Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi pagina 9

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tanto! L'argomento, nell'andata, mentre nevicava, fu non solo il prezzo delle scarpe, ma il costo della vita; la difficoltà a risparmiare per il giorno che metterebbero su casa. E al ritorno la neve era alta. Dovettero fenderla, calcarla, spesso sprofondarvi. L'Olga piagnucolava; l'Adriana malediceva il destino, e l'Ida, come se Dio l'aiutasse, rideva tutta contenta. Seguì il gran freddo; il pericolo di cadere per la strada ghiacciata. Altro che conversare! Bisognava star dritte; e si sorreggevano a vicenda strillando a ogni scivolone. Ma si rinnovarono i giorni delle confidenze. Già ritornavano i soldati dal fronte, in licenza invernale; e le amiche a lamentarsi e a protestare che le licenze non si dessero a tutti quanti. — Il tuo Giulio verrà di certo — dicevano all'Ida. — Verrà; tu sei fortunata. Finchè, una sera, l'Adriana disse, maligna: — E se non venisse, poco male, eh, Ida?, per te e per lui. — Perchè? — lei chiese trepidando. — Perchè tu non ti guasteresti il sangue; e lui potrebbe consolarsi con qualche ragazza di lassù. Dov'è il tuo Giulio ce ne sono che portano gli stivaletti alti, dicono; e non se li guadagnano in sartoria. L'Ida si morse le labbra; l'Olga rise sguaiatamente, e aggiunse: — Poco male! Tanto, morto un papa, fatto un altro! — Siete cattive! — allora esclamò l'Ida con la voce piena di pianto. — Io ho scherzato, e voi.... — Brutto scherzo! — interruppe, senza guardarla, l'Adriana, con solennità di rimprovero. — Brutto scherzo! Quel che hai detto è peggio che dire: «lontan dagli occhi, lontan dal cuore»; è come dire: «io non ti ho mai voluto bene, t'ho lusingato, e tu, sciocco che sei, m'hai dato mente». Anche peggio! È come dire: «a me non m'importa proprio niente della guerra, e che molti ci muoiano, e che tu ci muoia; io mi diverto lo stesso». Un uomo che abbia del sangue nelle vene e innamorato, a udir di queste belle proposizioni commetterebbe fino un delitto. Immaginarsi Gustavo! Mi ammazzerebbe! (Bum!) E l'Olga: — Il mio Attilio mi scrive sempre: «Non mi abbandonare, per carità, per l'amor di Dio!» Se imparasse che io a dimenticarmi di lui ci durerei così poca fatica e che già prima che morisse avrei il coraggio di pensare a un altro, si accorerebbe di passione. Lui si ammazzerebbe. (Buum!) L'Ida si era riavuta: le cuoceva di essere stata debole. Le fissò con una mossa del capo di sotto in su, che significava: «Avete finito? Adesso parlo io». Ma non parlò a lungo. Gridò forte, perchè, nel sobborgo, molti udissero la canzonatura: — tac tac tac!... Bum! bum! — E soggiunse, forte: — Come siete buffe! — Poi, essendo prossima a casa, vi entrò di corsa, presa da un riso convulso. L'avevano amareggiata, ferita, offesa, dubitando, oltre che di lei, dell'uomo che amava; si contentassero se si era limitata a metterle in ridicolo, spasimanti fastidiose e spropositate! Ma il giorno dopo non l'aspettarono per andare e tornare insieme. Essa finse di non curarsene e da quel giorno le prevenne nell'andata e nel ritorno a casa. In cuor suo, però, temeva; ne paventava il rancore, la vendetta; tanto più che Giulio veniva in licenza, e i fidanzati di quelle due non si erano ancor visti. III. Oh! dargli una prova che il pensiero di lei non lo abbandonerebbe mai più: sua per la vita e per la morte! Quante volte la morte lo aveva rasentato!; e perciò essa lo amava, ora, di più. — Un giorno — raccontava Giulio — una nespola abbastanza grossa cadde proprio sul mio carro, s'internò fra i sacchi. Se scoppiava, addio Ida! Essa, mentre egli parlava, mutava colore; egli sentiva fredda la mano che stringeva nella sua. E si guardavano negli occhi sorridendo. Era arrivato, Giulio, la mattina. Un saluto ai suoi, ed era corso da lei. E discorrevano, soli, davanti al fuoco. Guardandosi riconoscevano il loro amore più vivo, più forte, più buono; le parole che dicevano, vibravano di un sentimento che ne superava il senso e il suono: così profondo e così grande che il silenzio e la luce degli occhi parevano esprimerlo meglio; e di quando in quando tacevano e si ascoltavano, finchè il silenzio diveniva una pena. L'Ida allora interrogava; ma non una delle domande gli fece che le amiche si sarebbero immaginate gli rivolgerebbe per gelosia. E lui, quel ragazzone di ventiquattro anni, che aveva una infantile dolcezza negli occhi chiari e aveva nel viso la serenità di un animo saldo e di una mente padrona di sè, lui non solo non dava segno di aver dubitato o di dubitare, ma dimostrava, a vederlo, che vicino a lei, nulla, nessuno al mondo avrebbe potuto turbarne la fiducia e l'amore. Nè lui nè lei dimenticavano intanto che la felicità era breve; che sarebbero di nuovo divisi, e sentivano che a soffrir meno dopo il nuovo distacco avrebbero dovuto fermare per sempre, nella memoria, quegli istanti gioiti. Come? Con una prova d'amore indissolubile, superiore a ogni lontananza, a ogni timore, a ogni evento; superiore a quella stessa felicità che il cuore palpitando e la mano stringendo la mano promettevano nell'avvenire. — Ho da farti una confidenza — Giulio disse a un tratto. — Anch'io. — Prima io! Sai che trasporto non solo munizioni e materiali, ma feriti e morti? — Non me l'hai mai scritto. — Certe cose a voi donne è meglio non dirvele; ci piangete sopra o le esagerate. — L'Adriana, sì, e l'Olga! — esclamò la ragazza —; a me fan rabbia per questo! Senza badarle egli seguitò: — Dopo una avanzata, avevo avuto l'ordine di raccogliere i feriti austriaci e portarli, dalla prima linea, giù, al posto di medicazione; di dove le autoambulanze li trasferivano alle sezioni di sanità. Descrisse il camion attrezzato, con le barelle sospese al di sopra per i feriti più gravi e le panche, sotto, per i meno gravi; insistè a dimostrare come era il luogo delle prime cure. — Una casa di là dalla strada, al riparo dalle altre, tutte scoperchiate e rovinate. E stando col carro nella strada noi non vedevamo quelli dell'infermeria, e non eravamo visti. — Ho capito — ripetè l'Ida. — Io e il mio compagno, il meccanico, calavamo a terra, nelle barelle, i feriti; due soldati venivano a prenderli, a uno a uno. Ma non era finita la musica; squassava ancora l'aria il rombo di qualche cannonata e allora i feriti leggeri, che pensavano d'essersela cavata con poco e che forse avevano combattuto da bravi, si prendevano una gran paura e si raccomandavano: — Jésus! Jésus! L'Ida rise; ma chiese subito: — E quelli più gravi? — In una delle barelle ci avevamo un ufficiale, giovine; bel giovine! Moriva, e lo lasciarono lì, vicino al camion. Tanto, non c'era più niente da fare. Portarono via prima tutti gli altri; e si allontanò anche il mio compagno. Non avevamo mangiato dalla mattina, e andò all'infermeria a cercar del pane. Io, rimasto solo, stendevo una coperta da campo su quel disgraziato; quando riaprì gli occhi, e mi guardò. Voleva dirmi qualche cosa. Capirlo! Io capii che cercava di spiegarsi in italiano, ma lo spasimo delle ferite e la morte che arrivava gl'imbrogliavano la memoria. L'Ida tacque ansiosa. Finalmente si toccò con la mano destra il petto e con uno sforzo riuscì a dire: — Qui.... moneta, vostra. Carte, no. Fuoco, prego. — Voleva che tu le bruciassi. — Ah come disse «prego»! Preghiera di moribondo, pensai io. Gli apersi la giubba, tolsi il portafogli. E, nell'atto, il sangue mi si gelò nelle vene. Se qualcuno mi vedeva? Potevano vedermi i soldati che tornassero per portar via anche lui; o il mio compagno; o qualche altro camion di passaggio. Ladro! Sarei parso un ladro! E non era ancora morto! — Che momento! — esclamò l'Ida. — Mi sentivo cento occhi addosso; ma una idea mi rincorò; cavai le carte; lasciai i denari; rimisi il portafogli nella tasca. Non avrebbero potuto più dire che rubavo! — Facesti bene. E le carte? — L'angustia fu tale che non mi accorsi nemmeno che era spirato. Quando me ne accorsi, gli chiusi

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Argomenti: infantile dolcezza,    animo saldo,    nuovo distacco

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