stiè a guardare. E rideva. Bel colpo! Una meravigliosa presa, una portentosa conquista! Non già che il furbo leguleio ammirasse soltanto quale un prodigio la fiammella che palpitando e cessando solo di tratto in tratto, quasi per brividi, non si smorzava nell'acqua, anzi si riaveva più fulgida; ma godeva perchè, conosciuto che era uno spirito, egli pensava d'aver in sua balia una forza da trarne inestimabile partito. E rideva; e mentre contemplava l'ampolla e la luce che sfavillava dall'acqua attraverso il vetro, sentì schiarirsi la mente come non mai; scorse piana e agevole, di súbito, la maniera per risolvere l'ingarbugliato affare che l'aveva tenuto tanto in pensiero. E da quel giorno non perdè più nessuna causa. Conquise tutti i giudici, superò tutti gli avvocati di Burgfarrubach; e naturalmente non rimosse più di là lo strumento della sua fortuna: attese a convertire in belle monete d'oro i cavilli, gl'inganni e le cabale della legge. Nè è da credere che il diavoletto, pur aspettando il dì della liberazione, si trovasse troppo male al fresco dentro la boccia, se gli prestava occasione continua di vederne e udirne delle belle. Ma degli avvocati non c'è mai da fidarsi. Quello di Burgfarrubach diventò vecchio; e un giorno si imbattè nel priore di certi frati, i quali avevano il convento su un monte lontano dalla città. Ed essendo salutato dal monaco col sorriso di chi ha la coscienza in pace, egli rispose con mal piglio: — Va al diavolo! Ma appena fu a casa l'insolente si ricordò dell'incontro; gli si rimescolò e agghiacciò il sangue nelle vene. Per consolarsi tolse dalla cassa un sacchetto pieno di monete.

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Argomenti: spirito maligno,    nuovo regolamento,    monte lontano,    guardia municipale,    disgraziato sol

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