Il diavolo nell'ampolla di Adolfo Albertazzi pagina 8

Testo di pubblico dominio

Ma, a un tratto, essa levò su il capo, la persona. Indicando, a terra, esclamò vivace e giuliva: — Guarda, nonno! Guarda che formicone che era! Il nonno cercava con lo sguardo. E vide: proprio una forfecchia. E vide che il sole risplendeva ancora; e che il mondo era tornato bello. Sorrise. Eppoi non vide più niente. LA CIOCCHETTINA. I. Abitavano nello stesso sobborgo e ogni sera rincasavano insieme, dalle sartorie ove lavoravano, prima in tram poi a piedi. In tram era un divertimento per tutte: cicaleccio, motteggi, compiacenze d'essere osservate e d'osservare le meno belle di loro; ma nel tratto a piedi seguivano le confidenze d'amore e le espansioni sentimentali; mutava il tono. E l'Ida, la più giovane delle tre, interloquiva di rado; si sentiva a disagio per un misto di timidezza e d'orgoglio. Il suo innamorato guidava autocarri nel Carso, non era in trincea come quelli delle amiche, e discorrendone le pareva di provocarle a ripetere: — Fortunata te! —, quasi non avesse da star in pena lei pure. «Fortunata te!». C'era fors'anche, in fondo a queste parole, la punta ironica, l'acredine di un'altra invidia — lei faceva all'amore con uno di miglior condizione che i loro innamorati —; e non voleva mostrare di accorgersene. Se però taceva o tentava invano di sviare il discorso solito, l'Ida bene spesso bolliva dentro e stentava a frenarsi, a non prorompere: — Fatela finita una volta con i piagnistei e con le spacconate! Che noia, tutti i giorni! L'Olga si martoriava negli stenti e nei pericoli della trincea, accresciuti con fantasia egoista per concludere che solo il pensiero di lei sosteneva il suo caro a superarli. L'Adriana.... Eh! dopo che al suo Gustavo gli avevan dato la medaglia di bronzo, non si campava più, con lei, che dietro sacchi di sabbia, in mezzo a cavalli di Frisia, contro a reticolati, incontro a mitragliatrici — tac tac tac! — e bombe a mano, e sotto a shrapnel e — bum! — a palle da trecentocinque. Si sarebbe detto che tante maledizioni fossero state inventate non per meritar l'inferno a Guglielmo II, ma per far onore a lei sola, la bionda Adriana, che aveva per innamorato un giovane di fegato — e nessuno lo negava. Quando poi ricevevano lettere, pretendendo non fossero scritte con libera volontà, le commentavano a loro modo, leggevano tra le righe le più strambe rivelazioni, le interpretavano a rovescio. «Non mi manca nulla» doveva significare che morivano di fame. «Per adesso non si combatte» significava — tac! tac! tac! e bum! bum! — battaglia e strage. — E te, Ida? Cosa ti scrive il tuo Giulio? — spesso le chiedevano, forse anche per mortificarla, chè lei riceveva meno lettere. Rispondeva senza scomporsi: — Niente. Dice che fa il servizio di trasporto e che sta bene, e io credo a quel che dice. — Fortunata te! — Fortunato lui! Ma una sera le fecero scappare davvero la pazienza. Fu così: lei che aveva trepidato e trepidava non ignara dei pericoli che pur Giulio correva, lei che a Giulio gli voleva un bene grande, non sempre si sottraeva all'ipotesi di una disgrazia; ma cotesta paura la teneva in sè, nel suo segreto; non ne avrebbe discorso nemmeno con sua madre, quasi per una ripugnanza di una tristezza colpevole o di un malaugurio. Invece l'Adriana e l'Olga, che in sentimento d'amore pretendevano dar legge al mondo, non solo non rifuggivano dall'immaginare morti i loro innamorati: ne discorrevano per vantare la passione che esse ne proverebbero. E le frasi e le esclamazioni tragiche, per quanto potesse essere sincero il sentimento che le suggeriva, urtavano i nervi all'Ida come una finzione, una falsità. L'Adriana affermò: — Se Gustavo, che è troppo coraggioso, troppo! troppo!, ci restasse, oh, io non mi farei suora; vorrei che tutti vedessero, capissero il mio dolore e mi compiangessero. Uno uguale non lo troverei più! Nessun altro, mai più! — E io — lamentò l'Olga con un'aria e una voce che pareva la Duse —, io diventerei matta! Lui, la mia vita, perderlo così? Non saper nemmeno dove fosse sepolto? Matta, state pur sicure; mi getterei dalla finestra! Breve pausa. Poi: — E tu, Ida? Ebbene: questa domanda, questo distaccarsi dal pensiero orribile e passare a interrogar lei, quasi a provarla in una gara in cui prevedevano resterebbe inferiore, la disgustò del tutto. — Tu cosa faresti se perdessi il tuo Giulio? — insistette l'Adriana. E all'Ida brillarono gli occhi. L'eccitava il bisogno di un contrasto comico. Scoppiò a ridere, tanto era enorme ciò che le scappava detto, e disse: — Oh! Per me, morto un papa, fatto un altro! II. Non ebbe appena pronunciate queste parole, che ne fu pentita. — Viva la sincerità! — Viva la tua faccia! — esclamarono le amiche ridendo anche loro. E l'orgoglio non le permise di ribattere: — Non avete capito che ho scherzato? —, e la timidezza non le permise di dire, più duramente: — Voi non dovreste credere a me come io non credo a voi. — Tacque, ma dubitò subito che la risposta data per impazienza passasse di bocca in bocca in tutto il sobborgo come un'enormità fra vergognosa e ridicola; e quando fu in casa, il dubbio divenne timore, spavento. Cosa aveva detto! L'accuserebbero di aver poco giudizio e niente cuore; l'accuserebbero di ritenersi così bella che perduto un amante non le mancherebbero ammiratori e consolatori da sostituirlo. Figurarsi se l'invidia non ne approfitterebbe! Se qualche anima buona non si assumerebbe l'obbligo di aprir gli occhi al povero Giulio! E lui allora.... Si vedeva lasciata e screditata: per una leggerezza! per uno sfogo innocente! Stupide! causa loro.... Bisognava prevenire il colpo e confessar tutto a Giulio, subito; e lui giudicasse. Di coscienza, lei si sentiva meritevole di perdono. E si mise a scrivergli una lunga lettera, per dimostrare come il suo carattere discordasse dalle amiche e come e perchè coloro le fossero divenute antipatiche. Ma arrivando al punto scabroso, alla frasaccia che pur doveva riferire: «Morto un papa....», non ardì tirar innanzi. Troppo distava la brutta, cattiva, crudele espressione d'insensibilità dalle premesse e dalle proteste d'amore; e queste prendevano un aspetto di ripiego insufficiente. Cosa aveva detto! E l'immagine di lui così innamorato, così fiducioso, così fermo di volontà e d'animo per la speranza di averla interamente sua appena nel mondo tornasse la possibilità di esser felici, le si affacciò severa, ostile, minacciosa. «Io — pensava che le direbbe —, io soffrivo a starti lontano; io soffrivo nei pericoli che correvo a ogni ora, a ogni momento, perchè mi figuravo il tuo strazio se mai ti portassero la notizia della mia morte; io sospiravo il giorno di riabbracciarti e ridarti la forza di sperare, di attendere la nostra felicità, e tu, intanto, non mi tradivi con un altro, no, ma m'ingannavi, per adesso, forse peggio: ti vergognavi di mostrarti innamorata di me: scherzavi indegnamente sul nostro amore, e la gente aveva da ridere compassionandomi. — Povero Giulio! Ti sei messo bene! Se una cannonata ti sfracellasse, eh! non dubitare che l'Ida si consolerebbe presto; e lo dice —». Pianse; non dormì in tutta notte. E la mattina dopo, quando le amiche la chiamarono, al solito, dalla strada, sollecitandola che era tardi, e discese e si accompagnarono, al solito, avrebbe voluto tornar lei nel discorso e liberarsi dalla lunga ambascia; dire: — Badate, ragazze. Giulio mi è molto affezionato, ma guai a me se imparasse!... — Stava per vincere lo stento a umiliarsi; e provò invece un ineffabile sollievo a non scorger segno di malignità nella faccia dell'Adriana e dell'Olga; non un sorriso ambiguo. Le avrebbe baciate. Infatti non si era montata la testa con un timore assurdo? E poi, se interveniva qualche cosa di nuovo, dimenticherebbero del tutto per sempre quel discorso.... Erano così leggere! E, grazie al cielo, il fatto nuovo, la distrazione fu la neve. Oh che danno per i loro stivaletti, che costavano

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Argomenti: tristezza colpevole,    pensiero orribile,    crudele espressione,    ineffabile sollievo

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