Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi pagina 18

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che aveva manifesta, improvvisamente e finalmente, quella del suo allievo! E il generale Agabiti avrebbe potuto fare onore alla patria; ne era sicuro. E sentiva l'amarezza del bene non mai goduto e perduto per sempre; del bene conosciuto troppo tardi. Per qual causa? Per qual colpa? Chiese, d'impeto: — Chi, che cosa ti spinge, te, alla milizia? — Una donna — Celso rispose senza esitare. Fortunato giovane! Il giovane infatti aggiungeva: — Vuol sposare un capitano di cavalleria. Io divento sergente, sottotenente, tenente, capitano; e.... — Alt! — interruppe il conte Mauro —; come si chiama.... lei? — Amelia. Celso si aspettava un nuovo scatto, una impressione visibilmente profonda di meraviglia. Il filosofo invece parve rassegnarsi subito, quasi si trattasse di un decreto della Provvidenza. Non mosse che un'obiezione. — Quando tu sarai capitano mia nipote avrà già marito da anni e anni. Chi vuoi che la tenga? Il giovane sorrise. — Lei! — fece tendendo l'indice verso il suo protettore. Questi chinò il capo mormorando: — Speriamo che la storia finisca bene per tutti; anche per Gedeone. Venne il dì dell'addio. — Tu non mi scriverai — disse il filosofo. — Non voglio. Io t'impongo un ricordo, osservabile, tangibile, sensibile, continuo e forte. — E gl'introdusse un anello di ferro nel mignolo della destra; il chiodo della scottatura piegato a cerchietto. — Quando sarai al punto buono — conchiuse il conte —, portami o mandami il chiodo, e se l'Amelia sarà anche lei al punto buono.... Via!, dammi un bacio. .... Così a Celso, prima di partire, non restarono da baciare che suo padre, Gedeone e la Cleofe. VII. Quasi un anno dopo che la guerra era scoppiata in Libia e qualche mese dopo che Celso Dondelli era laggiù, entrando nella bottega di Dondèla, il vecchio conte non chiese, al solito: — Notizie? Si abbandonò sulla seggiola e mormorò: — L'ora è giunta. Intimorito, domandò il fabbro: — Per Celso? — Per me. Ma s'ingannava pur questa volta, povero filosofo! Per Celso l'ora era già giunta (ed egli non lo sapeva); per lui doveva tardare non poco. Lo portarono a casa apopletico. Come, trascorso assai tempo, a forza di cure, poterono trarlo dal letto.... che tristezza! Nella poltrona, con la testa reclinata allo schienale pareva obbligato, adesso, a mirar sempre in alto; e tentava al contrario di guardare in giù, quasi cercasse d'intorno, nella realtà, le immagini che gli vaneggiavano nel cervello infermo. Che tristezza! E come lunga! E un giorno venne al palazzo Agabiti un tenente di cavalleria, il quale disse di dover parlare al conte prima di ripartire per Tripoli. Si presentò l'Amelia; lo stato dello zio non permetteva nessun colloquio. Ma l'ufficiale insistè. Se il malato non aveva perduto del tutto la conoscenza egli, per incarico di Celso Dondelli, caduto in battaglia presso a lui, aveva da consegnargli una cosa attesa e cara. La signorina raccomandò, pregò: — Non gli dica che è morto. Tanto.... Poi lo introdusse. La Cleofe dietro alla poltrona sorreggeva il debole capo. — Guarda, zio, — disse l'Amelia. Un breve silenzio. Finchè lo zio sorrise, quasi ridesto dall'erroneo riconoscimento. — Ah! Sei tu?... Il chiodo? — Eccolo — disse l'ufficiale, mentre la signorina susurrava: — Lasciamolo nella sua illusione! Il vecchio chiamò: — Amelia! — Son qui, zio. — Celso! L'ufficiale ne comprese, dalle mosse più che dalle parole, l'ultimo volere. E mise l'anello nel dito che la signorina gli tendeva ripetendo: — Lasciamolo nella sua illusione. Allora la Cleofe ruppe in pianto. Ed era passato un altro anno quando il tenente di cavalleria, vicino alla promozione a capitano, tornò al palazzo Agabiti. Disse alla signorina, erede del conte: — Quella che fu illusione estrema di suo zio non potrebbe essere realtà per noi? La signorina Amelia considerò l'anello che aveva nel dito; sollevò i begli occhi a mirare in alto e: — Quando sarete capitano — rispose —. Questo era il patto. CINQUANTAMILA LIRE. Al triste annunzio — il commendatore Demetrio Lecci, nell'attraversare la strada, era stato investito da un'automobile; commozione cerebrale e lesioni interne; smarrimento della coscienza; nessuna speranza —; appena ricevuto il terribile annunzio, Corrado Amaldi aveva lasciato in casa la moglie, affranta essa pure, angosciata e tremante, ed era corso al letto dell'amico. Povero Demetrio! Giocondo, come sempre, nella faccia serena, era stato a trovar Corrado il dì innanzi. Ed ora.... ora Demetrio moriva senza riconoscere l'amico. Moriva: l'occhio vitreo e immoto; il volto disfatto e cereo; soli indizi di ultima vita, il respiro affannoso e uno scattare intermittente del braccio e della mano sinistra. Non reggendo a tal vista Amaldi, con un nodo alla gola, scappò nella camera attigua e si abbattè su di una seggiola. Non poteva piangere. Ma a poco a poco reagì in sè, cercò dominarsi riflettendo; e si obbligò a considerare i doveri che l'evento calamitoso e repentino imponeva a lui, l'amico intimo, prediletto. Al commendatore non restava che un parente, quel nipote così diverso da lui, e gli avevano telegrafato subito; ma quand'anche fosse arrivato in tempo a veder morire lo zio, il discolo non ne avrebbe ottenuto il perdono. E Amaldi ricordò che Demetrio gli aveva manifestato più volte il proposito di diseredare il nipote vizioso e corrotto per beneficare le pie instituzioni a cui aveva dato tutto sè stesso. E pensò: «Demetrio avrà fatto testamento. Se lo trovasse qui in casa, il nipote lo trafugherebbe». Possibile? Possibile. Quando l'evento o il fatto che confonde e travolge è enorme, anche i pensieri che a ragione fredda si giudicherebbero assurdi, sembrano giusti. Egli guardò allo scrittoio, quasi a confermarsi che ci fosse il testamento del commendatore; poi, con improvvisa ripresa d'energia, s'alzò, chiamò il servo, andò a sedere allo scrittoio, trasse dalla cartella un foglio e una busta e, mentre scriveva, disse: — Giovanni, a scanso della mia e della vostra responsabilità....: qui dentro ci potrebbero essere carte di molta importanza; credo convenga avvisare il notaio. — Quel che fa lei.... — Il dottor Neri.... Sapete?... Via Goito.... Il vecchietto inchinandosi prese il biglietto; e uscì. Con i gomiti puntati sullo scrittoio, per sorreggere il capo, e strette le tempia fra le palme, Amaldi ritenne nella mente il pensiero di prima, che non gli pareva più ben chiarito e compiuto. No, non era possibile che un uomo come Demetrio Lecci avesse lasciato il testamento in uno scrittoio aperto. No? Ma qual uomo è così prudente da non cadere in qualche errore? Così prudente da aspettarsi a quarantadue anni un infortunio mortale? D'altra parte, non poteva Demetrio aver pensato giustamente che Giovanni, meglio che servo l'uomo di fiducia, e lui l'amico, vigilerebbero, e in ogni caso provvederebbero alla custodia delle sue carte e all'adempimento delle sue disposizioni? Fu così che la mano di Amaldi accompagnò il pensiero con moto spontaneo, proprio per naturale conseguenza. Aperse il cassetto di mezzo e guardò. Ma senza curiosità e intenzione ferma; con mente già inerte guardava, sollevando le prime delle carte sparse che lo riempivano e.... Quasi a ricevere un urto nel petto, quasi per difendersi istintivamente da un assalto impensato, respinse il cassetto dello scrittoio, si levò in piedi con tutto il sangue al capo, al volto, in un'apprensione ontosa, con un'impressione indefinibile di colpa e di repugnanza, con un impeto d'ira e di rabbia contro sè stesso, che già si lasciava afferrare da un dubbio insano; e non gli bastavan le forze a divincolarsi, a sfuggirne la mostruosa, diabolica presa. Una lettera..., in una busta fina..., tra quelle carte, tra quei documenti..., interpostavi come per caso o dimenticanza. Ricadde a sedere; riaperse; la tolse; ne guardò attento la soprascritta, vinto. E: sì; la lettera, il carattere (.... anche il

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Argomenti: vecchio conte,    respiro affannoso,    conte mauro,    commozione cerebrale,    nipote vizioso

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